dal libro

Virgo virago”,

di F. Santucci, Akkuaria, gennaio 2008

 

OFELIA

 

Ed io, fra tutte le donne, la più miserevole e derelitta,

io che avevo gustato la dolce musica dei suoi voti…74

W. Shakespeare, Amleto

 

Al giovane principe Amleto, che piange la recente morte del padre, il re di Danimarca, sugli spalti del suo castello una sera appare uno spettro: è il fantasma del padre che gli rivela di essere stato ucciso da suo fratello Claudio, che ora ha sposato la sua vedova e cinge la sua corona: per questo reclama la vendetta.
Il giovane, turbato, promette; per poter portare a compimento più agevolmente i suoi piani, simula la pazzia e, con parole deliranti, allontana da sé la giovane fidanzata Ofelia.
Ed ecco avvicinarsi il momento del delitto, ma, per sfortuna, credendo di pugnalare Claudio, Amleto trafigge Polonio, padre di Ofelia.
Ofelia, addolorata per il rifiuto di Amleto, e per la morte del padre, impazzisce di dolore.
Questo il suo canto farneticante, che turba persino il re (Povera Ofelia, strappata da se stessa e dalla sua chiara ragione, senza la quale noi non siamo che immagini dipinte, o animali bruti)75 al cospetto della regina Gertrude:

L’amor tuo veritiero come

riconoscere a mille miglia?

Dai sandali, dal bordone,

dal cappellaccio a conchiglia…

E fioriscono a lui d’accanto

la viola e la pratolina;

ma non s’ebbe tenero pianto,

qual rugiada che racconsola

e accompagna i poveri morti

alla tenebra fredda e sola.

(Amleto, Ofelia, atto IV scena V).

 

E un giorno, mentre, cantando, indugia presso un ruscello, Ofelia scivola nell’acqua e annega.

Mite ristoro ai miti. Addio! Avevo sperato che tu potessi esser la moglie del mio Amleto e pensavo che avrei adornato di fiori il tuo letto di sposa, o cara fanciulla, e non la tua tomba.

(Amleto, Regina, atto V scena I).

 

Laerte, fratello di Ofelia, pieno di rancore verso il giovane principe che ha causato la morte dei suoi cari, sfida Amleto a duello.Durante lo scontro, Laerte viene ucciso, Amleto è rincuorato dalla madre con una bevanda avvelenata che le era stata porta dal re suo marito. Inorridita alla vista di Amleto che muore, anch’ella si uccide con il veleno.
E una delle tragedie più conosciute di Shakespeare, “Amleto”, rappresentazione della reazione di un uomo di alto senso morale di fronte alla malvagità del mondo, scoperta dell’idealista dell’amara realtà della vita, ma dalle sue pagine emerge, in forte suggestione, la poetica figura di Ofelia, personaggio marginale, centrale, però, nella tradizione figurativa del dramma (che ha privilegiato soprattutto il compimento della tragedia, la sua morte), di fortuna iconografica talmente grande da attraversare tutto l’Ottocento ed il Novecento.
Fanciulla remissiva, pura, vittima innocente ed ignara, dopo un intenso corteggiamento di Amleto, subisce il suo crudele e immotivato rifiuto (Amleto – Vi ho amato, una volta. Ofelia. In verità, signore, me lo avete fatto credere),76 ma Laerte, suo fratello, l’aveva messa in guardia, invitandola, conoscitore del mondo, a diffidare del corteggiamento di un re:

Quanto ad Amleto, e alla stravaganza dei suoi favori, considerali soltanto come un ossequio alle mode e come il capriccio di un cuore appassionato. Una violetta nella giovinezza della sua primavera, precoce ma non duratura, odorosa ma effimera. Il profumo, lo svago di un minuto: niente altro…Paventalo, Ofelia, paventalo sorella mia.

(Amleto, Laerte, atto I, scena III).

