Francesca Santucci
SUPERLUNA
DI SANGUE
(Antologia
AA.VV., "Storie gialle e storie nere",
Kimerik
2020)
Le stelle influenzano i diavoli stessi causando alcune magie
e, pertanto,
essi possono influenzare gli uomini.
Per alcuni uomini che sono chiamati pazzi, sono molestati da
diavoli più tempo rispetto a uno o un altro, e il diavolo non
si comporta così, ma piuttosto li molesta in qualsiasi
momento, a meno che essi stessi sono stati profondamente
colpiti da alcune fasi della Luna
(Malleus Maleficarum)
Credenza popolare vuole
che la Luna piena causi nelle persone una vena di pazzia: è quello
che, pur scettica rispetto a queste fole, voglio credere, ripensando
alla me stessa di quel tempo tragico della mia vita e al folle gesto
commesso come invasata dal demonio.
Ogni cosa rivedo con gli occhi della mente. Accadde il 21
gennaio, non un giorno qualunque (perciò ricordo bene ogni
dettaglio!), ma il giorno tanto atteso da tutti, quello
dell’eclissi totale di luna: la Superluna di sangue. L’eclissi
lunare sarebbe avvenuta all’alba, e il satellite terrestre,
fino al giorno prima lontano e bianco, diventando Luna piena
avrebbe assunto una colorazione rosso-arancio causata dalla
rifrazione della luce riverberata sulla Terra. Di quel 21 gennaio
ricordo il gelo del primo mattino, il paesaggio grigio immerso
in un silenzio irreale, il cielo lattiginoso, il mare bianco
spumeggiante con straordinario fragore, i rari gabbiani
superstiti saltellanti tra i flutti come schegge impazzite in
cerca di un improbabile pasto. Mi ero destata all’alba
ed ero corsa sul lungomare per osservare l’evento spettacolare
che avrebbe squarciato il tetro cielo invernale.
Ero lì da poco quando, in piedi sugli scogli, scorsi Lilia,
con la sua sciarpa nera al vento, i lunghi capelli rossi
all’aria scomposti come tante lingue di fuoco, mano nella mano
con lui. Conoscevo bene
quell’uomo, alto, con i capelli un poco lunghi sulla nuca,
l’immancabile sigaretta fra le dita, lo sguardo sempre
smarrito come a inseguire pensieri lontani, schivo, scontroso,
ma ardente e appassionato nell’amore, lo conoscevo bene perché
fino a non molto tempo prima era stato il mio uomo, ma a
nessuno l’avevo confidato, perché era il marito della mia
amica Lilia, che ora era là, sugli scogli, con lui. Non pensai più alla
Luna, nascostamente cominciai a spiarli, sentendo crescere
sempre più la rabbia dentro di me ad ogni gesto di tenerezza o
complicità che vedevo fra loro, riappacificati, ritornati
felici alla loro vita familiare, in ritrovata intesa dopo la
riconciliazione, dopo che lui si era sottratto alla nostra
relazione clandestina. Mi sentivo come il
cacciatore che attende che la preda gli si pari davanti per
sparare: qualcosa di grave sarebbe accaduto. Dopo un po’ lui si
allontanò, lasciandola sola. Aveva un treno da prendere per
andare al lavoro (lo sapevo bene!). Lilia restò sugli scogli
a guardare il cielo. Lentamente la Luna
cominciò a sparire alla vista, divenne disco a metà, poi
falce, sempre più sottile, fino ad assottigliarsi in una
scheggia luminosa nel cielo nero, poi scomparve. Ora il buio
era totale, solo il mare biancheggiava intermittente della
spuma dei suoi flutti. Il mio cuore più forte palpitava: il
momento di follia era già in agguato. Come in trance
abbandonai il mio nascondiglio e lentamente mi avvicinai a
Lilia, era di spalle, non si accorse del mio cauto avanzare
coperto dalla voce prepotente del mare. Mi parai di colpo
davanti a lei, non ebbe nemmeno il tempo di pronunciare il mio
nome che, con una spinta violenta, la mandai contro gli
scogli. Perse l’equilibrio, barcollò, poi cadde pesantemente
all’indietro e batté la testa. Ora cominciava
l’eclissi, la Luna iniziava a colorarsi. Quando riapparve,
enorme nel cielo, tinta di rosso, Lilia era là, immobile, con
le braccia spalancate, come in croce, il volto bianco di
perla, gli occhi sbarrati ancora increduli. Rimasi per qualche
istante a guardare la sua testa ferita, il sangue rosso che
colava sugli scogli grigi, poi sollevai lo sguardo verso il
cielo. Non so quanto tempo
restai a guardare l’eclissi accanto al cadavere (questo è
l’unico punto che non ricordo di quell’alba tragica), ero come
inebetita, stralunata, mi riscossero le sirene della polizia e
dell’ambulanza in folle corsa sul lungomare, avvisate da
qualcuno che doveva aver assistito alla scena, che, forse,
avevo spiato me come io avevo spiato i due ritrovati
innamorati. Al processo mi
definirono calcolatrice, spietata assassina, dalla spiccata
pericolosità sociale, tale da rendere assai probabile che
avrei potuto commettere altri gravi delitti della stessa
specie, dissero che il mio omicidio era stato un delitto
passionale premeditato da diversi giorni, che avevo seguito la
vittima sugli scogli per ucciderla spinta dal movente della
gelosia e dell’incapacità di accettare la fine della mia
relazione. È vero che mi era
insopportabile il pensiero di sapere di nuovo felice il mio ex
amante con la moglie, è vero che ora Lilia era diventata la
mia nemica numero uno perché, tornando a vivere felice con suo
marito, aveva condannato me ad essere infelice, ma nulla avevo
premeditato, fu un caso trovarla quel giorno e fu un impulso
del momento a spingerla contro gli scogli. Non avrei mai fatto
del male ad un’altra donna. Piuttosto, era lui che avrei
voluto punire, perché, ritrovando il suo equilibrio coniugale,
aveva scaraventato me nella disperazione. È una tragedia enorme
che coinvolge due famiglie, concluse sconfortato
l'avvocato in Tribunale prima di affidarmi al giudizio finale,
che fu unanime: la condanna per omicidio premeditato. E
sono ancora qui, detenuta. No, più non penso a quell’amore lontano che
fu per me tormento e disgrazia ma, ogni volta che fra le sbarre
intravedo la Luna piena, continuo a pensare che quella maledetta alba
di sangue non ero in me e che la mia follia fu guidata da demoni
maledetti che s’insinuarono fin nelle fibre più intime del mio
cervello, infestandolo e spingendomi all’insano gesto, al cui solo
pensiero ancora oggi io tremo.
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