nota critica all'opera di

Letizia Lanza

Donne greche

tra passato e presente

 

È rivolto al passato il cuore di Letizia Lanza, appassionata soprattutto di classicità greca e romana, ma l’occhio attento scruta e sonda, ed il cervello registra e studia il mutamento ed i riflessi che esso riverbera sul presente in una misteriosa ed alchemica commistione che fa sì che il passato si confonda col presente e, poiché il moderno affonda lontano le sue radici, l’antico divenga attuale.
Antichista, la nostra autrice ha al suo attivo numerose pubblicazioni di filologia storica e critica, affascinanti per la materia trattata e la classicità, ma anche per la peculiare sensibilità di donna che contribuisce ad avvolgerle di un'aura speciale, soprattutto quando indaga lo specifico femminile, perché chi, meglio di una donna, può comprendere i tormenti che s’agitano negli animi delle altre donne, lontane o vicine nel tempo e nello spazio, immaginarie o reali?
In Vipere e demòni, Donne greche e dintorni e Grecità al femminile. L'altra Penelope (saggi che, pur prestandosi a lettura scorrevolmente piacevole, letture non sono, ma vere e proprie dotte lezioni, impartite, però, con grazia e levità, senza la pedanteria che ci si aspetterebbe dalla specialista del campo) l’indagine, incentrata sulla rivisitazione del femminile nell’antico mondo greco, non manca di suscitare diverse emozioni e riflessioni.
Letizia Lanza parte dall’indiscutibile assunto che la civiltà greca operò una netta distinzione di ruoli tra il maschio (associato al culto del sole) e la femmina (associata al culto della terra e della luna) ed attribuì piena superiorità al primo, al quale associò subito valori "attivi" come la forza e la vitalità, mentre alla donna, relegata in posizione subalterna, assegnò quelli "passivi" di fertilità e virtù domestica.
Tali concezioni, confluite in letteratura, opera esclusiva degli uomini, se si eccettuano Saffo ed altre poche scrittrici, diedero luogo ad un universo androcentrico, che ancor oggi continua a sembrare diviso in soldati e spose, dominato esclusivamente da eroici personaggi maschili (basti pensare all'eroe supremo fra tutti, il mitico Odisseo, o ad una tragedia fra tutte, il Filottete, tutta al maschile): uomini potenti, violenti, dotati delle virtù primitive della forza fisica e del valore guerriero, che giganteggiano, prepotenti, a fronte di donne votate esclusivamente all’esercizio delle virtù domestiche, alle sommesse consorti, amanti, madri, sorelle, eppure ... quanto palpitante di mitiche figure di donna!
Ed è la nostra studiosa a svelarci che il presunto (ma non troppo) misogino mondo greco in realtà seppe dar vita ad appassionanti figure femminili, sulle quali variamente investigare.
Lo popolano, fra le tante, Elena, Penelope, Medea, Circe, le Sirene, creature volitive, fragili, perplesse, incerte, combattute, donne d'amore, di dolore, di terrore, di seduzione, donne inquiete, pazienti, vendicatrici, fascinatrici, costrette in destini di sofferenza, chiuse in cerchi di follia, spesso "predestinate", artefici e vittime sacrificali degli orgogli e delle presunzioni maschili, comunque donne fiere che si ritagliano spazi nei quali signoreggiare da protagoniste.
Ci si aggira in rivisitazione fra queste antiche donne come Dante con Virgilio, quasi guidati per mano da Letizia Lanza in un viaggio, ad illuminare, scoprire e disvelare, con le sue profonde conoscenze del mondo greco, con le sue intuizioni, ma anche con la sua sensibilità squisitamente femminile, aspetti inconoscibili, sommersi, occultati, in una riconsiderazione sorprendentemente moderna e, pur nel dotto specifico dell'indagine, critica e filologica, ben comprensibile anche ad un pubblico che non abbia percorso il suo stesso cammino di studi.