 

Ed anche suo padre l’aveva spinta a diffidare:

E, in breve, Ofelia, non credere ai suoi voti: perché son soltanto

ruffiani …

(Amleto, Polonio, Atto I scena III).

 

Addolorata per il rifiuto di Amleto e per la perdita del padre, spinta da una finta pazzia (quella di Amleto), lacerata dall’amore irrealizzato, Ofelia trova unico scampo agli intrighi e alle volubilità maschili nella follia autentica, che sconvolge la sua mente e s’impadronisce della sua personalità, spingendola alla morte.
Figura incorporea, che continua a tramandare di sé l’immagine non di un corpo, ma di un volto che galleggia nell’acqua tra corolle di fiori, Ofelia è anche corpo, ma corpo negato, è una non amata, una donna che il desiderio d’amore represso spinge al tragico esito, e che, curiosamente, rivelerà, infine, la sua corporeità al ritrovamento e seppellimento del suo cadavere intaccato dall’acqua (il becchino dirà: è l’acqua, sapete, che guasta questi schifi di cadaveri).77
Gli artisti sono stati attratti particolarmente dalla sua figura verginale, esile e dolce, e dalla composizione decorativa e necrofìla, che la fa riaffiorare dalle acque stagnanti entro una fitta cornice di vegetazione e fiori.
Eugene Delacroix, che compose sul soggetto molte versioni, nel dipinto “La morte di Ofelia”, del 1853, rappresentò il momento in cui Ofelia si getta nello stagno; Henry Gervex, in “Ofelia (ritratto di Nellie Melha)”, del 1892, presentò la fanciulla in un insolito taglio di primo piano, intenta a cantare ma, nella realtà, quello è il ritratto “in figura” di un personaggio letterario: rappresenta, infatti, la cantante Nellie Melha, che ebbe il ruolo di Ofelia nell’opera lirica “Hamlet”di Ambroise Thomas (1868).E a John William Waterhouse, in “Ofelia”, del 1894, giocando sui toni pastello, tra il verde e il lilla, piacque sottolineare le delicate forme adolescenziali di Ofelia e l’innocenza quasi infantile del personaggio: il quadro la ritrae intenta a intrecciare fiori tra i capelli, sulle sponde dello stagno in cui, poi, annegherà.Nel 1911 Alberto Martini dipinse “La pazzia di Ofelia”, offrendo allo spettatore, enfatizzata dal contrasto tra il bianco e il nero, una straordinaria visualizzazione delle fantasie paurose che si agitano  nella mente sconvolta di Ofelia. Nell’angolo in alto a destra è anticipato il funerale della fanciulla, dove si ripete il gioco di contrasti; nell’angolo in basso a sinistra è accennato il corso d’acqua ricoperto di fiori in cui troverà la morte.Felice Carena, in “Ofelia”, eseguito nel 1912, adottò un insolito formato stretto e lungo, allusivo alla forma della bara; la creatura shakespeariana ha, qui, il livore della morte sul volto esangue, sul quale giocano, in profonda suggestione, le delicate trasparenze dell’acqua ed ombre violacee e verdastre.Nell’interpretazione di Carena molto esaltato è l’elemento acquatico, spesso sottolineato nella tradizione iconografica del soggetto, sul quale, del resto, già insiste il testo shakespeariano, ricco di eleganti e suggestive metafore acquatiche. Nel dramma, appena accennato dalla regina Gertrude si parla, infatti, di vitrea corrente; il ruscello in cui Ofelia cade è definito piangente ruscello; il suo cadavere, che viene trascinato via dalle acque, fluisce come fosse una sirena; la sua morte, infine, è definita morte fangosa.

 

Ofelia

I

Sull’acqua calma e nera dove dormon le stelle

come un gran giglio ondeggia Ofelia bianca e sola,

ondeggia lentamente, stesa nei lunghi veli...

– Nelle selve lontane s’ode un grido di caccia.

Sono più di mill’anni che la dolente Ofelia

passa, bianco fantasma, sul lungo fiume nero.

