Francesca Santucci
LA MORTE DELLA MADONNA
(Francesca Santucci, “Donne di Caravaggio”, Kimerik aprile 2015)
Così l’ anima di Maria uscì dal corpo e fu accolta dalle braccia
di Cristo,
immune dal dolore così come era stata immune dal peccato.
(Jacopo da Varagine, Legenda Aurea, L’assunzione di Maria)
Nulla racconta il Nuovo Testamento circa la fine (ma non parla
nemmeno dell’inizio) della vita terrena della Madonna, e l’ultima
volta che la madre di Gesù vi compare è nel primo capitolo degli
Atti, in mezzo agli Apostoli, in orazione nel cenacolo, in attesa
della discesa dello Spirito Santo,
assidui e concordi nella preghiera […]con Maria, la madre di Gesù
(cf. At 1, 14). Al contrario, abbondanza di notizie, in
generale sulla Vergine, si ritrovano negli scritti apocrifi,
soprattutto nel Protovangelo di Giacomo e nella Narrazione
di S. Giovanni, ed anche ciò che sappiamo sul termine della sua
esistenza terrena appartiene alla tradizione, non alle Scritture.
Nel 370 ancóra il vescovo Epifanio di Salamina, che elaborò una
vasta dottrina mariana e fu il primo autore a interessarsi del
termine della vita della Madonna, non conosceva il modo della sua
dipartita, che ammantò di un velo di mistero, narrando solo che era
sopravvissuta di ventiquattro anni al Figlio divino e che era morta
all’età di settantadue anni (secondo altri morì a sessantanni).
Nella sua opera, Panarion, non scegliendone alcuna, però,
avanzò tre possibili ipotesi: che la Madonna non era morta, ma era
stata trasferita da Dio in un luogo migliore; che era morta martire;
che era morta di morte naturale. Di certo sperimentò la morte, e i
Vangeli apocrifi, che non sono dipendenti dai Vangeli canonici, ma
ben più antecedenti, e si collegano a tradizioni più antiche,
ricostruiscono tutta la sua vita e si soffermano anche sulla sua
fine, con vari scritti peculiari intitolati transito (Transitus
Mariae Virginis)
e dormizione (Dormitio Mariae Virginis),
alludendo, col termine dormizione, il più antico che si
riferisca alla conclusione della vita terrena di Maria, al fatto che
non si trattò di una morte normale e che il suo corpo non patì
alcuna decomposizione nel sepolcro, ma seguì la sorte di quello di
suo Figlio.
La putredine e i vermi sono un obbrobrio dell'umana natura e da
questo obbrobrio fu libera la Madonna in primo luogo perché in lei
Cristo si era incarnato; in secondo luogo per la dignità del suo
corpo che è detto trono di Dio e tabernacolo del Signore, degno di
essere conservato piuttosto in cielo che in terra, in terzo luogo
per la perfetta purezza di cui fu adorna.
(S. Agostino)
Il racconto è sempre più o meno simile e verte su questi temi
fondamentali: annunzio a Maria della prossima morte e assunzione da
parte dell'arcangelo Gabriele con l'offerta di una palma; riunione
attorno al letto della morente di tutti gli Apostoli trasportati da
nubi luminose; ostilità dei Giudei e loro punizione; descrizione del
transito di Maria (a Efeso o a Gerusalemme) tra splendori di luci,
canti e cori angelici. Secondo quanto riportato dalle fonti apocrife
risalenti al II secolo e diffusi entro il V-VI secolo, d’origine
cristiano-giudaica,
in greco, latino, copto, arabo, armeno, siriaco, slavo (come la
narrazione, parzialmente conservata in greco e più completamente in
etiopico, attribuita ad un certo Leucio, discepolo di S. Giovanni),
molti anni dopo la Pentecoste, quando ormai gli Apostoli si erano
dispersi per il mondo, un angelo con un ramo di palma (simbolo
dell’ingresso in Paradiso), apparve a Maria, che dimorava a
Gerusalemme, annunciandole l'imminente morte: era stata lei stessa a
chiedere di morire per rivedere il Figlio. Cominciò, allora, a
prepararsi alla dipartita sia fisicamente che spiritualmente, pregò
il Figlio di venirla a prenderla personalmente e convocò parenti ed