L’Autrice sfronda gli stereotipi ed i luoghi comuni per offrire nuove, moderne e più complete chiavi interpretative che consentono di comprendere la grecità femminile nelle molteplici sfaccettature.
E così ripercorriamo con lei, cogliendone le diverse sfumature, le varie letture del personaggio di Elena, simbolo della sensualità irresistibile (che, come puntualmente sottolinea Letizia Lanza, pur comparendo raramente nel poema, è presenza importante "È proprio questo restare nell’ombra che illumina di luce vivissima la sua presenza nel poema: una presenza essenziale, anzi decisiva, se è vero che Eros- di cui, appunto, Elena è fulgido simbolo… ", L. LANZA, Vipere e demòni, Stereotipi femminili dell’antica Grecia).
E scopriamo che, anche se in letteratura generalmente ostili sono state le interpretazioni, pure talune voci si sono discostate dal considerarla unicamente come colei che ha il potere della bellezza e che, col suo adulterio, consenziente al rapimento di Paride, sarà causa di sciagura provocando la guerra di Troia ("…Quando videro Elena, che veniva verso la torre, a bassa voce scambiarono fra loro parole fugaci:’Non sono da biasimare i Troiani e gli Achei dai belli schinieri, se soffrono da gran tempo, per una simile donna; a vederla, somiglia terribilmente alle dee immortali; tuttavia, pur così bella, se ne ritorni via sulle navi e non rimanga più qui, sciagura per noi e per i figli, in futuro!", Iliade, III).
E Penelope ("casta, pudica, fida, vera", L. LANZA. Grecità femminile. L’altra Penelope), da sempre còlta al focolare o al telaio, che in strenua difesa del talamo nuziale, fedele allo sposo, respinge ogni pretendente, non è più soltanto la nobile sposa che, donna privata addirittura della sua identità senza il suo uomo, priva ormai di attrattive, al suo destino predestinata, ne attende paziente il ritorno ("Gli rispose allora la saggia Penelope:"Straniero, la mia virtù, la mia bellezza e la mia figura distrussero gli immortali, quando gli Argivi salparono per Ilio, e il mio sposo Odisseo era con loro. Se egli, dopo essere ritornato, si prendesse cura della mia vita, la mia fama sarebbe molto più grande e più bella. Ora, invece, io soffro, tali sventure un dio scatenò contro di me"... Odissea, XIX").
Nella sua personale rilettura, Letizia Lanza scardina lo stereotipo che la vorrebbe inquadrata in questo cliché, insinuando addirittura il dubbio che, anziché acquiescente, sommessa e sottomessa, Penelope possa essere considerata addirittura "soggetto": "Ecco perché la stessa acquiescente Itacese da talune/i, oggi, può esser presa a simbolo della femminile capacità di (auto) conoscenza- coscienza" L. LANZA, Grecità femminile. L’altra Penelope.
E s’arricchisce di nuove sfumature anche l’immagine di Medea, l’eroina euripidea così terribilmente femminile nella sua passionalità che sembra impensabile possa essere stata rappresentata da un maschio (è sempre l’autrice a ricordarcelo: "Ecco dunque perché, con il dramma di Euripide, ancor più venato di a(nti)femminismo appare l’orizzonte dei tragici greci. Dove- non si dimentichi- gli stessi personaggi femminili vengono messi in scena e interpretati da uomini", L. LANZA, Donne greche e dintorni).
Quasi sempre tramandata solo come la vendicativa maga barbarica, la donna gelosa, meschina ed egocentrica che, acuendosi, per l’esilio e per le nuove nozze, il suo rancore verso Giasone, che la rimprovera di avere un aspro carattere e di non essere adatta ad esser moglie perché non sottomessa, per punirlo ne uccide i figli ("E’ assolutamente inevitabile che essi muoiano; perciò, dal momento che è necessario, li ucciderò io, io che li ho generati ..." EURIPIDE, Medea), ebbene, nell’indagine dell’Autrice Medea diviene la donna, di superiori poteri intellettivi dotata, che si ribella agli schemi precostituiti, rifiuta le identità per lei prestabilite, di donna di casa in aura di sacralità, per il potere riproduttivo di cui è investita, da poter ben controllare, o di creatura di passione, oggetto di mascolino piacere, da poter egualmente controllare ( "Come creatura passionale, tuttavia, la donna può per lo meno essere sorvegliata- educata- formata, Medea, invece, non si lascia inquadrare in nessuno dei due stereotipi femminili 'normali'-identità passionale, identità domestica", L. LANZA, Donne greche e dintorni), rifiuto che tanto assomiglia a quello delle femministe che, negli anni ’70, in riacquisita identità, chiedevano con insistenza di essere considerate "soltanto" donne.
