Francesca Santucci

 

UNA GITA AL  LAGO

 

 

(dall'antologia AA.VV., “Racconti  liberi”, Historica edizioni 2023)

 

 

 

 

 

 

Di quanto mi accadde quello strano giorno mai a nessuno racconterò, lo confiderò solo a queste pagine, che saranno le uniche a sapere del mio accadimento e delle mie emozioni, che variarono dallo stupore, all’incredulità, al timore.
Era un tiepido giorno di settembre, e l’amore per la mia terra, con i suoi incantevoli scenari naturali, fra monti, boschi, valli meravigliose, fiumi, torrenti e laghi, nelle cui acque si riflettono i paesaggi incantanti delle montagne, combinata con la passione per le escursioni solitarie e il senso di libertà che mi trasmettono, mi avevano condotto in lunga passeggiata ad un luogo che ancora non avevo esplorato, dove c’è un lago particolare, dal nome molto suggestivo, “Il Lago delle Ninfe”, ma  che mi lasciava un po’ scettico perché sapevo essere non un lago naturale ma un bacino artificiale, formato dalla costruzione di un diga per produrre energia elettrica dall’acqua, sbarrando il torrente e sommergendo l’antico paese.
Spesso avevo sentito dire che, anche se l’origine non è naturale, il  laghetto alpino, di un colore blu e verde scintillante, circondato e abbracciato dal Monte Cristallo, s’incastona perfettamente nel paesaggio, come se da sempre ne facesse parte, ma io amo troppo tutto ciò che era naturale, e quel termine, “artificiale”, mi lasciava dubbioso.
Il lago si trova oltre 1.300 metri di altitudine, in un’incantevole valle popolata da rare baite e numerosi alpeggi, e rallegrata da sorgenti purissime e da una spettacolare cascata a strapiombo.
Tante le storie che circondano questo luogo affascinante. Secondo una leggenda è infestato dalle streghe che, non di rado,  provocano terribili inondazioni nella valle, distruggendo pascoli e campi coltivati.  
Un’altra storia, poi, si lega a un’antica miniera situata in prossimità del lago, dove di notte vi lavorerebbero degli gnomi-minatori per estrarre l’oro da portare alle ninfe, che lo utilizzerebbero per ricavare dei fili dorati con i quali ricamare i loro abiti leggiadri. Con gli avanzi, poi,  le ninfe creerebbero per le fate la polverina magica che le aiuta a volare, e che, cadendo sul lago, lo fanno brillare al sole. In cambio donerebbero  agli gnomi marmellate di frutti di bosco, di cui gli omini sono particolarmente ghiotti.
E ancora un’altra leggenda narra che, quando gli gnomi-minatori sentono arrivare qualcuno, si immobilizzano e diventano statue per non essere riconosciuti.
Incuriosito dal lago e dalle sue leggende, decisi, perciò, di mettermi in cammino per andare a vederlo con i miei occhi.
Per  raggiungerlo mi sarei diretto prima al paese in fondo alla valle e poi avrei imboccato il grande sentiero  che conduce al Monte Cristallo.
Conoscevo già la zona, un’ area particolarmente ricca di alberi, piante e fiori, diversi via via che si sale in altitudine, con  boschi misti di aceri, frassini, querce, castagni, noccioli,  più a monte con faggete, abeti bianchi e rossi,  larici,  ontani, e, infine, conifere, come il pino silvestre e il pino cembro e mugo, con il sottobosco ricco di cespugli di mirtilli e lamponi, abbondanza di funghi,  soprattutto porcini e gallinacci, e i prati costellati in primavera da anemoni, viole, rose canine, denti di leone, ginestre, ciclamini, gigli, genziane, ancora più in alto regno di sassifraghe, muschi e licheni, luogo bellissimo, privo soltanto di stelle alpine, impossibili da trovare poiché prosperano su terreno calcareo, qui quasi inesistente.
Godetti nell’interezza del piacere dell’escursione, avventurandomi in percorsi che amavo e, seguendo le indicazioni, non faticai molto ad arrivare alla meta della mia gita, il Lago delle Ninfe, che mi apparve subito come una magica visione, collocato in uno  scenario da sogno. Immerso nei boschi di conifere, con le sue acque smeraldine riflettenti la vegetazione circostante, era splendido!
