Francesca Santucci
ROSINA REGINA SENZA CORONA
(AA.VV., "Racconti dal Piemonte ", Historica Edizioni 2023 )
[…]compagna indivisa delle mie pene
(Lettere di Vittorio Emanuele II, vol. I, n. 863)
Rosa Maria Chiara Teresa Aloisia Vercellana, nota come la “Bella Rosina”, popolarmente chiamata in piemontese la “Bèla Rosin”, fu la grande passione del primo re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia, non l’unica, ma la più duratura. Ragazza di prorompente bellezza, dalle forme giunoniche, gli occhi vivacissimi, lo sguardo fiero, una folta capigliatura nera e lucente, ma analfabeta (come il 90% delle persone dell’epoca), sbaragliando tutte le altre rivali, riuscì a diventare prima l’amante e poi la moglie morganatica del re, acquisendo i titoli nobiliari minori di Contessa di Mirafiori e di Fontanafredda, nonostante ciò non prendendo mai veramente parte alla vita pubblica non essendo di nobili origini, tuttavia restandogli accanto fino alla fine dei suoi giorni.
Figlia di
Maria Teresa Griglio e di Giovanni Battista Vercellana, che
era stato
tamburo maggiore del regio esercito,
nacque
l'11 giugno 1833
a
Nizza Marittima (altre fonti
dicono nata a Stupinigi, altre ancora a Moncalvo). Era noto a tutti che Vittorio Emanuele, unito in un matrimonio politico, per rinsaldare i rapporti del Piemonte con l’Austria, con sua cugina, Maria Adelaide d’Asburgo, non disdegnasse le avventure galanti, che avesse avuto diverse relazioni dalle quali erano nati anche numerosi figli (almeno 16, di cui 8 dalla regina consorte, e suo figlio naturale fu anche il futuro generale degli alpini Giacomo Etna), tanto che pare che D’Azeglio, in un’occasione ebbe a dire: “Se continua così, più che il padre della patria, sarà il padre degli italiani”.
Vittorio Emanuele voleva
che la sua quiete familiare non
fosse turbata dalle sue avventure extraconiugali, e Maria Adelaide le
sopportò in silenzio, mostrandosi sempre sorridente e dedicandosi ad
opere pie, perciò la gente la chiamava santa. Vittorio Emanuele si accorse quanto Rosina per lui fosse importante quando fu informato di un suo probabile matrimonio con un sergente dell’esercito. La famiglia della ragazza gli chiese un contributo affinché potesse sposarsi e rifarsi una vita. Fortemente adirato, senza perdere tempo per accertare i fatti, ordinò che l’uomo fosse trasferito in Sardegna e a Rosina impose di stabilirsi a Torino, dove evidentemente poteva farla sorvegliare meglio. La ragazza ubbidì e a Torino s’ installò da quasi-regina, sostenuta da parenti e amici. Rosina gli era sempre accanto, gli prodigava affetto, cure e deferenza, aveva mille premure per lui, gli offriva una vita casalinga. Coraggiosa e brava cavallerizza, lo seguì pure sui campi di battaglia della Lombardia, durante la seconda Guerra d'Indipendenza, con lui andò fino a Napoli, nel 1860, ma nelle cerimonie ufficiali rimaneva in ombra e, per un riguardo a Vittorio Emanuele, i cronisti fingevano d’ignorarla. Un primo riconoscimento ufficiale lo ricevette solo 1’11 aprile 1859, allorché venne nominata contessa di Mirafiori e Fontanafredda, il cui decreto Cavour si rifiutò di firmare, passando il compito al guardasigilli De Foresta. Rosina, felicissima, mise dappertutto, su porte, pareti, tappeti, asciugamani, tovaglie, posate, scarpe, pantofole, borse, il suo stemma da nobile, che come motto aveva: “Dio, Patria e Famiglia”. E a Vittorio Emanuele diede due figli, una femminuccia, chiamata Vittoria (nata nel castello di Pollenzo il 2 dicembre 1848) e un maschietto, chiamato Emanuele Alberto (nato a Castelceriolo il 16 marzo 1851), dichiarati all'anagrafe come figli di ignoti, ai quali successivamente fu attribuito il cognome Guerrieri (cognome che Vittorio Emanuele dava ai suoi figli illegittimi), riconosciuti come legittimi dalla contessa di Mirafiori solo nel 1879, trasmettendo al figlio il titolo di conte di Mirafiori e Fontanafredda. Alla morte della regina Maria Adelaide, avvenuta nel 1855, il legame fra Rosina e Vittorio Emanuele ancor più si rafforzò ma, ovviamente, il futuro re d’Italia non poteva restare scapolo, molte erano le pressioni perché si risposasse, e il primo ministro Cavour si diede da fare per persuaderlo a scegliersi una moglie fra i regnanti d’Europa che, pur