T’amai, padre, per le tue rughe
sulla fronte
dolente di tormento,
per la malinconia dei tuoi occhi,
persi dietro pensieri cupi
che nel tuo capo gravi
s’addensavano,
come nuvole scure presagio di
temporale
che bambina non potevo
indovinare.
T’amai, padre, per quel tuo largo
sorriso
che raramente t’ illuminava il
viso
ma quando fioriva era di gioia
splendente
e veniva a rallegrare il cuore
dei tuoi cari.
T’amai, padre, per la tua
tenerezza
verso un bambino, un cane, un
gatto, un pulcino.
Ricordo ancora i tuoi baci
furtivi
quando credevi addormentati i
tuoi figli nei lettini,
e le tue carezze gentili al
vitellino
accanto alla sua mamma nella
stalla.
T’amai, padre, per quel tuo
incedere stanco
che a casa ogni volta ti
riportava
sempre più provato dal lungo
peregrinare
per le strade e le autostrade
d’Italia
che di continuo a noi ti
strappavano.
T’amai, padre, quando pesante
gravando sopra le tue palpebre
l'ombra del sonno ti ghermiva.
Come un bimbo nell’abbandono del
riposo
sprofondavi: allora io con mano
velata
venivo a liberarti del giornale e
degli occhiali
che non avevi smesso prima di
addormentarti.
T’amai, padre, per il tuo fiero
orgoglio,
per le lacrime che mai versasti
per colei
che tanto amavi e tanto ti
deluse:
ma bene io conobbi il tuo
silenzioso pianto!
T’amai, padre, anche alla
distanza,
anche in lontananza, anche
nell’assenza,
come questa che irrimediabile
perdura,
della quale ancora non comprendo
il senso.
(poesia finalista alla 16° Edizione del Concorso "Tra un fiore
colto e l'altro donato")
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