Mi attardai a contemplarlo e compresi nell’interezza il motivo della sua fama, dovuta a quelle acque che davvero sembravano magiche. Se socchiudevo gli occhi i mille scintillii del sole sulle acque si trasfiguravano e parevano assumere eteree sembianze femminili, forse proprio quelle delle ninfe. Rinfrancato   lo spirito dallo spettacolo della natura che, sempre, m’imprime grande commozione e infinita serenità,  aprii lo zaino, presi una piccola coperta, la distesi sull’erba e mi sdraiai, a contemplare in libertà e solitudine quelle acque incantevoli, e a fantasticare. Mi ricordai  che quel lago era sorto sullo sbarramento del torrente, fu l’ultimo pensiero, poi scivolai in una sorta di torpore, come avvinto da un incantesimo.
Ora era notte, ma in un punto lontano del lago scorsi un brillio. Cauto mi avvicinai, e vidi un gruppo di giovinette, non ragazze dei nostri tempi, sembravano uscite dai libri di fiabe,  fasciate alcune di tuniche verdi, altre di tuniche azzurre, con veli iridescenti, ricamati con fili dorati che si dipartivano da ghirlande di fiori multicolori intrecciati che adornavano i loro lunghi capelli. Erano sedute intorno a un fuoco.
Senza esser visto, ne ascoltai i discorsi e compresi chi erano e dove vivevano. Erano, quelle vestite in verde le ninfe dei boschi, quelle vestite in azzurro le ninfe dei laghi, e parlavano del torrente, sbarrato dalla mano umana per la costruzione del bacino artificiale. Pur se impedito, intrappolato, ostinato, quello tentava di riprendere la sua naturale corsa, ma invano. A impedirglielo c’era, ormai, da tempo, il Lago delle Ninfe, creature che sanno essere buone, amiche, dispensatrici di benefici, ma anche tremendamente vendicative se fortemente contrariate. E, infatti, ora erano adirate con il torrente, che avrebbe voluto annientare il lago per riappropriarsi del suo legittimo corso, e in quel loro convegno le sentii giurare sugli dei del cielo, del mare e della terra che un giorno si sarebbero vendicate: avrebbero sollevato fino al cielo le acque del lago e avrebbero reso muto per lo spavento il torrente, così nessuno più per l’eternità lo avrebbe sentito gorgogliare. Scagliata la maledizione, passata la furia, ridiventarono buone e si affrettarono a consegnare in dono marmellate di ribes e di lamponi a un gruppetto di nani-minatori, appena arrivati con dell’oro, poi si congedarono fra loro. Le ninfe dei boschi e delle foreste svanirono nella vegetazione, quelle delle acque si tuffarono precipitosamente nel lago, producendo dei cerchi  nelle acque e lasciando fiori delle loro ghirlande dispersi a galleggiare.
Non so quanto tempo rimasi stralunato, ma quando tornai in me, riemerso non da un sogno, perché so per certo di non essermi addormentato, ma da qualcos’altro di cui ignoro la natura, ero profondamente turbato: troppo reali erano stati quei discorsi e l’impeto con cui le ninfe avevano scagliato. la maledizione.  Sussultai. E se avessero attuato la loro vendetta? E se avessero sollevato le acque fino al cielo proprio adesso?

Convenni cosa saggia allontanarmi subito dal luogo- anche perché imbruniva e non volevo farmi sorprendere in montagna dalla notte- e tenere segreta la fantasia che, forse ,suggestionato dalle leggende valligiane e dall’incanto del luogo, la mia mente fervida aveva partorito.
Velocemente mi affrettai a tornare sui miei passi, non prima, però, di aver dato un ultimo sguardo al lago. Con mio grandissimo stupore notai sulle acque, qui e là, degli strani cerchi e galleggiare dei fiori, mai visti nella realtà, ma simili a quelli che adornavano le  ghirlande delle creature della mia fantasticheria.
Ma il fatto singolare è che, qualche giorno dopo la mia gita, lessi sul giornale la notizia che alcuni visitatori avevano riferito di aver visto nel Lago delle Ninfe esattamente ciò che avevo notato io: degli strani cerchi e dei fiori insoliti per la vegetazione del posto galleggiare.
Nessuno  mai seppe spiegare la causa di quello strano prodigio.

 

 

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