essendo a conoscenza delle varie relazioni extraconiugali e del legame con Rosina, dopo la brillante partecipazione alla guerra di Crimea del Piemonte, che, così rapidamente, si stava espandendo, di buon grado avrebbero accettato d’imparentarsi con lui. Napoleone III voleva dare in moglie a Vittorio Emanuele II una principessa dei belgi; altri Elisabetta di Sassonia, la vedova di suo fratello Ferdinando; persino la regina d’Inghilterra, che lo aveva invitato a Windsor per insignirlo dell'ordine della Giarrettiera, e che lo considerava simpatico, brusco e franco, ma di scarsa cultura, avanzò la candidatura della sua bellissima figlia erede al trono d’Inghilterra, Mary (che, però, secondo Vittorio Emanuele, “sapeva troppo di greco e di latino”). Ma, nonostante i vantaggi che avrebbe potuto ricavare da alleanze dinastiche tanto prestigiose e le pressioni del primo ministro Cavour, alle principesse propostegli Vittorio Emanuele, nonostante tradisse anche lei (famosa fu la zuffa che si scatenò fra Rosina e un’altra amante del re, la contessa della Rocca, moglie del generale, ma la prima ebbe la meglio) la preferì, perché, anche se ora amava indossare abiti e gioielli vistosi e appariscenti, era rimasta la donna schietta e autentica che aveva conosciuto, e gli assicurava una tranquilla vita familiare, lontano dagli intrighi di corte. Dopo aver rifiutato molte proposte di matrimoni politici, e aver schivato un tranello di Cavour che, per separare i due amanti, aveva fatto stilare alla polizia un rapporto su falsi amanti di Rosina e glielo aveva fatto recapitare, nel 1863 Vittorio Emanuele e la bèla Rosin si trasferirono temporaneamente in quella che fu sempre la loro residenza preferita, a Venaria, La Mandria, una palazzina chiamata “Bizzarria”, con undici stanze, circondata da un muro di cinta di trenta chilometri, che lui aveva fatto rimettere a posto e ingrandire, dove poter vivere con discrezione, senza alimentare dicerie potenzialmente nocive alla dinastia Sabauda. Qui Vittorio Emanuele, che aveva sempre preferito la caccia e il rigore della vita militare alla vita di corte, trascorreva lunghi periodi in compagnia della sua bella, con lei faceva lunghe passeggiate a cavallo, andava a caccia, giocava a biliardo, ricevendo pochi amici fidati, come Costantino Nigra o Umberto Rattazzi, mai Cavour, ostile a Rosina, ritenuta il discredito della corona. Lei, che era anche una brava cuoca, al suo amato preparava deliziosi manicaretti tradizionali: minestroni, agnolotti, bagna cauda, risotti, tajarin al tartufo, polli all’aglio o alle cipolle, coniglio, filetti al pepe, lumache, arance zuccherate, accompagnati dai buoni vini locali, da lui molto apprezzati, e da rosolio e cognac.
Infine accadde
un fatto imprevedibile che diede una svolta al corso della vita di
Rosina. Nel dicembre del 1869, mentre soggiornava nella tenuta di San
Rossore, in Toscana, il re Vittorio Emanuele fu colpito da una brutta
polmonite che lo condusse alle soglie della morte. Allora, chiese di
ricevere i Sacramenti e l’arcivescovo di Pisa mandò al suo capezzale un
sacerdote che dichiarò che non poteva concedergli l’assoluzione se prima
non avesse provveduto a regolare la scandalosa relazione che aveva con
la contessa di Mirafiori. Vittorio Emanuele diede subito disposizioni
per i preparativi delle nozze. Per quanto riguarda i due figli di Rosina e Vittorio Emanuele, Vittoria nel 1868 si unì in matrimonio con il marchese Giacomo Filippo Spinola, primo aiutante di campo del re e, dopo la morte di lui, con il cognato Luigi Domenico Spinola, con il quale perpetuò la discendenza; Emanuele partecipò insieme al padre alle operazioni militari della terza guerra d'indipendenza nel 1866 e poi fondò la rinomata azienda vitivinicola di Fontanafredda, la cui tenuta era stata acquistata dal re suo padre per sua madre e, successivamente intestata ai due figli, dimostrando grande competenza e rendendo il Barolo un mito nel mondo. Bibliografia
Calvani V. -Giardina A., “La storia dall’Illuminismo ai giorni nostri”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992. Montanelli I., “Storia del Regno d’Italia”, Il Giornale, Società Europea Di Edizioni S.P.A.”, Milano 1982.
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