amici perché le fossero accanto nel momento estremo. Espresse anche
il desiderio di rivedere gli Apostoli che, prodigiosamente, furono
trasportati dai luoghi di missione nei quali si trovavano e
trascorsero con lei una notte di veglia e di preghiera. La Madonna,
dopo aver comunicato le ultime volontà, si spense senza alcun
dolore, semplicemente si “addormentò” (come ritenuto dai
francescani, per i domenicani, invece, si trattò di una vera morte
fisica); al mattino giunse il Signore ad accoglierne l'animula
e a portarla in cielo. Jacopo da Varagine, nella Legenda Aurea, con accenti toccanti
e poetici, narra come avvenne il transito della Vergine secondo uno
scritto apocrifo di san Giovanni, riportando che la madre di Gesù si
era ritirata a vivere presso la montagna di Sion, vicino
Gerusalemme, e che, un giorno in cui il suo cuore si era acceso di
un forte desiderio di rivedere il Figlio, le era apparso un angelo
splendente che le aveva annunciato che dopo tre giorni avrebbe
lasciato il suo corpo. E così accadde. Presenti gli Apostoli,
trasportati da bianche nubi dai luoghi dove svolgevano la loro
missione, il Signore, accompagnato da schiere angeliche, discese dal
Cielo a prelevare, tra cori celestiali, l’anima santa della Madre.
Quando la Madonna vide tutti gli apostoli attorno a sé benedisse il
Signore e si sedette in mezzo a loro circondata di lampade e lucerne
accese. Ecco che verso l’ora terza venne Gesù con le angeliche schiere, con
le legioni dei patriarchi, dei martiri, dei confessori e con i cori
delle vergini: tutta la santa schiera attorniò la Vergine e si mise
a cantare cantici di lode. Dopodiché Cristo disse: “Vieni diletta, io ti pongo sul mio trono
perché ho desiderato la tua presenza”. E la Vergine: «Signore, il
mio cuore è pronto!” […] Così l’ anima di Maria uscì dal corpo e fu
accolta dalle braccia di Cristo, immune dal dolore così come era
stata immune dal peccato.[…. ]E subito il corpo di Maria fu
circondato da rose e gigli simbolo delle schiere dei martiri, degli
angeli, dei confessori, delle vergini. […]. Gli apostoli videro che l’anima di Maria era di un
candore che nessuna lingua umana riuscirebbe a descrivere.
(Jacopo da Varagine, Legenda Aurea, L’assunzione di Maria)
Sia la letteratura che la liturgia e l’iconografia della
dormizione concordano nell’articolare la fine terrena di Maria
in tre momenti, la sua morte, la venuta di Gesù che prende la sua
anima, la riunione dell’anima con il corpo, e
l’ascensione spirituale e assunzione in cielo,
ma nell’arte è stato soprattutto il momento della morte a dare
origine ad una lunga serie di opere, privilegiando quella medievale
e bizantina rappresentare l’apparizione di Cristo che scende dal
cielo, accompagnato dagli angeli, per accogliere l’animula
della Madonna,
talvolta raffigurato quando prende tra le braccia l’anima di sua
madre, presentata come una bambina, creando, così, una
rappresentazione di Madonna col bambino in ribaltamento di ruoli,
dove è il Figlio adulto a stringere a sé la mamma piccola. Nel
Quattrocento, invece, fu esaltata soprattutto la liturgia che si
svolge intorno alla Vergine morente, con candele, aspersorio, gli
Apostoli ritornati dalla predicazione e Pietro vestito di paramenti
sacerdotali, ma, dopo la Controriforma, prevalse l’esaltazione
dell’aspetto umano, soprattutto con Caravaggio, che eseguì per
l’altare della chiesa di Santa Maria della Scala, a Trastevere, in
Roma, appartenente all’ordine dei carmelitani scalzi, la Morte
della Madonna, conosciuta anche come Morte della Vergine,
un’immensa pala, quasi cinque metri di altezza, terminata
nel maggio 1606, ma commissionata ben cinque anni prima dal
giureconsulto Laerzio Cherubini come pala d’altare per una cappella
che, nel 1601, aveva acquistato nella chiesa di
Santa Maria della Scala.
