ad
Angela
Ametista, adularia,
avventurina, calcedonio, corniola, ematite, fluorite,
galalite, ossidiana, quarzo ialino, quarzo citrino, quarzo
rosa, rodocrosite, rubino, smeraldo, malachite, tormalina,
turchese, smeraldo, rubino: hanno nomi fantasiosi, delicati,
gentili, lievi come petali di rosa al vento, puri come acqua
di sorgente, i cristalli, le pietre, i minerali, le gemme
preziose, le semipreziose, dure, dense, luminose, pure,
materia al grado massimo della loro coesione, magiche e
misteriose creature incorruttibili, generate nella notte dei
tempi nelle profondità delle viscere della terra, destinate a
non invecchiare mai. Quando si acquista
una pietra, o una gemma o un cristallo, bisogna ben ripulirlo
da ogni negatività, eliminare ogni precedente residuo fisico
ed energetico mediante il rito della purificazione, ponendolo
in un sacchetto e collocandolo fra due strati di sale in un
recipiente non metallico, per un numero di giorni dispari a
scelta, poi esporlo bene al sole per almeno mezz’ora. Per ricaricare la
nostra preziosa gemma occorre scegliere un luogo in penombra,
avviare una rilassante musica di sottofondo, e lì tenerla fra
le mani e respirare profondamente, finché non si avverta netta
la percezione di essere entrati in sintonia con lei: allora si
proverà una sensazione di profonda beatitudine, come per
incanto si percepirà la sensazione della fisicità del proprio
corpo; la stanza in cui saremo, con gli oggetti e le pareti ed
ogni cosa intorno, svanirà d’incanto per lasciare spazio ad un
tutto unico in profonda compenetrazione energetica. Tramite la
gemma l’energia dell’intero creato fluirà in noi, e proveremo
una sensazione di profonda pace. Dopo, così
ricaricata, avrà sempre bisogno di luce e sole, per questo non
dovremo mai riporla in luoghi bui e nascosti. Era l’adularia, la
pietra di luna, la mia preferita (ma amavo anche lo smeraldo e
l’ametista e la malachite e la turchese), sacra alle Dee,
considerata la pietra dei desideri e della rigenerazione,
capace di esaltare la femminilità e di equilibrare il lato
femminile degli uomini, di aumentare le capacità psichiche e
intuitive, attenuare il comportamento "lunatico", assorbire
dispiaceri, sofferenze e malesseri, sostenere ed incoraggiare,
ma ora solo il cristallo di rocca (quarzo ialino, “krystallos
yalos”, cristallo trasparente,
simbolo di purezza, innocenza, verità, pura bellezza) indosso,
in tutte le sue forme, ciondolo, pendenti, bracciale, collane,
anche se mi rattrista pensare alla violenza che questo
minerale, spirito di luce, deve subire per essere tagliato,
levigato e modellato per poter essere variamento convertito in
oggetto di nostro piacere. Quanto simile il
destino di noi umani a quello dei minerali, prima protetti
nelle sacre profondità, poi esposti alla furia dell’esterno! … Oggi trasloco, vado
via, per scelta, dalla mia vecchia casa, ed ecco, mi sento
come la gemma strappata a viva forza dalla sua roccia, ma sono
consapevole che questo strappo non mi annienterà, bensì
m’infonderà nuove energie, guidandomi dal buio verso la luce. Volgo intorno lo
sguardo e vedo le valigie, i borsoni, i mucchi di libri
allineati, le scatole, gli scatoloni, i mobili fasciati, in
attesa di andare. Guardo le pareti
della mia casa e mi sembra che assomiglino ai quadri dei
pittori surrealisti, mi pare che abbiano occhi con i quali per
anni ne hanno scrutato gli avvenimenti, occhi con i quali
ancora mi fissano e minacciosi mi ammoniscono per questo
trasloco che appare loro come una fuga. E mi sembra pure che
abbiano orecchi per udire i miei sospiri di stanotte, così
come hanno udito sorrisi e risa, grida ed imprecazioni,
lamenti e silenzi nelle notti e nei giorni infiniti della mia
solitudine. Per anni e anni e
anni ho abitato in questa casa, mi pare quasi di rivedermi
bambina infiocchettata con i nastrini rosa fra i capelli ben
pettinati, con le calzette bianche sempre linde e immacolate,
le morbide scarpine di pelle, stupita, non felice, felice mai,
con i miei genitori sempre inquieti, insoddisfatti,
imbronciati, litigiosi, a rimproverarsi e a rinfacciarsi colpe
e torti, reali o immaginari; poi adolescente insofferente,
irrequieta, costretta con la testa china sui libri per non
