Francesca Santucci

 

RAGÙ DI CARNE NAPOLETANO

 

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 (dall'antologia  "L'Italia tra tradizioni e antichi sapori", ricettario n.1  AA. VV. Apollo edizioni 2015)

'O RRAÙ 1

'O rraù ca me piace a me

m' 'o faceva sulo mammà.

A che m'aggio spusato a te,

ne parlammo pè ne parlà.

Io nun songo difficultuso;

ma luvàmmel' 'a miezo st'uso.

 

Sì, va buono: cumme vuò tu.

Mò ce avéssem' appiccecà?

Tu che dice? Chist' 'e rraù?

E io m' 'o mmagno pe' m’'o mangià...

M' 'a faje dicere na parola?...

Chesta è carne c' 'a pummarola.

 

Eduardo De Filippo

Ha un profumo preciso, indimenticabile nella mia mente il ricordo della mensa domenicale e festiva trascorsa in famiglia a Napoli, tanto tempo fa, quello del ragù (in dialetto 'o  rraù), simbolo esso stesso dell'unione familiare. Mamma, papà, fratelli, sorelle, anche i nonni e gli zii, le zie, i cugini, negli altri giorni festivi, tutti riuniti intorno alla tavola dove a troneggiare col suo inconfondibile effluvio era sempre e solo "lui", portato in tavola nella zuppiera di porcellana bianca (la porcellana "buona" che si usava solamente nelle occasioni speciali).
Era un vero e proprio rito la sua preparazione, che terminava la domenica a pranzo, si prolungava il lunedì con il consumo degli avanzi,  ma iniziava il sabato di prima mattina, quando accompagnavo mia madre, a passo svelto, emozionata come una giovinetta al primo appuntamento, dal chianchiere (il macellaio di fiducia che vendeva carne fresca appena macellata nel retrobottega), che l'avrebbe guidata nella scelta dei tagli migliori di carne per la preparazione del piatto.
Col suo camice bianco immacolato di candeggio (che, per "servire",  sostituiva a quello imbrattato dalla macellazione) mi sembrava un sacerdote sull' altare il macellaio. I suoi gesti solenni, il lento sollevare le carni dalla chianca 2 (lo spazioso bancone di lavoro dal quale derivò anche il nome della bottega) mi parevano gesti sacri, ma quando, poi, la scelta era stata approvata e, con disinvoltura, affilava le lame, mentre gli balenava negli occhi un guizzo quasi satanico (in realtà di soddisfazione per la vendita appena conclusa) affondando il coltello nel pezzo di carne da porzionare adagiato sul grande ceppo di legno, mi sembrava di assistere a un rito pagano. Ben presto, però,  abbandonavo il pensiero delle povere bestie macellate, fatte a pezzi e appese ai ganci nel retrobottega, e l'impressione prodottami dal crudele taglio della carne, e seguivo mia madre che usciva trionfante dalla bottega col suo prezioso contenuto ben avvolto nella carta.
Il sabato pomeriggio, poi, si dedicava alla preparazione del ragù nel tegame di terracotta, usando i pomodori San Marzano più  succosi, le foglie di basilico più profumate (d'estate quelle appena colte dalla pianta che teneva sul balcone) e l'olio d'oliva acquistato da don Ciruzzo l'uogliararo, don Ciro l'oliandolo che, serio e severo, si aggirava  in camice nero tra le scure tinozze dove galleggiavano le saporite olive di Gaeta.
Ma ricordo anche l'effluvio del ragù che assaliva le mie narici nell'androne del mio palazzo di ritorno dalla Santa Messa domenicale: era quello d' 'a purtiera, della portinaia, originaria di Nola, un paese dell'entroterra napoletano. Suo marito aveva fatto il minatore in Belgio, ma dopo qualche anno se n'era ritornato al suo paese, chissà,  probabilmente anche per la nostalgia del ragù di sua moglie, oltre che di quella della sua famiglia e del suo luogo natio. Avevano una figlia, Teresa, mia coetanea, che portava le trecce lunghe come le mie, e un po' questo m?infastidiva, perchè avrei voluto essere io l'unica bambina del palazzo, del quartiere, della città ad avere le trecce lunghe come quelle delle principesse medievali...Ma il profumo sontuoso di quel sugo più "paesano" di quello che cucinava mia madre, simile a quello che preparava mia nonna (cioè arricchito con la carne di maiale e il lardo), che si sprigionava da quella casa modesta, confondendosi con quello che si sprigionava da casa mia fino a divenire un unico profumo universale, mi riconciliava pure con Teresa.
