Tarchetti fu, poi, trasferito da Parma a Milano, dove si
dedicò intensamente all’attività letteraria, fra croniche
difficoltà economiche e precarie condizioni di salute,
morendo, il 25 marzo 1869, non ancora trentenne, già
ammalato di tisi, per un attacco di tifo, in casa dell'amico
Salvatore Farina che lo aveva ospitato, senza aver scritto
il capitolo finale del romanzo al quale tanto teneva, che
avrebbe dovuto essere:
una notte di falso amore fra la protagonista brutta ed
isterica e il maschio bello ed isterico anch'esso; lei
stimolata dalla carne inferma, lui percosso dall'abbandono
dell'amor suo vero.
2
[…]
scena dolorosa, selvaggia, d'una notte intera passata con la
protagonista isterica e brutta, a fìngere l'amore, a
costringere la repugnanza a non ribellarsi, ad accettare il
delirio dei sensi e a corrispondere, ubbriaco di pena lui,
essa sola pazza d'amore.
3
Per strano destino la donna che aveva ispirato il libro,
prossima alla fine, sopravvisse allo scrittore, ed ogni
anno, nel giorno dei morti, non mancò mai di far arrivare
sulla sua tomba una corona di semprevivi.
Nel romanzo “Fosca” confluirono entrambe le relazioni
sentimentali, ma, come si evince già dal titolo, fu la
seconda l’esperienza più intensa della vita di Tarchetti, ed
infatti la trama ruota tutta intorno al folle sentimento
nutrito per Giorgio (giovane ufficiale che ama, riamato,
Clara, bella, sana e sposata, dalla quale è costretto a
separarsi in seguito ad un trasferimento) da Fosca,
intelligente, sensibile, colta (divora i libri, è un
tarlo da libri, legge come noi fumiamo…un’intelligenza
robusta, fina, perspicace.),
4
ma epilettica, isterica, anoressica (è della voracità di
una mosca.)5
e, soprattutto, brutta:
Dio! Come esprimere colle parole la bruttezza orrenda di
quella donna!… Né tanto era brutta per difetti di natura,
per disarmonie di fattezze… quanto per una magrezza
eccessiva… per la rovina che il dolore fisico e le malattie
avevano prodotto sulla sua persona ancora così giovine. Un
lieve sforzo d’immaginazione poteva lasciarne travedere lo
scheletro, gli zigomi e le ossa delle tempie avevano una
sporgenza spaventosa, l’esiguità del suo collo formava un
contrasto vivissimo colla grossezza della sua testa, di cui
un ricco volume di capelli neri, folti, lunghissimi, quali
non vidi mai in altra donna, aumentava ancora la
sproporzione… La sua persona era alta e giusta… i suoi modi
erano naturalmente dolci… Tutta la sua orribilità era nel
suo viso.6
Fosca è consapevole che la sua bruttezza non può suscitare
amore o passione, eppure, caparbia e tenace, rivendica il
suo diritto all’amore, non esitando a trascinare se stessa e
l’uomo che ama verso la distruzione pur di affermarlo:
infatti Giorgio soccomberà alla sua ossessione amorosa,
innamorandosi di lei, ma la relazione sarà scoperta dal
cugino, superiore di Giorgio, che lo sfiderà in duello.
Infine Fosca morirà e Giorgio si ammalerà dello stesso male
oscuro della donna.
Questo romanzo, che colpisce ancora oggi per l’intrico di
sentimenti, per la violenza della passione, per il tema
degli opposti (bello/brutto, sano/malato, amore/morte), per
la forte componente autobiografica (le storie vissute
dall’autore con la signora di Milano e la donna di Parma),
di sorprendente modernità per l’indagine fra normalità e
anormalità e per la forte rivendicazione della protagonista
al diritto di amare, affascinò anche il regista Ettore
Scola.
Indiscusso
protagonista del cinema e della cultura del nostro paese,
artista e intellettuale intelligente, acuto e ironico,
capace di cogliere le debolezze e gli snobismi degli
Italiani, Scola, recuperando una sua vena più intimistica,
lontana dalla commedia (abbandonando
le tematiche contemporanee per immergersi nel cupo dramma
decadente di un uomo che cede, fino alla rovina sociale e
fisica, all’amore di una donna dall’aspetto repulsivo,
eppure misteriosamente attraente)7
affrontò per la prima volta un film in costume ispirandosi,
appunto, al romanzo di Tarchetti (tenendone ben presente
anche l’epistolario e il romanzo antimilitarista “Una nobile
follia”), realizzando nel 1981,
in coproduzione Italia- Francia,
con le musiche di Armando Trovajoli, il film
"Passione d'amore".