Sono più di mill’anni che dolce e mentecatta

mormora una romanza nella brezza serale.

Il vento bacia il seno e dispiega in corolla

i grandi veli molli che la corrente culla;

rabbrividendo, i salici piangon sulla sua spalla,

sull’ampia fronte in sogno pende flessuoso il giunco.

Sfiorate, le ninfee le sospirano intomo;

ella desta, talora, nel sonno di un ontano,

un nido donde s’alza un breve fremer d’ala:

un canto misterioso scende dagli astri d’oro.

II

Pallida Ofelia, tu, bella come la neve,

moristi ancor fanciulla e il fiume ti rapì!

– I venti delle vette alte della Norvegia

ti avevano parlato dell’aspra libertà;

E un soffio, sconvolgendo l’ampia tua chioma bionda,

all’anima sognante strani fruscii recava;

iI tuo cuore ascoltava il canto delle cose

nei gemiti degli alberi, nei sospiri notturni;

l’urlo dei mari in furia, come un immenso rantolo,

squassava il sen fanciullo, troppo mite ed umano;

E un mattino d’aprile un bel cavalier pallido,

povero mentecatto, muto ai tuoi piè sedette.

Cielo! Amor! Libertà! Che sogno, o dolce Pazza!

Tu ti scioglievi a lui come la neve al fuoco:

le tue grandi visioni ti strozzavan la voce,

– l’Infinito terribile smarrì il tuo sguardo azzurro!

III

Ed il Poeta dice che ai raggi delle stelle

vieni a cercar, la notte, i fiori che cogliesti,

e che ha visto sull’onda, stesa nei lunghi veli,

la mesta Ofelia andare, bianca come un gran giglio.

A.      Rimbaud

    

Fu nel 1870 che il poeta francese Artur Rimbaud scrisse la poesia “Ophélie“ , ispirata all’eroina shakesperiana dal tragico destino, il cui personaggio era stato proposto dal suo professore di francese, Izambard, come argomento di composizione poetica in latino.
Rimbaud, nonostante si trattasse di un’esercitazione, compose una lirica armoniosa e musicale, artisticamente perfetta, combinando romanticismo e simbolismo, Natura, Amore, Sogno e Libertà, in perfetta corrispondenza al mito romantico dell’esperienza individuale eccezionale votata al fallimento (follia, morte).
Rimbaud riprese i particolari descritti da Shakespeare ma, secondo le ipotesi avanzate da E. Starkie e S. Bernard, è probabile che fosse rimasto suggestionato dalla riproduzione del dipinto di John Everett
Millais visto a Charleville, “Ofelia” ( 1851-1852), uno dei suoi più famosi e l’immagine più celebre di Ofelia, che la rappresenta morta, galleggiante nelle acque gelide, con gli occhi aperti, ricoperta di fiori (Un’Ofelia assurda che giace nell’acqua con gli occhi spalancati, così definì il dipinto un critico vittoriano), al quale s’ispirò per la sua opera anche Felice Carena.
Millais cominciò a lavorare a questo quadro a 22 anni, ispirandosi a uno dei passaggi più poetici della tragedia, quello in cui la regina Gertrude descrive la scena della morte di Ofelia:

 

C’è un salice che si protende attraverso il ruscello e specchia le

sue foglie grige nella vitrea corrente; lì sopra ella se ne venne

adorna di capricciose ghirlande di ranuncoli, d’ortiche, di

margherite e d’orchidee – cui i nostri pastori sboccati danno un

nome più volgare, ma che le nostre fredde giovani chiamano dita di

morto – e mentre ella s’arrampicava lì sopra per agganciare ai

penduli ramoscelli le sue coroncine d’ erba, un maligno ramo si

schiantò ed i suoi erbosi trofei ed ella medesima caddero nel

piangente ruscello. Le sue vesti si sparsero larghe e, come fosse una

sirena, la sostennero alquanto. Ed ella veniva cantando frammenti

di vecchie arie, come colei che fosse inconsapevole della sua

propria sventura, o come una creatura che avesse avuta origine in

quell’elemento e che quasi vi si sentisse adattata e disposta dalla

natura. Ma a lungo non poté durare, ché in breve le sue vesti, fatte

pesanti dall’acqua di cui s’erano imbevute, trassero la meschina dal

suo canto melodioso a una fangosa morte.