Vanto indiscusso della cucina partenopea, sovrano incontrastato della mensa festiva, il ragù (dal francese ragout, carne a cottura lenta), profumato, denso, è un "piatto" da sempre definito "rituale" da poeti e letterati. Narra la leggenda che un giorno (siamo alla fine del Trecento) alla porta di un nobile cattivo e arrogante che abitava a Napoli, nel Palazzo dell'Imperatore di Costantinopoli  (detto anche Palazzo d'Angiò, tuttora esistente in via Tribunali) per invitarlo a mutar vita bussò un seguace della Confraternita dei Bianchi, ordine religioso così chiamato dal colore del saio indossato dagli adepti, che predicavano la misericordia e la pace, confortavano gli infermi e i carcerati, soprattutto i condannati a morte. Ma il nobile li scacciò,  nonostante si fosse verificato un prodigio: il figlioletto di soli tre mesi, che era in braccio alla balia, aveva liberato le manine dalle fasce e, alzandole al cielo, aveva ripetuto tre volte "Misericordia e pace". Ma accadde anche un altro prodigio, i maccheroni che la sua sposa gli aveva preparato si colorarono di un sugo colore del sangue, allora l'uomo, impressionato, toccato dal pentimento, non solo aprì il suo cuore alla fede, ma entrò nella Confraternita: ecco che di nuovo i maccheroni nel piatto si colorarono di un bel sugo rosso, ma profumato e appetitoso. A quel sugo, in onore del neonato che si chiamava Raù., fu dato il suo nome.
Piatto unico, che combina il condimento per la pasta con la carne che è la seconda portata, variamente a Napoli si declina: infatti si dice che ogni casa ha il suo ragù. Pochi e semplici gli ingredienti, polpa di manzo né magra né grassa (a Napoli si usa la corazza o il gamboncello o la lòcena o la colarda o uno spezzatino di carni miste di annecchia, vitella di non più di un anno), cipolle, olio (un tempo si usava il lardo), passata di pomodori, concentrato di pomodoro, basilico e sale. Fondamentale è il rispetto delle modalità e dei tempi di cottura, che deve avvenire in una pentola preferibilmente di terracotta (ma va bene anche l’alluminio o il rame o l’acciaio) e che deve essere dolce, lunga e lenta (si definisce ‘a passiata d’’o rraù, la passeggiata del ragù) poiché, come scritto in una delle celebri pagine del libro “L’oro di Napoli” da Giuseppe Marotta: il
ragú non si prepara, ma si consegue quasi che lo si raggiunga o conquisti alla stregua di una promozione o un successo!
Questa laboriosissima salsa che impegna chi la prepara come un quadro impegna il pittore, 3 deve essere preparata con sapienza, pazientemente rigirata più e più volte col cucchiaio di legno (‘a cucchiarella), seguìta amorevolmente (In nessuna fase della sua cottura il ragù deve essere abbandonato a se stesso; come una musica interrotta e ripresa non è più una musica, così un ragù negletto cessa di essere un ragù e anzi perde ogni possibilità di diventarlo), 4 attesa come un figlio, mentre cuoce sotto il coperchio appoggiato sul cucchiaio di legno affinché l’aria possa circolare, insomma, deve pippiare (voce onomatopeica, da “pipa”, cioè deve sobbollire adagio adagio producendo il suono della boccata di fumo che si sprigiona dalla pipa), perché la carne non si trasformi in vile carne al pomodoro (come nella poesia di Eduardo!) ma, rosolata, braciata, intenerita, morbida, ceda tutto il suo sapore al sugo che, infine,  risulterà una bella crema profumata di colore rosso scuro, morbida, vellutata, con la quale condire un piatto di fumanti ziti spezzati, inondati da una soave cascata di robusto parmigiano o delicato pecorino (o entrambi, come faccio io), secondo i gusti.
C’è chi alla polpa di manzo aggiunge la carne di maiale (spuntature, cotenna, gallinella, salsicce), chi le braciole, chi le polpette, chi all’olio unisce il lardo, chi stecca la carne con l’aglio, chi al soffritto unisce anche il grasso dell’osso di prosciutto crudo, chi non inserisce la conserva, ma la ricetta che qui propongo segue quella tradizionale, che ho appreso da mia madre e che mia madre apprese dalla sua, con qualche personalizzazione. Ad esempio, per rendere il piatto più leggero, alla polpa di manzo tagliata a pezzi grandi non aggiungo né braciole né
‘e tracchiulelle (spuntature di maiale), solo, talvolta, qualche salsiccia
a pponta 'e curtiello, a punta di coltello (tipo di salsiccia particolare, preparata tagliando la carne per l’insaccatura con il coltello, non col tritacarne, e arricchita di lardo e pepe), non uso il lardo nel soffritto e, in mancanza della passata dei favolosi pomodori San Marzano, adopero i pratici pomodori pelati, avendo l’accortezza di ben schiacciarli con la forchetta, o frullarli col Minipimer, affinché possano amalgamarsi con la carne in stretto poetico abbraccio, perché cos’è il ragù se non poesia del palato?
Cos’altro dire? Ah, sì: “ Buon appetito”!

