Francesca Santucci

 

Artemisia Gentileschi

 

(Francesca Santucci, “Donne di Caravaggio”, Kimerik 2015 estratto)

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Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613)

 

Artemisia Gentileschi, da molti considerata la più raffinata fra tutte le artiste, nata a Roma, dove imparò a dipingere dal padre Orazio; entrambi influenzati da Caravaggio, condivisero la sua passione per un deciso realismo e drammatici effetti di luce. Attiva a Firenze, Napoli e Venezia, Artemisia trascorse alcuni anni anche a Londra, dove aiutò il padre a portare a termine un’opera commissionatagli da Carlo I.
Divenuta celebre al suo tempo come ritrattista, oggi è ricordata soprattutto per i magnifici dipinti di eroine bibliche come Susanna, Betsabea, Esther e Giuditta.
Attratta, come altri caravaggisti napoletani, dalla violenza espressiva del maestro, predilesse in particolare proprio il tema biblico di Giuditta e Oloferne, che rappresentò con cruda intensità in almeno sei diverse versioni e, sebbene la storia fosse stata affrontata anche da altre artiste dell’epoca, i suoi dipinti sono certamente i più cruenti.
Probabilmente l’ossessivo interesse, e la crudezza con cui lo espresse pittoricamente, si possono far risalire ad una sorta di vendetta contro la prepotenza maschile, avendo subito, quando aveva 19 anni, da parte del pittore Agostino Tassi, artista della bottega del padre, uno stupro, al quale seguì un processo durato cinque mesi, nel corso del quale gli inquisitori la torturarono con uno schiacciapollici per accertarsi che dicesse la verità.
In Giuditta che decapita Oloferne, realizzato fra il 1612 e il 1613, Artemisia compose una scena brutale e efferata, dominata dall’audacia di Giuditta. Giovane e avvenente, non vestita da vedova, ma in sfolgoranti e seducenti abiti da festa, aiutata nella missione dall’ancella, che insieme a lei tiene fermo l’uomo, con un colpo di scimitarra gli taglia la testa.

 

 

Artemisia Gentileschi, Salomè con la testa del Battista

 

Riprese il drammatico tema della testa mozzata affrontato da Caravaggio la pittrice Artemisia Gentileschi, sua seguace, oltre che nelle varie versioni di Giuditta che decapita Oloferne, anche in Salomè con la testa del Battista, in cui, in grande forza espressiva, raffigurò Salomè che guarda dritto in faccia il macabro trofeo sanguinante, offertole dal caravaggesco carnefice che ancóra nella mano impugna la spada con cui ha compiuto il misfatto.
Mai dimentica degli oltraggi subiti in gioventù, lo stupro ed il vile pubblico processo, sempre Artemisia amò dipingere eroine storiche, sia vittime che  carnefici, forti e coraggiose, nei confronti degli uomini vendicative e capaci di gesti audaci ed estremi, tanto che Roland Barthes definì le sue opere “una rivendicazione femminile”.

 

 

 

Artemisia Gentileschi, Santa Caterina (1618-19)

 

La vicenda di santa Caterina continuò ancóra, variamente declinata, ad essere interpretata nei secoli, e molto appassionò i seguaci di Caravaggio, tra cui Artemisia Gentileschi, pittrice di talento di chiara impronta caravaggesca, nota per i ritratti di figure femminili fiere e appassionate, convinta seguace dell’artista lombardo, dal quale ereditò l’interesse per i principi naturalisti, per l’illuminazione violenta e per le tensioni emotive delle situazioni psicologiche, e che, si ipotizza, conobbe di persona a Roma, essendo il pittore in rapporti familiari con suo padre Orazio, nella cui bottega usava recarsi a prendere strumenti in prestito.
Fra il 1618 e il 1619, verso la fine del suo soggiorno a Firenze, Artemisia eseguì il ritratto di Santa Caterina probabilmente servendosi, come il maestro, di una donna reale come modella, forse se stessa, o forse Maria Maddalena d’Austria, moglie del duca Cosimo II de Medici, alla quale potrebbe alludere la sfarzosa corona tempestata di gemme che ha sul capo. La santa, colta in posa contemplativa, ma in grande fisicità, è abbigliata con una ricca veste di velluto rosso, con la palma del martirio nella mano destra, la sinistra appoggiata alla ruota della tortura.
Sia nel soggetto che nell’espressività della figura rappresentata Artemisia Gentileschi si rivela anche qui splendida interprete dei temi del maestro, la cui lezione ben apprese essendo stata a contatto con molti caravaggisti di seconda generazione, sia italiani che stranieri, confluiti a Roma durante il secondo decennio del Seicento, contribuendo, poi, in modo decisivo, quando, nel 1630, si stabilì a Napoli, all’evoluzione del caravaggismo partenopeo, che a lungo continuò ad essere una forza vitale della pittura italiana.

 

da leggere anche qui:

http://www.letteraturaalfemminile.it/artemisiagentileschi.htm

 

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