Caravaggio, Morte della Madonna (1606).
Circondato da un alone di leggenda,
quest’ultimo famosissimo dipinto fu accettato dal committente ma,
come molte altre opere di Caravaggio, venne rifiutato dai
carmelitani scalzi, principalmente perché la rappresentazione della
Madonna con il volto cereo, il ventre enfiato, i piedi nudi, priva
di qualsiasi attributo mistico (tranne l’aureola), in “carnalità”,
era violentemente “terrena” e non consona con la tradizione e con
l'iconografia ufficiale, che prescriveva che venisse raffigurata non
nel momento della scomparsa dalla terra, ma nell' attimo del
transito. Ma l’opera fu rifiutata anche per la mancanza di decoro,
essendosi venuto a sapere che, per raffigurare il corpo della
Vergine, Caravaggio, come chiaramente affermato dai suoi primi
biografi, Giulio Mancini (1617-1621), Giovanni Baglione (1642), e
Giovan Pietro Bellori (1672), si era ispirato al cadavere gonfio di
una prostituta romana annegata nel Tevere,
qualche meretrice sozza degli ortacci
(malfamato
sobborgo romano)
qualche sua bagascia, una cortigiana da lui
amata.2 Giulio Mancini,
nell'autunno del 1606, dopo aver parlato con i carmelitani, scrisse
una lettera al fratello a Siena in cui definiva la pala
spropositata di lascivia e di decoro e aggiunse che era ben
fatta ma senza decoro e invenzione e pulitezza, a sottolineare
che non era stata opera d’immaginazione, ma dipinta dal vero,
ispirandosi, appunto, l’artista al cadavere di una prostituta
annegata nel fiume, perciò la Madonna appariva sporca e indecorosa.
[…] (la pala fu) fatta levar di detta
chiesa da quei padri per avervi ritratto in persona di Nostra Donna
una cortigiana da lui amata e così scrupolosa e senza devozione.
(Giulio Mancini,
Considerazioni sulla pittura)
Per la Madonna della Scala in Trastevere
dipinse il Transito di N. Donna, ma perché avea fatto con poco
decoro la Madonna gonfia e con gambe scoperte, fu levata via e la
comperò il duca di Mantova, e la mise in Mantova nella sua
nobilissima galleria.
(Giovanni Baglione,
vita di Michelangelo da Caravaggio pittore)
[…]il Transito della Madonna nella chiesa
della Scala, rimosso per avervi troppo imitato una donna morta
gonfia.
(Giovan Pietro Bellori,
Vita di Michelangelo da Caravaggio)
Inoltre l’eccessivo realismo della
rappresentazione contrastava con quanto aveva sancito il cardinale
Gabriele Paleotti nel suo celebre Discorso intorno alle immagini
sacre e profane pubblicato nel 1582, in cui dettava i principi
ai quali dovevano attenersi gli artisti della Controriforma circa i
ritratti dei santi.
Primamente parrebbe a noi che s’avesse a porre gran cura nel
sciegliere le persone di quelli che si hanno da ritrarre per santi,
accio siano santi veri et approvati dal consenso universale di santa
Chiesa, e non immaginati a propria sodisfazzione o a relazione
altrui; overo ch’almeno siano nel numero de’ beati, e per tali
publicamente da tutti tenuti et accettati, accompagnandoli con
quelle note della loro beatitudine, che piamente suole usarsi nelle
imagini di essi, di che altrove si parlera. Di poi, che siano
ritratti con l’effigie propria, se si può sapere, o verisimile, o
almeno con quella che dai buoni et intelligenti suole essere
figurata e che porta seco probabile apparenza che cosi fosse. Ma in
nessun modo mai siano ritratti con faccie de particolari e di
persone mondane e dagli altri conosciute; perche, oltre l’essere
cosa vana et indignissima, verrebbe a rassomigliare un re posto nel
trono della sua maesta con la maschera al viso d’un cerettano o
d’altra persona ignobile e conosciuta dal volgo per privatissima,
tal che chi la riguardasse, subito si movesse a riso, oltre molt’altre
inconvenienze, come al luogo suo si dirà piu largamente.