Persino su Circe, la terribile maga figlia del Sole e dell’Oceanina Perse, la femmina fascinosa che usa il sesso come strumento di potere e che, in evidente metafora del carnefice, con la blandizia attira la sua vittima, mentre tesse canta con voce armoniosa ("Amici, c’è qui dentro, intenta ad una grande tela, canta stupendamente e ne risuona tutta la casa, una dea o una donna …" Odissea, X) apprendiamo di più dalla voce di Letizia Lanza.
Ricostruendo le peregrinazioni dell’eroe omerico, Letizia c’informa che la strega ammaliatrice che seduce, lega ed intrappola Odisseo per un intero anno non è stata considerata sempre e solo in negativo ma, secondo altre interpretazioni, sarebbe stata nobilitata come capostipite dei Marsi o genitrice di due re Latini ("Nasce così una nuova saga di Ulisse che trasforma in figli suoi e della maga Circe due mitici re del Lazio, Agrio e Latino, e li destina nientemeno che a regnare su tutti i Tirreni, o Etruschi ...", L. LANZA, Donne greche e dintorni).
E poi ci sono le figure mitiche per eccellenza, le Sirene, le ninfe del mare, per taluni divinità messaggere di Persefone, esseri favolosi dall’ammaliante canto, secondo la mitologia greco-romana per metà del corpo femmine, per l’altra metà prima uccello, poi serpente, infine pesce, da sempre legate alla fascinazione, alla lusinga, all’insidia, al tranello
tramite la parola o il canto o l’avvenenza fisica, che Letizia Lanza fa magicamente rivivere nella storia, nell’arte, in filosofia e in letteratura, in un excursus che muove dalle testimonianze della loro presenza già in epoca micenea, alle tentatrici omeriche, alla Sirenetta di Andersen, all’Ondina di Bachmann, esponendo, nello specifico letterario, le diverse simbologie assunte presso i Greci ed i Romani, che sempre, comunque, ne sottolinearono il fascino ingannevole.
Ebbene, la nostra Autrice si sofferma sull’aspetto che maggiormente ha suscitato timore nell’inconscio maschile, e cioè la doppia natura, l’alterità. ("Senza dubbio la fascinosa potenza della donna d’acqua sta nel sapere, più di tutte, evocare l’enigma di un differente genere-il genere femminile. Poiché l’acqua-non si dimentichi- è luogo del tutto Altro dal terrestre mondo degli uomini", L. LANZA, Donne greche e dintorni).
In questo viaggio ideale, nel quale ci conduce con perizia e sicurezza, Letizia Lanza ci fa scoprire le diffidenze ed i timori - ma anche i bisogni di certezze - degli antichi verso le donne, ritenute talmente incomprensibili da spingerli a trasfigurarle in creature orribili, mostri, maghe, assassine, ma ci fa anche riconsiderare sotto una luce moderna il loro immaginario femminile.
Allora si riscoprono un'altra Elena, un'altra Penelope, un'altra Medea, un'altra Circe, ed anche il canto delle Sirene assume coloriture diverse, e si può guardare con occhi nuovi a queste donne immaginarie, così reali, che hanno certamente entusiasmato chi ne ha affrontato lo studio al liceo o all’università, e che continuano a sorprendere tanto più ora che la sua indagine ha illuminato di nuove sfumature il riflesso delle loro immagini che, pur dal passato, nitide continuano a giungere ma - come dice Letizia Lanza - "il presente ha un cuore antico".

Francesca Santucci (febbraio 2003)

 

 

 

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