(Amleto, Regina, atto IV scena VII).

 

 

J. Millais, Ofelia

Molti pittori dell’età vittoriana s’ispirarono ai drammi di Shakespeare, grande fascino, poi, ebbe la tragica vicenda di Ofelia, ma nessun artista affrontò il tema con l’originalità e la sensibilità di Millais.
Non gli fu semplice trovare il luogo giusto in cui ambientare la scena, cercava un piccolo profondo fiume con le rive drappeggiate di salici, infine lo trovò vicino a Ewell, nel Surrey, e cominciò a dipingere lo sfondo nel giugno del 1851, lottando contro varie avversità: il vento, i cigni che lo disturbavano, sciami di insetti, soprattutto il tempo, dal momento che doveva terminare il lavoro entro ottobre, perché poi le condizioni atmosferiche sarebbero divenute proibitive per il suo lavoro all’esterno (la figura di Ofelia, invece, l’avrebbe eseguita in studio).
Millais dipinse dal vero gli splendidi fiori che contornano Ofelia, attendendo pazientemente il momento della fioritura di ciascuna specie, scegliendoli non solo per la loro funzione decorativa, ma per il significato simbolico tradizionalmente attribuito: la margherita, simbolo di innocenza; la rosa, simbolo d’amore, di gioventù e bellezza, ma anche per la connotazione funeraria, infatti nell’antica Roma la festa delle rose, “Rosalia”, rientrava nelle cerimonie dedicate al culto dei morti; il nontiscordardime, il ricordo; il papavero (le cui le qualità soporifere erano note sin dai tempi più antichi), perché simbolo di sonno eterno e, quindi, di morte; la pansè, simbolo di amore infelice, ma pure, appartenendo al genere della Viola, di fedeltà, modestia, umiltà, e anche morte precoce, essendo la nascita di questo fiore, noto sin dall’antichità, legata al mito del dio frigio Atti, secondo il quale la dea Agdistis, innamorata perdutamente di lui, cercò di impedire le nozze con Atta, figlia del re di Pessinonte, facendolo impazzire. Il giovane, in preda alla follia, iniziò a vagare per le radure finché, afferrato un pugnale, si mutilò e morì; dal suo sangue nacquero le viole. Nel frattempo Atta corse in cerca dell’amato e, trovatolo ormai esanime, si tolse anch’essa la vita; dal suo sangue similmente nacquero le viole.
Come modella, alla quale si lega un singolare intreccio di amore e morte, per la sua Ofelia Millais scelse Elizabeth Siddal, detta Lizzie, una giovane, secondo una testimonianza dell’epoca, alta e sottile, con un’accesa capigliatura ramata e la carnagione chiara, che le dava un aspetto fragile, che divenne, poi, la moglie del pittore e poeta Dante Gabriel Rossetti.
Poetessa e pittrice, Elizabeth Siddal fu anche la modella ideale dei preraffaelliti, ma ebbe un tragico destino morendo per overdose di laudano nel 1862, dopo solo due anni di matrimonio con Rossetti.
Fu intorno al 1850 che Rossetti la conobbe, presentatagli dal pittore Walter Deverell, che l’aveva “scoperta” in una modisteria di Leicester Square, dove lavorava, e che così la descrisse:

Creatura bellissima, alta, dalla costituzione delicata, con il collo lungo…e un abbondante generosa cascata di capelli biondo rame.