(Gabriele Paleotti
CAP. XXIII.Dei ritratti de’ santi,
Discorso intorno alle immagini sacre e profane)
E contrastava anche con
l’Editto sull’esame preventivo delle immagini sacre,
promulgato in Roma nel 1603 dal cardinale Camillo Borghese,
che disciplinava le rappresentazioni sacre.
[…] alli quali pittori sotto le medesime pene si proibisce mettere
nelle vie e luochi pubblici Imagine del Salvatore, della Madonna ò
dei Santi, ò Sante con ornamenti indecenti, ò altra cosa profana[…]
(Camillo
Borghese, Editto sull’esame preventivo delle immagini sacre)
Il volto della donna dipinta come Maria sembrerebbe richiamare i
lineamenti di Lena (Maddalena Antognetti), la “donna” dell’artista,
una bella popolana che esercitava il meretricio (secondo alcuni
cortigiana, secondo altri meretrice zozza) che già in altre
occasioni Caravaggio aveva usato come modella e per la quale si era
battuto in una rissa con il notaio Mariano Pasqualone ed era pure
finito sotto processo; in realtà si tratta di quello di un'altra
prostituta (a quel tempo Roma pullulava di prostitute e
cortigiane, che si
concedevano anche ad ecclesiastici), Anna Bianchini detta “Annuccia”.
Nata Siena nel 1580, giunta a Roma intorno al 1593 (con un’altra
modella di Caravaggio, Fillide Melandroni, insieme alle
rispettive famiglie -figlie e sorelle di altre prostitute-entrambe,
poi, avviate giovanissime al meretricio),
dai capelli rosci e lunghi,
come la tramanda l’artista e come risulta dai verbali del Tribunale
del Governatore, esuberante e vivace, fu ben nota alla
polizia perché presente in molte risse e come frequentatrice di
pittori. Annuccia, che compare anche in altri tre dipinti di
Caravaggio, Maddalena penitente (1594), Riposo durante la
fuga in Egitto (1597) e Marta e Maddalena (1598), fu la
più sfortunata delle sue modelle, finendo i suoi giorni, a soli 25
anni, annegata nel Tevere. Pare che Caravaggio fosse molto legato a
questa giovane, alla quale l’accomunava il temperamento impetuoso, e
fu probabilmente proprio il turbamento seguito al ritrovamento del
suo cadavere a spingerlo alla rappresentazione del corpo enfiato
della Madonna. La pala, respinta con sdegno dai carmelitani scalzi che, offesi dal
realismo poco ortodosso della Vergine, non avevano compreso la
sconvolgente umanità che intendeva sottolineare l’artista attraverso
il cadavere di una giovane donna annegata dalle gambe scoperte e
gonfie, venne tolta dall'altare, ma, dietro consiglio di Rubens, nel
1607 fu acquistata, per la somma di 280 ducati d'oro, per la
collezione del Duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga, dal cardinale
Ferdinando Gonzaga (che, qualche anno dopo, si sarebbe anche lui
mobilitato per far ottenere a Caravaggio il perdono papale per
l’assassinio del Tommasoni), poi passò nelle raccolte di Carlo I
d'Inghilterra e infine in Francia. Per la sua straordinaria potenza
innovativa grande entusiasmo suscitò il dipinto fra gli artisti del
tempo che, conquistati proprio da ciò che aveva indignato i
religiosi, cioè l’estremo realismo con cui l’autore aveva
raffigurato la Madonna e l'avere introdotto nelle scene sacre la
quotidianità nei suoi aspetti più umili, novità che ancóra oggi
affascinano noi contemporanei e rendono Caravaggio il grande
innovatore della pittura religiosa seicentesca, pretesero che
l’opera fosse esposta al pubblico dal 7 al 14 aprile, prima che
lasciasse Roma per Mantova. L’ambiente umile entro cui collocò la scena,
sovrastata da un drappeggio rosso cupo, ricadente in rivoli di luce
scarlatta, unico elemento sfarzoso fra tanta povertà, suscita una
toccante commozione, perché comunica subito un'impressione di
dignitosa miseria: è una squallida stanza, con un semplice soffitto
di legno grezzo e le pareti rozzamente intonacate, ove, collocato al
centro, abbandonato su un povero letto, giace il corpo senza vita
della Madonna. Ha un volto giovanile, come a voler ricordare che,
per volontà divina, le sono state risparmiate le devastazioni della
vecchiaia; è vestita di rosso (colore il cui nome deriva dal latino
rutilus e ruber
che, concettualmente, significano “sangue e vita”, e che, nella
simbologia cristiana, rappresenta la passione di Cristo ed il suo
