Francesca Santucci
NOSSIDE
un’antica poetessa della terra di Locri (pubblicato sulla rivista "Penelope ride", anno I, numero I, Apollo edizioni 2017)
Nosside, busto in marmo di Francesco Jerace (Polistena, 1853 – Napoli, 1937)
Poetessa della scuola dorica,
collocata dal poeta tessalo Antipatro tra “le nove più grandi poetesse
della Grecia“, Nosside fu originaria della grecità occidentale, nata da
una famiglia aristocratica in Magna Grecia, a Locri Epizefiria, presso la
punta meridionale della Calabria, terra di Locri, come in un suo
verso cantò, dove operò intorno al 300 a.C. Gli scudi, che gli uomini Bruzzi gettarono via dalle spalle codarde, vinti in battaglia dagli agili Locresi, di costoro a testimoniare oggi la virtù, ora stanno nei templi degli dei, né rimpiangono le braccia dei vili che li abbandonarono.
Suo biglietto di presentazione è un finto epigramma funerario in cui, lievemente in rivalità con la grande emula, Saffo, così scrive:
O straniero, se tu navighi a Mitilene dai bei cori per infiammarti al fiore delle grazie di Saffo, dì’ che anch’io fui cara alle Muse, e che la terra di Locri m’ha dato i natali. Sappi ch’ebbi nome Nosside, va’.
Nei suoi versi Nosside allude a vicende storiche e a fatti personali, ma famosi sono soprattutto i suoi epigrammi amorosi (definiti da Meleagro nella “Ghirlanda”, profumati giaggioli di Nosside, sulle cui tavole Amore stesso spalmò la cera), brevi spunti elegiaci d’amore dei quali resta un nucleo modesto, solo undici (o dodici), tutti di quattro versi, tuttavia sufficienti a delineare la sua personalità. Creatura sensuale, dall’animo appassionato, attraverso un’immagine vivida e realistica, così descrive le dolcezze dell’amore:
Nulla è più dolce di amore, ogni altro diletto viene dopo di lui; dalla mia bocca io sputo anche il miele. Lo dice Nosside; e chi da Cipride non fu baciato ignora quali rose siano i suoi fiori.
Nei suoi epigrammi, molto imitati nel suo secolo, Nosside amò esaltare la potenza e l’assoluto dell’amore con una sicurezza degna della grande Saffo, alla quale amava paragonarsi e alla quale è stato spesso accostata da quei critici che hanno voluto, erroneamente, vedere in lei similmente un’etera, ma i suoi versi sono più manierati e non si discostano dalla tradizione ellenistica, e il suo elogiare la virtù, l’orgoglio di genitore ed anche le sue abitudini domestiche (come quella del tessere), inducono a non dubitare dei suoi principi morali. Nonostante tradiscano qualche imperfezione formale, meritano di essere elogiati e ricordati, soprattutto, com’era suo desiderio, quelli in cui maggiormente si espresse come poetessa d’amore.
1) Sbordone, “Storia della Letteratura greca”, Morano, 1963, Napoli, pag. 331. 2) Traduzioni di Ettore Romagnoli e da Sbordone, “Storia della Letteratura greca”.
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