dal libro
edizioni Kimerik, settembre 2005
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Io con i miei occhi ho visto Canidia,1 il nero mantello cinto su in vita, slanciarsi, piedi nudi e capelli sparsi, insieme a Sagana2, la maggiore, ululando: il pallore le faceva orrende d’aspetto ambedue. Presero a grattare la terra con le unghie e a sbranare a morsi un’agnella nera; il sangue era versato nella fossa, per evocane i Mani3, anime che avrebbero dati responsi. Con sé avevano un pupazzo di lana ed un altro di cera4; quello di lana era più grande, perché, a forza di castighi, avesse ragione del pupazzo più piccolo; il pupazzo di cera stava in atto di supplice, come chi è destinato a perire alla maniera degli schiavi. Ecate5 invoca una delle due streghe, Tisifone6 crudele l’altra: avresti visto vagare serpenti e cagne infernali, e la luna, fatta rossa, nascondersi dietro le grandi sepolture, per non essere testimone di simili orrori. (Orazio, Satire, I, 8.)
Nel
mondo antico la superstizione imperversò intensa, anche fra i Romani, che
fin da bambini cominciavano ad essere iniziati alla magia e alla
stregoneria credendo nell’esistenza della lamia, una specie di
strega che immaginavano si moltiplicasse in numerose lamie,
spaventosi spiriti cattivi di sesso femminile vaganti di notte, che
terrorizzavano i viandanti, succhiavano il sangue ai bambini vivi e ne
divoravano le carni.
l bambino ancora impubere,
spogliato delle sue insegne di libero, avrebbe intenerito
perfino il cuore crudele dei Traci. Canidia, con serpentelli attorcigliati
tra le chiome scomposte, ordina che
si brucino rami di caprifico e di cipressi funebri
colti in un cimitero, uova imbrattate con sangue di turpe rana, piume di
gufo notturno, erbe provenienti dalla Tessaglia e dall’Iberia fertili di
veleni, e ossa strappate dalle fauci di una cagna affamata.
Sàgana, succintamente vestita, i capelli irti come un cinghiale in corsa o
un aspro riccio di mare, bagna la casa intera con acqua dell’Averno. E che la realtà fosse proprio questa, cioè che pratica comune fosse sacrificare crudelmente i bambini in riti, è avvalorata anche dal triste epitaffio trovato alle Esquilie, che così recita: Giocondo, figlio di Grifo e di Vitale. Mi avviavo verso il quarto anno, ma sono sotto terra, mentre avrei potuto fare la gioia di mio padre e di mia madre. Una strega crudele mi ha tolto la vita. E’ ancora sulla terra, lei, e pratica ancora i suoi pericolosi artifizi. Voi, genitori, custodite bene i vostri bambini, se non volete avere il cuore trapassato dalla disperazione. 7 Le arti magiche, così diffuse nella società romana, erano state deprecate fin dai tempi più antichi; le Leggi delle Dodici Tavole8 si erano infatti pronunciate anche contro gli incantesimi:
VIII, 1
Qui malum carmen incantassit…qui fruges excantassit…neve alienam segetem
pellexeris.