sangue versato, il martirio e la fede fervida), rosso come il grande
drappeggio, simile a un sipario, che dal soffitto pende sopra di lei
e che sembra volteggiare verso l’alto come manovrato da forze
invisibili. È priva di qualsiasi attributo divino, ad eccezione
dell’esile cerchio di luce dietro il cupo, che brilla nell’oscurità,
segno distintivo degli esseri dotati di una spiccata spiritualità,
come gli angeli e i santi, che indica ciò che di più nobile ha
l’essere umano: la testa, sede dell’intelletto e veicolo
dell’elevazione spirituale. Le sono accanto gli Apostoli addolorati,
che si addensano diagonalmente intorno al suo letto nella zona
d’ombra a sinistra del cataletto, illuminato a bagliori; in primo
piano, rannicchiata su una scarna sedia, raggomitolata su se stessa,
c’è la Maddalena che piange con il capo abbassato e sorretto dalle
mani. Alle spalle degli Apostoli, i cui gesti sono fortemente
patetici, tre astanti confabulano, come ad interrogarsi
sull’inaspettato accaduto; un altro personaggio, quasi di profilo,
rivolge lo sguardo verso qualcuno che si allontana. Attraverso il cadavere abbandonato, con la mano destra sul ventre
gonfio (a ricordare all’osservatore che un giorno lì, in quel ventre
benedetto, una sacra vita aveva pulsato), i piedi nudi esposti già
rigidi (forse per il sopravvenuto rigor mortis), il
braccio sinistro inerte sul cuscino, la bacinella di rame, in basso,
quasi al centro, contenente la soluzione d'aceto pronta per bagnare
le bende con cui lavare le spoglie mortali, Caravaggio mostra
apertamente la morte “terrena”, come ad insinuare un dubbio sulla
possibilità di un aldilà, sgomento di fronte all’evento definitivo
ed irrevocabile, ma la diagonale di luce che filtra da sinistra
verso destra lambendo le teste calve degli Apostoli, accarezzando il
dolcissimo volto di Maria
dai capelli scomposti sul cuscino, per
approdare, infine, sul collo della Maddalena, comunica un messaggio
spirituale, non di fine, ma di principio, non di disperazione, ma di
speranza: è la luce salvifica del Divino che tutti illumina, persino
il più grande peccatore, e che attesta una forma di “esistenza”
oltre. Caravaggio non immortala la Madonna secondo l’iconografia classica,
il suo corpo è rigido, non fulgente, intorno a lei non ci sono
schiere melodiose di messaggeri celesti, non tripudio di fiori; non
c’è la palma, simbolo del trionfo del martirio sulla morte, che,
come tramanda la
Legenda Aurea,
lei stessa aveva chiesto all’evangelista Giovanni di portare nella
cerimonia della sua sepoltura; non gigli, simbolo della sua castità
e purezza, suoi attributi sempre presenti nelle scene che la
rappresentano; non rose, celebranti il suo essere “rosa senza
spine”, perché, immacolata e vergine, non essendo stata mai toccata
la sua anima dal peccato, perciò, preservata immune da ogni colpa
originale, finito il corso della sua vita, per l’unione spirituale e
corporea con il Cristo glorioso, fase finale ed eterna della
redenzione, non dovette attendere la fine dei tempi. Nessuna presenza ultraterrena, nessun segno di una realtà
soprannaturale viene a turbare l’eccezionale realismo della scena,
in cui ogni elemento concorre a sottolineare la tragicità del
momento: il povero corpo morto della Madonna, con indosso una veste
semplice slacciata sul corpetto come a volerle dare respiro, disteso
su una tavola di legno che funge da catafalco, gli Apostoli,
sapientemente raggruppati, uomini anziani che, variamente, esprimono
il loro dolore (san
Giovanni in piedi a destra,
composto e pensoso, la testa appoggiata a una mano,
compreso nel dolore
e come assorto in malinconiche riflessioni,
accanto a lui un altro Apostolo con le mani sugli occhi ad asciugare
le lacrime come un bambino,
un altro ancóra che si copre gli occhi e, come per soffocare il
dolore, si porta una mano alla gola), in basso la Maddalena affranta,
sprofondata in un pianto vero come per il lutto di una persona cara,
tutto
delineato da un’intonazione cromatica scura, con dominanza di rossi,
accompagnato, però, da efficaci effetti di luce. Contro l’iconografia ufficiale, che
prescriveva che la Vergine, Madre del Cristo Redentore, limpida
