Francesca Santucci
Spero che dolce sonno sia la morte
A mia madre
Spero che dolce sonno sia la morte,
che l’ali sue distenda a ripararti
perché non oda, tu, il tarlo roditore
che rode e che corrode il tuo bel corpo
che a arrugginire nella fossa giace.
Ti sia lieve, davvero, madre, la terra,
che ti riscaldi tiepida dall'infinito gelo
delle notti, che l'una dopo l'altra,
senza tregua, si susseguiranno, l'oro dei capelli
mutando in stinto avorio, cambiando in vuota orbita
colore d'ossa opaco il verde cangiante
dei tuoi occhi, allora luminosi.
Ancora di sole un raggio (almeno uno)
ti risplenda, come il batterio implacabile
che infetta la ferita
pervenga a violentarti
e ti brilli sulle labbra
(che sempre penso morbide
e rosse e calde)
come un sorriso, come un bacio,
come quel bacio che, tremante d'amore,
deponevo io, bambina, tua figlia,
ora solo grumo di sangue,
inconsolabile per il tuo dolore.
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