 

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Ingredienti per 6 persone

-          1 Kg e ½ di polpa di manzo (e, eventualmente, qualche salsiccia a punta di coltello).6 cucchiai di olio di oliva.

-          1 cipolle bionda media (assolutamente non le rosse di Tropea, ottime per altri utilizzi, non per il ragù).

-          2 litri e ½ di passata di pomodori San Marzano (o di polpa di pomodori in scatola).

-          3 cucchiai di concentrato di pomodoro

-          ½ bicchiere di vino rosso.

-          ½ bicchiere d’acqua.

-          Foglie di basilico.

- Sale quanto basta.

Procedimento

1. In una pentola larga e alta (l’ideale. sarebbe una pentola di terracotta), far rosolare nell’olio a fuoco vivace le cipolle tagliate finemente e la carne.

2.Quando la cipolla sarà dorata e la carne rosolata, aggiungere il vino rosso e lasciarlo evaporare.

3.Aggiungere il concentrato di pomodoro e, quando è sciolto, la passata di pomodoro, ½ bicchiere d’acqua, le foglie di basilico sommariamente spezzettate con le mani e il sale.

4. Abbassare la fiamma, coprire (ma non del tutto) la pentola con il coperchio, appoggiandolo da un lato sul cucchiaio di legno, e far cuocere lentamente, per 5/6 ore, rigirando spesso.

5. Con il sugo ottenuto condire la pasta, preferibilmente ziti spezzati (ma il ragù è splendido anche per condire i paccheri, gli strozzapreti e le lasagne!), spolverizzati con abbondante parmigiano o pecorino (o entrambi).

     6. Servire la carne accompagnata da verdure o insalata a piacere, vanno bene una bella parmigiana di melanzane o i “friarielli” (le cime di rapa tipiche napoletane), o le melanzane sott’olio o le patate al forno d’inverno!

Suggerimenti

1.Per una perfetta riuscita del ragù la cottura dev'essere molto lenta.

2.È preferibile preparare il ragù il giorno prima di consumarlo.

3. Se si usa il pezzo intero di carne, al posto dello spezzatino, non bucarlo per accelerare i tempi di cottura altrimenti, perdendo i liquidi interni, perderà anche la morbidezza.

4.Un buon vino di accompagnamento è il Gragnano.

5. Assaggiate il ragù su una fetta di pane: vi riconcilierà  con il mondo!

Note

1)      IL RAGÙ

Il ragù che piace a me

lo faceva solo mia madre.

Da quando ho sposato te

ne parliamo per parlare.

Io non sono difficoltoso

ma aboliamola quest’usanza.

 

Sì, va bene, come vuoi tu.

Ora non vorremo metterci a litigare?

Tu cosa dici? Questo è ragù?

E io lo mangio tanto per mangiarlo.

Me la fai dire una parola?

Questa è carne col pomodoro.

1)     Le “chianche” (“chianca” dallo spagnolo " plancha", lastra, a sua volta derivato dal termine latino "planca", asse, tavola),  erano le panche su cui i “chianchieri”, i macellai, un tempo esponevano le loro carni e le macellavano per le truppe spagnole.

2)      G. Marotta, “L’oro di Napoli”.

3)      Op. cit.

 

 

 

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