Spostando la scena da Milano (com’era nella
finzione letteraria), a Torino, girò le
riprese nella città e nel parco de La Mandria, a Venaria
Reale, riuscendo pienamente a ricreare,
con grande suggestione, l’atmosfera romantica di metà
Ottocento, ambientando l’azione in un paesaggio indefinito
del nord Italia, ai piedi delle Alpi, fra monti e boschi,
dove, in uno sperduto presidio militare, i personaggi (che
si esprimono nell’inconfondibile accento piemontese)
indossano costumi e
divise dell’epoca, pensano ed agiscono secondo gli schemi
legati all'Italia del tempo, ma sono guidati da idee e
passioni contemporanee, narrando, come sempre prediligeva
fare, più le vicende degli umiliati e dei diversi che quelle
dei privilegiati.
È in questo contesto, fra le foschie del paesaggio
disseminato di rovine e l’immobilità e le consuetudini della
vita di guarnigione, che Scola lascia consumare il dramma
dell’orribile Fosca che riesce ad affascinare il bel
capitano e a
scatenare un groviglio di sentimenti che condurrà al tragico
finale.
Il regista seguì fedelmente la trama del romanzo, narrando
di Giorgio Bacchetti,
militare di carriera, che,
costretto ad interrompere la relazione con la
bella e sana Clara
per raggiungere un lontano presidio di frontiera dell'Italia
postunitaria del 1862 (specchio della reale vicenda dello
scrittore, che fu mandato nel profondo sud per la
repressione del brigantaggio nell'Italia meridionale),
incontra Fosca, cugina del colonnello comandante della
guarnigione, donna ipersensibile,
dotata di un'acuta sensibilità e di una raffinata cultura, ma isterica,
epilettica,
dal ripugnante aspetto,
conscia della propria bruttezza, eppure avida d’amore, in
passato sposata (senz’aver mai consumato il matrimonio) con
un cacciatore di dote, imbroglione, giocatore e
ricattatore.
Giorgio non incontra subito Fosca, comincia a conoscerla
dall’assenza (il suo posto vuoto alla tavola degli
ufficiali, occupato soltanto, come narra il colonnello
quando lo invita a pranzare in casa sua,
quando il male le concede qualche pausa), dalla musica
che lei suona al piano e che gli arriva come un richiamo, e
poi dalle urla, scatenate dalle convulsioni nervose. Infine
Fosca si mostra, ed è subito attratta dal bel capitano,
riconosce in lui un’anima sensibile, diversa da quella degli
altri militari, e non manca occasione per manifestargli la
sua simpatia.
Anche Giorgio, dopo l’iniziale ripugnanza, subisce il
fascino oscuro della donna, tanto che passerà dallo stupore
al
ribrezzo, dalla pietà all’ammirazione, e poi all’amore.
Successivamente la
simpatia che Fosca nutre per Giorgio si trasforma in amore
ossessivo e tormentoso, tanto che, come rinvigorita dal suo
male, trova il coraggio di confessare
il suo sentimento
all’uomo, che, al contrario, si sente deperire e avvicinare
alla morte.
Oppresso, tormentato, soggiogato
ma turbato,
cerca di allontanarsi da Fosca, chiede e ottiene una licenza
che passa in compagnia di Clara e, quando ritorna alla
guarnigione, cerca di riportare la situazione creatasi con
Fosca in un alveo di normalità, promettendole affetto e
amicizia sincera, ma lei pretende l’amore: se non l’otterrà
si lascerà morire.
L’ufficiale
medico della guarnigione, che segue la giovane ed è divenuto
amico di Giorgio, gli suggerisce di essere
caritatevole verso quella donna condannata a morire molto
presto,
fingendosi innamorato. Seppur riluttante, accetta, ma lo
strano rapporto che s’instaurerà fra i due consumerà Giorgio
anche psichicamente, trascinandolo verso il delirio.
Quando il medico si renderà conto che la sanità di Giorgio è
seriamente in pericolo, gli consiglierà di allontanarsi
dalla guarnigione, ma sarà troppo tardi: irresistibilmente
attratto da Fosca, Giorgio gli comunica che d'ora in poi si
dedicherà soltanto a lei. Allora il medico, sentendosi
responsabile di quanto sta accadendo, farà in modo di
ottenere per Giorgio il trasferimento. La notizia del
trasferimento arriverà il giorno di Natale, provocando il
dolore e il risentimento di Fosca (che, gridando il suo
amore a tutti i presenti, si aggrapperà a lui, implorandolo
di non abbandonarla) e l’ira del colonnello suo cugino,
ignaro e allibito, che sfiderà a duello per l’indomani
Giorgio, già incupito e emotivamente distrutto.
Durante la notte, pur sapendo che sarà un’emozione fatale
per Fosca, di sua volontà Giorgio s’introduce nella sua
camera e consuma con lei l'amore.