nell’anima perché preservata dal peccato, fosse rappresentata non
nella carnale scomparsa dalla terra ma nel momento del transito in
Cielo, dalla vita terrena a quella spirituale, alla celeste gloria
in anima e corpo, in un contesto gioioso e luminoso, Caravaggio, in
evidente impegno naturalistico, guardando agli uomini e alle cose
con occhi disincantati, in opposizione all’ideale umanistico che per
due secoli si era adoprato per offrire la figura umana nella luce
migliore, e sottomettendo ad esso ogni altro elemento figurativo,
“osò” raffigurarla morta come una qualsiasi donna comune, come una
popolana annegata nel fiume, come una peccatrice, come la peccatrice
che le siede accanto nel dipinto, perché, riflettendo sul mistero
della morte, suo intento era ricordare che accomuna tutti, la Madre
del Cristo e la meretrice. Mai prima la pittura aveva offerto una simile rappresentazione della
morte della Madonna, in una stanza così umile, con la Vergine tanto
povera e fragile, e gli Apostoli e gli altri presenti così
profondamente addolorati, tutti in lacrime, soprattutto la
Maddalena, che sembra una serva che piange a dirotto. In eccesso di
umanizzazione del sacro, tanto ricercato dall’artista, trasportato
nel quotidiano, nell’urgenza di rappresentare “il vero”, più che una
morte eccezionale il dipinto sembra evocare la morte di una donna
comune, circondata da gente comune che la piange, più afflitta, meno
afflitta, nel vario disordine della vita reale. Eppure Caravaggio
non era blasfemo, dissacrante, la sua spiritualità si legava alla
lezione etica di san Carlo Borromeo (1538-1584) e all’apostolato di
san Filippo Neri (1515-1595) che praticava una “religione di
strada”, cercava la verità cristiana nella realtà, perciò
rappresentava le storie sacre raffigurando persone vere, per
riportare il sacro nel quotidiano.
Ma rappresentare la morte di una donna eccezionale come quella di
una donna reale
“morta gonfia”, cioè del cadavere di un’annegata, offrendola, senza
ritegno, con le “gambe scoperte”, privandola di ogni sacralità,
mostrando non il transito soprannaturale ma la tragedia di un evento
umano in cui è il terreno dolore corale e non la spirituale gioia
del passaggio alla vita celeste ad essere esaltato, proprio non
poteva piacere ai religiosi, perciò il dipinto venne considerato
insolente e bandito dalla maggior
parte della curia romana. Non era la prima volta che un suo quadro veniva rifiutato, ma questo
ennesimo rifiuto dovette essere ben più duro per Caravaggio, tanto
osannato, poi così accerchiato da sfavori, la cui vita, da allora in
poi, assunse risvolti ancóra più drammatici, con l’uccisione di
Ranuccio Tomassoni, la fuga e il drammatico finale sul litorale
maremmano, tanto che Giulio Mancini, che aveva seguito l'intero
svolgersi della vicenda, parlando anche con i padri dell'ordine
carmelitano, si chiese se quella delusione non potesse, in qualche
modo, legarsi agli sviluppi della vita dell’artista, così annotando:
Quei buoni padri non lo volsero e forsi quel poverello patì tanti
travagli di sua vita.3 Infine la stupenda tela fu presto tolta dall’altare e posta in
vendita, e Caravaggio si avviò al turbolento epilogo della sua vita,
morendo malamente, come appunto male avea vivuto,4
senza aver mai più fatto ritorno a Roma. Caravaggio che, prima della Morte della Madonna, aveva già,
in un lavoro giovanile, rappresentato la Vergine nel Riposo
durante la fuga in Egitto (1595-1596), ritraendola come una
madre che dolcemente coccola il suo bambino, tornò ancóra
sull’iconografia della Madonna realizzando, sempre in personale
rappresentazione fedele al “vero”, altre umanissime, ma provocatorie
e ortodosse figure: la Madonna di Loreto (1604-1606), la
Madonna dei Palafrenieri (1605-1606) e la Madonna del Rosario
(1607). La Madonna di Loreto, nota anche come Madonna dei
Pellegrini, fu l’ultima importante commissione ricevuta a Roma
da Caravaggio. L’opera maturò sull’eco del Giubileo tenutosi a Roma
nel 1600, avvenimento eccezionale che, per l’affollamento dei
pellegrini, certamente dovette molto colpire l’inquieto e
turbolento pittore e lasciare un segno nella sua tumultuosa e
tragica esistenza.