Ed
esisteva anche una legge promulgata da Silla nell’81 proprio per cercare
di contenere il fenomeno ormai diffusissimo della bassa magia, o magia
volgare (l’esercizio di una potenza soprannaturale per scopi malefici),
opposta all’alta magia (il mezzo grazie al quale si entrava in contatto
con la divinità), esercitata con assassinî, la Lex Cornelia de
sicariis et veneficiis. In una lamina di piombo si scriveva il nome esecrato, con una formula di maledizione…e si inseriva la lamina entro un sepolcro, più raramente in un tempio, in un pozzo, entro una sorgente d’acqua calda, di solito fissandovela con un lungo chiodo passato attraverso la lamina…Il nome dei defissi è scritto sempre con cura, per il timore che un’indicazione poco esatta renda inefficace la defissione…Alle formule imprecative si alternano parole magiche…in tarde iscrizioni dell’Africa settentrionale ritornano abitualmente le misteriose parole bescu, berebescu, arurara, bazagra…Per più precisa specificazione si consacrava agl’Inferi anche qualche parte del corpo del defunto: la lingua di solito, o anche le mani, i piedi o la punta dei piedi; orecchi, narici, cervello, unghie, malleoli, sopraccigli, polmoni; quasi sempre l’intelligenza e l’anima. (Paoli) .9
Le
lamine di piombo, tavolette di defissione, sono testimonianza dell’odio
violento, della gelosia e dell’invidia di coloro che le usavano (che non
è escluso che non accompagnassero anche con veri e propri delitti le loro
imprecazioni) e che speravano, consacrandolo alle divinità infernali, di
annientare il nemico: sconfiggere un rivale in amore, liberarsi d’ un
avversario, eliminare un concorrente sportivo. Dei infernali, io vi do, se in voi c’è qualche santità, e vi consegno Lichene, serva di Cariso, e che fallisca in tutto quanto essa fa, in tutto quanto le capita. Dei infernali, a voi do le sue membra, il colore, il viso, i capelli, l’ombra, il cervello, la fronte, le sopracciglia, la bocca, il naso, il mento, le guance, le labbra, la parola, la faccia, il collo, il fegato, le spalle, il cuore, i polmoni, gli intestini, il ventre, le braccia, le dita, le mani, l’ombelico, la vescica, le cosce, le ginocchia, le gambe, i talloni, e piante dei piedi, le dita dei piedi. Dei infernali, se la vedrò putrefarsi, vi offrirò molto volentieri un sacrificio. 10 Ed ancora in questo caso la tavoletta di defissione, aspra ed aggressiva, è rivolta da un gladiatore contro il suo avversario: Uccidete, eliminate, ferite Gallico, generato da Prima, in quest’ora stessa entro la cinta dell’anfiteatro. Legategli i piedi, le membra, i sensi, il midollo. Bloccate Gallico generato da Prima, perché non possa uccidere l’orso e il toro né con un sol colpo, né con due colpi, né con tre colpi. In nome del dio vivo, onnipotente, esauditemi, adesso, adesso, presto, presto. Che l’orso lo urti e lo ferisca! 11
I
luoghi privilegiati per praticare la magia erano i cimiteri, dove le donne
andavano nascostamente a
raccogliere ossa ed erbe per le loro pozioni magiche, per preparare filtri
d’amore o misture per provocare la morte di un nemico, o anche per
celebrare cerimonie e sacrifici.
1) Canidia, da cānus, bianco, canuto, e non da cãnis, era una fattucchiera e avvelenatrice napoletana, una unguentaria, il cui vero nome era Gratidia, storpiato in Canidia da Orazio. 2) Sagana, maior perché aveva una sorella minore, visse ai tempi di Orazio e fu una liberta. 3) Per i Romani le anime dei cattivi o dei defunti in generale. 4) Il pupazzo più grande rappresentava il committente o il demone incaricato del maleficio, il più piccolo il destinatario. 5) Come divinità infernale, Ecate regnava sulle ombre dei morti ed evocava gli spiriti per spaventare gli uomini. 6) Tisifone o Tesifone, la Vendicatrice, era una delle tre Erinni (Furie), divinità infernale, ispiratrice di passioni tragiche e violente incaricata di punire i più gravi delitti di sangue. 7) Catherine Salles, “I bassifondi dell’antichità”, Rizzoli, 1985, Milano, pag. 257. 8) Codice di leggi redatto a Roma tra il 451 e 450 a.C. riguardante tutto il diritto: sacro, pubblico e penale. 9) G. Silvestro, “Aureo Tevere”, Loffredo editore, 1975, Napoli, pag. 250. 10) Catherine Salles, “I bassifondi dell’antichità, Rizzoli”, Milano, 1985, pag. 258. 11) Ibidem.
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