Fosca soltanto aveva meritato il mio amore, ella sola mi
aveva amato, ella che aveva sfidato il ridicolo, il
disprezzo, la collera, ella che aveva rinunziato al suo
orgoglio di donna, domandando per pietà ciò che le altre
danno per debolezza, per vanità o per vizio.
8
Il duello ha luogo. Giorgio ferisce, non mortalmente, il
colonnello, ma il suo grido di vittoria, prima di svenire
fra le braccia del dottore, suona innaturale e lugubre
come quello di Fosca quando è assalita dalle sue crisi: il
suo male sembra essersi trasferito in Giorgio.
E proprio di contagio sembra trattarsi, poiché, una volta
morta Fosca, il male che l’aveva accompagnata si trasferisce
come per osmosi nel corpo di Giorgio che, similmente a lei,
diviene creatura solitaria e incompresa, continuando, nel
suo nuovo stato di “malato”, a sentire la presenza
dell’amata.
Nella scena finale del film, all'angolo di una taverna
malfamata, dopo cinque anni, è lo stesso Giorgio, provato
nell’anima e nel corpo, a raccontare l'epilogo della sua
strana "passione d'amore" (conclusasi con la morte “felice”
di Fosca tre giorni dopo il duello) ad un nano storpio
dalla folta barba che, dopo aver ascoltato la storia,
scettico e sarcastico,
si allontana sghignazzando, ripetendo ad alta voce che la
giuliva storia fra Giorgia e Fosca è una storia assurda,
perché una donna brutta non può essere amata.
Ciò che al regista piacque sottolineare in “Passione d’amore”,
il primo film nel quale abbandonava le ambientazioni e la
varia umanità della commedia, furono soprattutto gli
aspetti psicologici della storia (che lo scrittore tanto
aveva esaltato e che ben esplorarono, poi, Freud e Jung)
gli effetti della passione estrema sui due protagonisti e,
elementi di sorprendente modernità del romanzo, il tema
degli opposti e della diversità, della normalità/anormalità,
bello/brutto, bene/male, nel confronto tra le due donne
Clara/Fosca, non tralasciando, però, le suggestioni gotiche
tante care all'autore, soprattutto nella descrizione del
delirio di Giorgio, inizialmente "normale", nel finale della
vicenda irrimediabilmente contagiato dalla "anormalità" di
Fosca.
Da questa vicenda, che altrove sarebbe stata avvolta da
tetri banchi di nebbia, brividi agghiaccianti, funerei
presagi, incubi ossessivi,9
Scola seppe realizzare
un film elegante e misurato, improntata ad un realistico
buon senso, lasciando snodare lenta la storia psicologica
del sentimento che diviene passione d'amore autodistruttiva,
anche con un montaggio piano del film organizzato in
numerosi piani-sequenza, in modo da non attuare mai bruschi
passaggi di scene per non interrompere la narrazione.
Di grande importanza fu anche l’apporto del cast
italo-francese costituito per lo più da attori famosi. Nel
ruolo dell'ufficiale medico Scola chiamò Jean-Louis
Trintignant, nome già noto allora in Italia per aver
recitato nel 1962 con Vittorio Gassman nel road-movie
all’italiana, “Il sorpasso” di Dino Risi e nel film del
1970 “Il conformista” di Bernardo Bertolucci. Per il ruolo
del colonnello cugino di Fosca volle Massimo Girotti, divo
del cinema italiano prima e dopo la guerra, interprete dei
più disparati ruoli diretto dai maggiori registi del tempo,
e per quello del maggiore Bernard Blier, incisivo
caratterista. Ad interpretare la soave Clara scelse la
bellissima Laura Antonelli,
all’apice
del successo proprio fra gli anni settanta e ottanta,
spaziando dalla commedia leggera erotica al dramma, dal
cinema d'evasione al film d'autore.
Il ruolo del protagonista lo affidò al bellissimo
Bernard Giradeau, splendido attore e regista molto famoso
negli anni ottanta,
nei cui occhi colore del mare fluttuarono con grande
intensità tutti gli stati d’animo del capitano Giorgio
Bacchetti: lo stupore, lo smarrimento, lo sconcerto, la vaga
inquietudine, lo sgomento, l’orrore, l’amore, il delirio,
lo sconforto. Per Fosca volle
la straordinaria
Valeria d’Obici,
attrice
d’indubbia bravura,
in anni più recenti attiva in molte interessanti
interpretazioni con Pupi Avati, Liliana Cavani e Gabriele
Muccino, in “Passione d’amore”
all’esordio
in un ruolo importante, sgradevole, rischioso, dopo
aver recitato sino ad allora prevalentemente in pellicole di
genere poliziesco, trovando poco spazio nel cinema per i
tratti particolarmente spigolosi del volto.