Caravaggio, Madonna di Loreto o Madonna dei Pellegrini
(1604-1606).
Esulando dall'iconografìa tradizionale del tema, Caravaggio
rappresentò la Vergine che appare col Bambin Gesù a due anziani
pellegrini, un uomo e una donna, simbolo di tutta l’umanità, mal
vestiti e con i piedi nudi e sporchi per il pellegrinaggio,
inginocchiati in adorazione, come una semplice donna del popolo,
vestita dimessamente, con i capelli scuri raccolti, con in braccio
il suo bambino, ferma sulla soglia di un'umile casa, a uno stipite
della quale è appesa una pelle di capretto. Quest’interpretazione quotidiana del tema, presentare Maria come una
popolana di fronte ai due viandanti con i piedi sporchi, suscitò
riprovazione da parte dei critici, per la mancanza di decoro e
perché non sottolineava a sufficienza la devozione e la sacralità
del tema. Ma ciò che maggiormente inquietò dell’interpretazione
caravaggesca non fu la rappresentazione dei piedi sudici dei
pellegrini, elemento di grande realismo che non suscitava sdegno
perché una condizione imprescindibile del pellegrinaggio era proprio
che il cammino dovesse essere fatto a piedi scalzi, ma l’aver
rappresentato la Madonna priva di sacralità, come una donna
semplice, atteggiata in posa naturale e, per di più, con il volto di
“Lena”, Maddalena Antognetti, la cortigiana nota in città per essere
stata l'amante di molti potenti e per aver avuto non pochi guai con
la giustizia. E poco importava che per la posa e il profilo della
Vergine Caravaggio si fosse ispirato ad una statua classica e che,
in forte aderenza al vero, ricordando che la tradizione voleva che i
fedeli percorressero scalzi l’ultimo tratto di strada che portava al
santuario, avesse rappresentato i pellegrini con i piedi sudici per
esaltare, appunto, il tema del pellegrinaggio ed esortare, così,
alla fede: restava il fatto che, di fronte ad una Madonna con il
volto di una prostituta la gente non era disposta a raccogliersi in
preghiera. L’opera non fu tolta dall’altare, ma, come annotò
Giovanni Baglione,
suscitò estremo schiamazzo.5 Anche la Madonna dei Palafrenieri, commissionata a Caravaggio
per l’'altare
della confraternita dei Palafrenieri nella cappella di Sant'Anna in
San Pietro, suscitò clamore: la pala venne rifiutata per mancanza
di decoro e ceduta al cardinale Scipione Borghese, il quale
immediatamente la espose
nel grande salone d'ingresso di villa Borghese.
Caravaggio, Madonna dei Palafrenieri (1606).