D’animo sentimentale e appassionato, Rossetti restò subito affascinato dalla bellezza malinconica di Lizzie, incarnazione di un ideale perfetto, la prima delle bellezze femminili (le “inebrianti”, come soleva definirle) che avrebbero nutrito la sua immaginazione ed alimentato la sua ispirazione, ma Lizzie s’innamorò dell’affascinate Deverell che, però, morì nel 1856, a solo 26 anni. Pur prostrata dalla perdita, fra lei e Rossetti si sviluppò una profonda reciproca intesa, che approdò al matrimonio nel 1860.
Nel maggio del 1861, dodici mesi dopo il loro matrimonio, Lizzie diede alla luce una figlia, che nacque morta. Oppressa da cattive condizioni di salute, e da una continua depressione che la portò a fare uso di laudano, un medicamento molto diffuso all’epoca, contenente oppio che dava assuefazione, l’anno seguente anche Lizzie morì per overdose.
Rossetti, annientato dal dolore, decise di seppellire, insieme alle spoglie della moglie, il manoscritto integrale delle sue liriche, che avrebbe, poi, esumato nel 1869 e pubblicato nel 1870.
Quando Lizzie posò per “Ofelia”, Millais, con la consueta puntigliosa accuratezza, le chiese di posare immersa in una vasca piena d’acqua che avrebbe dovuto essere riscaldata da lampade a petrolio poste sotto il recipiente; nonostante questa precauzione, essendo insufficiente il riscaldamento, la giovane si ammalò gravemente; il padre della ragazza, adirato, minacciò d’intraprendere un’azione legale contro Millais, che tentò di placarlo offrendosi di pagare il conto del medico. Poi il quadro fu terminato, e fu subito un capolavoro, essendo d’incomparabile bellezza l’immagine di questo corpo femminile galleggiante sull’acqua, completamente confuso dalla coltre di fiori intrecciati e piante acquatiche.
E nell’immaginario collettivo è questa l’immagine che permane di Ofelia, trasparente come l’acqua in cui galleggia nel quadro di Millais, chioma fluttuante fra fiori sparsi, incorporea (ma nemmeno Shakespeare l’aveva rappresentata così, anzi, l’aveva tratteggiata femminile e sensuale, tanto che spesso questi aspetti del personaggio sono stati oggetto d’indagini psicanalitiche), ma Ofelia ha un corpo che, però, non riesce a godere delle delizie dell’amore, prima offertole e poi negatole da Amleto che, oppresso dal disprezzo nutrito nei confronti della madre, lo estende a tutte le donne, dunque, nel finto suo delirio, con parole crudeli, anche a lei: se la madre non è onesta, nessuna donna lo è, tutte le donne, sono corrotte, false, disoneste, ed anche la dolce Ofelia.

 

– Che se siete onesta e bella, la vostra onestà non dovrebbe

ammettere alcuna conversazione con la vostra bellezza. –

(Amleto, Amleto, atto III scena I).

 

Troppo tardi Amleto proclamerà il suo amore (Amavo Ofelia! Quarantamila fratelli, con tutta la somma del loro amore, non saprebbero eguagliare il mio!),78 sarà già compiuto il tragico destino di Ofelia, donna inviolata nel corpo, violata nei sentimenti, ferita a morte dalle incongruenze maschili.
Premeva ad Amleto il compimento della vendetta verso l’usurpatore del suo trono, il destino politico della sua terra; in questi piani non rientrava l’amore, non c’era spazio per Ofelia, dunque per lei unica via di fuga, per non restare imprigionata negli estranei disegni maschili, la follia, e poi il lento scivolar nell’acqua, galleggiando lieve come un gran giglio fino al sopraggiungere della fangosa morte.

 

 

74 Atto III scena I.

75 Atto IV scena V.

76 Atto III, scena I.

77 Atto V, scena I.

78 Amleto, Amleto, Atto V scena I.

 

Francesca Santucci

Ascolta la musica::

La mort d'Ophélie

Guarda il video:

Tribute to Elizabeth Siddal

 

 

 

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