Nota
Aniello Scotto: "Io, Domitilla"
Aniello Scotto, Io, Domitilla
(sanguigna)
Com'è noto, il
regno di Tito, figlio di Vespasiano, nel 79 d. C. venne funestato da una
paurosa eruzione del Vesuvio (narrata da Plinio il Giovane nelle due
lettere che scrisse a Tacito, raccontandogli, tra l’altro, la tragica
fine dello zio Plinio il Vecchio), che, diversamente, seppellì nella piena
attività di un giorno di sole, in maniera subitanea, sotto una pioggia di
cenere, anche due città fiorenti ed attive come Ercolano e Pompei.Su Ercolano
si rovesciò una valanga di fango, formata di cenere, lava e acqua
torrenziale, che, ingrossando sempre più, penetrò nelle strade e nei
vicoli, coprendo i tetti, varcando porte e finestre, riempiendo d’acqua
come una spugna la città, sommergendo tutti coloro che non riuscirono a
mettersi in salvo in rapida fuga.
Pompei, invece, che, quando fu sorpresa dall’ eruzione, era in piena
febbre elettorale, perché si dovevano designare i magistrati locali, fu
aggredita da una leggera pioggia di cenere, poi dai lapilli, poi da massi
di pomice del peso di parecchi chilogrammi. Troppo tardi fu compresa la
gravità del pericolo!
Cortine di vapori solforosi scesero sulla città, penetrarono nelle fessure
e nelle connessure, filtrarono sotto il panno che gli uomini, che
respiravano sempre più a fatica, si premevano sul viso, correndo all’
aperto in cerca di aria e di libertà, ma i lapilli li colpivano così fitti
da farli retrocedere terrorizzati. Alcuni
cercarono riparo sotto i pilastri delle scale, stringendosi gli uni agli
altri, ma poi i vapori solforosi penetrarono anche lì e li soffocarono;
altri, rientrati nelle case, restarono sepolti sotto il crollo del
tetto.
Quarantotto ore dopo il sole brillava di nuovo, ed una tenue colonna di
fumo saliva dal cratere contro un cielo ritornato azzurro, ma regnava
ovunque la morte. La campagna era distrutta, il suolo ricoperto di
particelle di cenere che avevano raggiunto persino l’Africa, la Siria e
l’Egitto; le case, i templi, l’anfiteatro della città, le botteghe, gli
alberghi e le taverne (clandestinamente o no, oltre che luoghi in cui
mangiare e bere, nella sala della taverna a pian terreno, luoghi di
piacere, con compiacenti ostesse e cameriere, che il cliente raggiungeva
al primo piano o in fondo al giardino per un breve momento d’amore),
persino i banchi delle taverne con le stoviglie ed i pani non ancora
ritirati dal forno, perché abbandonati dai fornai in fuga, sorpresi
dalla catastrofe, rimasero pietrificati così come erano fino a pochi
istanti prima della sciagura: Ercolano e Pompei, sorprese mentre ancora
fervevano di vita, avevano cessato di esistere.
Continua nel tempo è sempre stata la forte suggestione promanante da
quella catastrofe, non solo sulle menti speculative degli storici, ma
anche su quelle creative di scrittori ed artisti. Non immune dalla
fascinazione, esercitata nello specifico da Pompei, dopo l’ennesima
ipnotica peregrinazione, l’artista napoletano Aniello Scotto, docente di
Tecniche dell’Incisione e di Disegno Artistico presso il Liceo artistico e
l’Accademia di Belle Arti di Napoli, da lungo tempo e sempre con
grande favore attivo sulla scena napoletana, ha consegnato all’occhio del
pubblico, in una personale intitolata "Io, Domitilla", ospitata
dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, opere altamente
ispirate (oli su tela, sanguigne e incisioni), che sono state esposte alla
Casina Pompeiana, nella Villa Comunale di Napoli, dal 4 al 13 maggio 2007.
“Io,
Domitilla, figlia di Marco il "Fullo", mi risveglio dopo aver dormito per
circa duemila anni sotto una pesante coltre di cenere e lapilli.
Oggi non sono più la bella "Meretrix" di un tempo, ma solo un calco da cui
il mio spirito è emerso per volere di Venere Callipigia, mia protettrice. Ed
ora io, impalpabile entità, vago tra le rovine di quel che fu la mia città
e che l'ira degli dei condannarono alla distruzione ed alla morte.
Ora che i raggi del sole non possono più riscaldarmi mi ritrovo a
rimembrare i giorni della mia gioventù stroncata e quelli felici quando
tutta Pompei parlava di Domitilla la bella "Meretrix" e lo "sterminator
Vesevo" avea non ancor trascinato me nell'Ade e la mia splendida città
nella distruzione totale” Questo mi sembrò di sentir sussurrare durante una mia recente visita
agli scavi pompeiani, mentre ero intento ad ammirare un calco di donna
posto negli ambienti del museo, forse fu sogno o forse realtà, ma di certo
fu l’input per questa mia ricerca pittorica sulle ultime giornate che
precedettero la fine della bella Domitilla, ma è anche la speranza di far
rivivere ancora oggi quest’entità che in un giorno di agosto ha parlato
mediaticamente al mio cuore.
(Aniello Scotto)
Il Maestro napoletano, in sentita partecipazione emotiva, in un excursus
storico-narrativo, muovendo dall’immaginaria figura di Domitilla, mediante
il personale tratto e colore, cupo, quando incombe il terrore e il buio
della lunga notte da trascorrere, eclatante, quando rappresenta la
devastazione, sia negli oli che nelle sanguigna che nelle incisioni, nuova
vita restituisce all’evento e ai personaggi maggiormente rappresentativi
dell’epoca, colti nell’attimo in cui massima era la pulsione alla vita e
all’istinto di sopravvivenza (la meretrice, il gladiatore, le donne
oranti, la massa in fuga precipitosa), rappresentando i vari stati d’animo
anche estremi (come il terrore), strappando, ancora una volta, Pompei alle
ceneri del vulcano e all’oblio del tempo.
Francesca Santucci (2007)
www.anielloscotto.it
http://www.letteraturaalfemminile.it/artisticontemporaneianielloscotto.htm
Le immagini delle opere di Aniello Scotto sono tratte dal catalogo della
mostra “Io, Domitilla".
Aniello Scotto, Pavor
(Terrore), olio su tela, cm. 80x100
Aniello Scotto,
Incendium
(Incendio), olio su tela, cm. 80x100
Aniello Scotto,
Temporis longae
noctis (La lunga notte), olio su tela, cm. 80x100
Aniello Scotto,
Plinio, olio
su tela, cm. 80x100
Aniello Scotto,
Hodie (Oggi)
, olio su tela, cm. 80x100
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