Aderendo alla richiesta dei committenti, Caravaggio aveva
raffigurato Maria col Bambino nell'atto di schiacciare il serpente,
simbolo del peccato originale, alla presenza
della madre Anna, la santa patrona dei Palafrenieri papali; come
stabilito dalla bolla papale con la quale Pio IV nel 1569 aveva
posto fine a una accesa polemica tra cattolici e protestanti,
Caravaggio aveva rappresentato il serpente pestato dalla Vergine
con l'aiuto del Figlio. Nonostante si fosse attenuto fedelmente alla prescrizione, il
dipinto non venne accettato dai committenti perché, come riferisce
Bellori, erano ritratti in esso vilmente la Vergine con Gesù
fanciullo ignudo. Ciò che infastidì fu che, rompendo con la
tradizione, Caravaggio aveva offerto un'interpretazione
naturalistica delle Sacre Scritture, attraverso una pittura di
acceso realismo, imprimendo alla scena un carattere domestico,
esaltando i connotati realistici e umani dei personaggi,
caratterizzando Maria vestita come una “lavandaia”, sant’Anna come
una “vecchia ciociara”, il Bambino nudo e con un’età difforme dalla
tradizione figurativa, soprattutto, utilizzando come modella per la
figura della Madonna la famosa cortigiana Maddalena Antognetti. La Madonna del Rosario, presumibilmente eseguita per la
famiglia Carafa Colonna dopo che Caravaggio, in fuga da Roma dopo
l’assassinio di Ranuccio da Terni, aveva raggiunto Napoli intorno
alla fine del 1606, è, forse, la prima grande tela eseguita a
Napoli e determinò una svolta decisiva nell'arte della città
campana.
Caravaggio, Madonna del Rosario (1607).
La scena, illuminata da una luce radente che fa emergere dal fondo
scuro le figure con vigoroso plasticismo, rappresenta la Vergine col
Bambino sotto un ricco tendaggio rosso annodato, seduta
sopraelevata, che appare a san Domenico mentre distribuisce rosari
ai poveri. All'estrema destra san Pietro Martire indica la
miracolosa apparizione; tre lazzari napoletani scalzi protendono le
mani verso san Domenico; entrambe inginocchiate stanno una giovane
donna con la figlioletta. Nel gruppo all'estrema sinistra è
raffigurato, quasi schiacciato verso il margine del dipinto, con la
testa girata verso lo spettatore, un uomo vestito di nero, con una
gorgiera bianca, probabilmente Luigi Carafa, il committente
dell’opera. La composizione, insolitamente affollata, rivela un
gusto per scene ricche di figure e di complessa struttura,
confermato dalle Sette opere di misericordia (opera in cui
pure è presente la Madonna che, con il Bambino fra le braccia,
dalla “balconata” formata dagli angeli, assiste all’affollata scena
degli episodi che illustrano le opere di misericordia). Rispetto
alle opere romane, per esempio la Madonna dei Pellegrini, i
fedeli non si rivolgono direttamente alla Vergine, che sembra
invisibile al gruppo dei poveri, ma si protendono verso san
Domenico, scegliendo come intermediari i domenicani. Questa pala, al contrario di altre tele del Caravaggio, come La
morte della Madonna, non fu considerata indecorosa, giacché qui
tutto è nel pieno rispetto del tema teologico, casto e sacro, unico
elemento per qualcuno disturbante, ma non scandaloso, forse, i piedi
impolverati dell’uomo implorante in primo piano che accentuano il
sapore realistico della descrizione, tuttavia, per motivi che
restano oscuri, non venne mai collocata nella cappella di famiglia
dei Carafa, ma fu donata verso il 1620 alla chiesa dei Domenicani di
Anversa da un gruppo di artisti tra i quali Rubens, Jan Brueghel e
van Balen.
NOTE
1)
Esemplare rappresentazione del
tema è la tempera su tavola Cristo con l'animula della
Madonna, facente parte
della pala
della
Morte
della
Vergine,
dipinta da Andrea Mantegna nel 1462 oggi al Prado, in cui si vede
appunto, il Cristo che, fra nuvole e angeli, ascende al Cielo
tenendo fra le mani una statuetta rappresentante una bambina, ossia
l’animula della Vergine.
2)
G. Mancini,
Considerazioni sulla pittura.
3)
Op.cit.
4)
G. Baglione,
Vita di Michelangelo da Caravaggio pittore.
5)
G. Baglione, Le vite de’ pittori, 1642.
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