Abilmente guidata dal regista, che la volle brutta per tutto
il film,
non concedendole neppure quell'istante magico che tocca a
tutte le donne brutte nel cinema americano,
10
sapientemente
imbruttita dal make-up del truccatore Otello Sisi
(mi
sono lasciata trasformare al trucco fino a rendermi persino
inaccettabile a me stessa.
Non mi sopportavo più esteticamente, ma ero completamente
affascinata da un gioco nuovo, al quale non riuscivo a
sfuggire) 11
seppe ammirevolmente imprimere il giusto pathos all’eroina
tarchettiana, senza mai caricare di orrido
l’interpretazione, ma rendendo con grande intensità il
carattere titanico della donna, che, pur soffrendo, non
rinuncia al suo sogno d’amore ma lotta, non soffoca le sue
parole e i suoi sentimenti ma li urla, con il corpo e con
l’anima, al mondo intero, imponendosi e sopraffacendo con
il suo trasporto Giorgio, tanto da travalicare la “vendetta”
della donna brutta sulle donne belle e convertire in rivolta
esistenziale la lacerazione per la personale condizione di
bruttezza, consapevole di avviarsi all’autodistruzione
gratificante. Indimenticabile l’espressione del suo volto
quando, discese le scale, appare per la prima volta a
Giorgio mostrandosi in tutta la sua orrida bruttezza, e
quando, colpita da una crisi isterica, dopo aver visto dalla
sua finestra sfilare un corteo funebre, emette un lungo urlo
e poi gemente si accascia sul pavimento prontamente soccorsa
dalle cameriere che la portano via sotto lo sguardo
interdetto di Giorgio.
In questo nuovo importante capitolo del suo percorso
artistico premette a Scola continuare ad approfondire il
discorso sulle diversità (anche se, stavolta,
rispetto agli altri films, si tratta di diversità
naturale) contro le leggi codificate degli uomini, contro le
regole precostituite, ma anche comunicare la relatività dei
concetti di bello e brutto. Secondo le sue parole:
[…] chi è in armonia con il proprio corpo, secondo me, è
sempre bello. Dai tempi di "Fosca", subito dopo l'unità
d'Italia, è vero che le cose sono alquanto cambiate e la
donna ha fatto molti passi avanti nella propria autonomia.
Ma ha fatto passi avanti anche la spinta contraria, quella
dei condizionamenti di massa. Io credo che apparentemente
noi oggi accettiamo i diversi, i brutti, gli omosessuali, i
poveri:in realtà, agiscono sempre le stesse ipocrisie. La
mentalità è sempre quella arretrata che si trova nel
presidio militare, dove Tarchetti ha svolto l'azione del suo
racconto ed io quella del mio film: un luogo concreto che è
anche, però, la metafora di una chiusura mentale che
coincide con la casta militare.
12
“Passione d’amore” suscitò grande entusiasmo nei critici, e
quando fu presentato in concorso nel maggio 1981 al 34º
Festival di Cannes, dove Scola era già stato premiato
quattro volte, la giuria gli conferì un premio speciale per
il complesso della sua opera, riconoscimento già attribuito
ad un altro grande regista italiano, Luchino Visconti, ma il
film valse anche
il David di Donatello come migliore
attrice protagonista a Valeria D’Obici
per l’’intensa
interpretazione di Fosca e a
Laura Antonelli come miglior attrice non protagonista.
Nell'ottobre dello stesso anno “Passione d’amore” approdò a
New York , dove non ottenne un grande riscontro dal
pubblico, ma giudizi lusinghieri, e ancora oggi, dalla
maggior parte dei critici italiani e internazionali,
dopo “ Una giornata particolare,” viene considerato
tra le opere migliori di Ettore Scola.
NOTE
1)
Da una nota di E. Ghidetti a Fosca, in
Tutte le opere di Iginio Ugo Tarchetti, Cappelli 1967 p.
239.
2)
Salvatore Farina, Dall'alba al meriggio.
3)
Salvatore Farina, Care ombre.
4)
Iginio Ugo Tarchetti, Fosca, cap. XIV.
5)
Iginio Ugo Tarchetti, Fosca , cap. XIV.
6)
Iginio Ugo Tarchetti, Fosca, cap. XV.
7)
C. Bragaglia, Il piacere del racconto, La
Nuova Italia, Firenze, 1993.
8)
Iginio Ugo Tarchetti, Fosca , cap.
XLVIII.
9)
Mino Argentieri, Rinascita, 29 maggio 1981.
10)
Giuliano Muscio, Scena, n. 6-7 giugno-luglio
1981.
11)
V. D’Obici, la Repubblica, 12/8/1981.
12)
Pier Marco De Santi- Rossano Vittori, I films di Ettore
Scola, Gremese editore, Roma 1987, pag. 146.