deludere le loro aspettative, soprattutto quelle di mio padre,
severo, pedante, perennemente immusonito, precocemente
ingrigito, mia madre, invece, donna un po’ farfalla, sempre
svagata, persa dietro le sue fantasie. E poi il tempo delle
malattie, di mio padre, prima, di mia madre, poi. Allora
queste pareti sembravano grondare sofferenza e sangue e dolore
e morte, e quando rincasavo mi pareva d’entrare in una chiesa,
in un convento, in un lazzaretto, in un ospedale, in un
cimitero, in una tomba. M’investiva, m’aggrediva l’amaro odore
dei medicinali e quello di ostia, incenso e sacrestia emanante
dallo svolazzare delle uniformi delle infermiere prezzolate e
non pietose, e delle tonache di preti e suore che circolavano
per casa a tutte le ore, soprattutto queste ultime ossequiose
e accondiscendenti verso mia madre, grande loro benefattrice,
che le aveva fortemente volute, prima per il marito e poi per
se stessa. E l’odore si
confondeva con i suoni monotoni e un poco cantilenanti dei
rosari fervidamente recitati, prima per chiedere la grazia
della guarigione e poi come viatico per l’anima nell’imminente
trapasso, e diveniva un insopportabile olezzo che mi pareva
già quasi di cadavere, finché non giunse il momento in cui,
prima per l’uno, poi per l’altro, davvero arrivò la Signora di
bianco vestita! Allora pensai che
potesse finalmente cominciare la mia vita, dal buio alla luce;
seppure mentalmente prostrata dal dolore per i recenti lutti e
fisicamente provata dalle notti trascorse a confortare,
assistere, vegliare, mi sentii il cuore leggero come una
piuma, ora potevo vivere la mia vita, libera di decidere, di
scegliere, anche di sposare l’uomo che amavo e che i miei
genitori avevano sempre ostacolato. E mi parve che nelle
pareti si aprissero squarci, varchi, finestre, dalle quali
poter intravedere, presagio di future gioie, cieli
luminosamente azzurri contro i quali si stagliavano rami
ornati di rosei e candidi boccioli di mandorli, ciliegi e
albicocchi in fiore…ma… altre delusioni, altri dolori mi
attendevano al varco. Quelle finestre
immaginarie rapidamente come s’erano dischiuse si chiusero, e
ripiombai nel buio. Come pazza una notte
mi alzai dal letto, m’era parso di sentire delle voci,
avvertivo dei movimenti…ne ero certa: la casa viveva, aveva
vita propria, vita funesta. I fiori profumati nei vasi mi
parvero erbe velenose, le tende di candido voile grigie
ragnatele, ogni cosa convertita, trasmutata, cambiata
nell’opposto suo negativo. A piedi nudi, i
capelli scarmigliati, la camicia da notte che mi fluttuava
intorno come ali di farfalla, nel buio cominciai a toccare a
tastoni ogni parete, di ogni stanza: cercavo uno squarcio, un
varco, una finestra per fuggire, per sfuggire all’animosità
maligna ed ostile della casa… Non trovai nulla, solo mura
impietose, senza calore, senza vita! Mi ridestai all’alba,
infreddolita, accucciata in terra, raggomitolata in me stessa,
a ridosso della parete della mia stanza dov’era collocata una
vera finestra; pazza che ero, ricordai che avevo pensato di
buttarmi di sotto! Il mio sguardo si posò sulla enorme drusa
di cristallo di rocca che usavo come fermacarte. Quel
cristallo trasparente, quella “pietra di luce” dalle mille
punte che gli sciamani ritenevano provenisse direttamente dal
Cielo, mi
sembrò circondarsi
di un alone luminoso ed investirmi tutta con la sua ricca
energia, tanto da avvolgermi come in una spirale di luce e
rendere me stessa fonte di energia. D’improvviso mi sentii
invadere da una sensazione di pace e di armonia, dissolto ogni
conflitto, ritrovavo calma, forza e coraggio per
intraprendere, finalmente, il cambiamento. Allora decisi: sarei
andata via, avrei abbandonato per sempre quel luogo nefasto,
via, via, via… Ed oggi vado, vado
via di qui PER SEMPRE! Prenderò le ultime mie cose e me
n’andrò. VIA! VIA! Sbatterò anche la porta! Sarò come una
delle mie gemme, mi libererò dalle negatività precedenti, mi
ricaricherò e poi ritornerò a splendere alla luce e al tepore
del sole, sì, sono certa che sarà così. In fondo, il passato
non esiste, non esiste perché è già passato, conto solo
l’oggi, il qui e il subito, ed io sono qui, ora: la mia vita
comincia adesso! Vado verso la luce, torno a vivere!
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