dal
libro
Napoli di ieri
edizioni A.L.I.
Penna d'Autore, 2005
139
pagine-
Prezzo: 10,00 euro
Francesca Santucci
Non
addio, meravigliosa nonna!
Multis ille bonis flebilis
occidit.
Morì, persona che poteva essere
pianta da molti buoni.
(Orazio)
Dopo la morte in mezz’ora il sangue
si coagula, quattro ore dopo si produce il “rigor mortis” che
rende le membra rigidissime, entro un giorno si produce la
solfoemoglobina che conferisce un colore verdastro, dopo
quattro giorni i microrganismi che trasformano i tessuti
producono gas, nell’arco di quattro mesi il corpo perde tutti
i liquidi e nel volgere di due-tre anni si dissolvono tutti i
tessuti, lasciando solo le ossa… Sì, era accaduto questo anche
alla sua nonna che giaceva in un sepolcro di pietra, ed ora
Caterina aveva un sogno ricorrente: sognava di andare al
cimitero, di girare intorno alla tomba, mentre intorno
infuriava un vento da bufera. Osservava i fiori sciupati e
avvizziti sulla tomba della nonna e piangeva ma ecco che, per
prodigio meraviglioso, quella più tomba non era, ma un letto,
e dentro c’era la nonna vestita di bianco come una sposa, che
le sorrideva. Allora smetteva di piangere, però si rendeva
conto che stava sognando e si diceva che non voleva
svegliarsi, che voleva restare ancora un poco con lei, ancora
un poco, ancora un poco…ma si ridestava, e la bianca veste
della nonna altro non era che la tenda della finestra della
sua camera agitata dal tiepido vento di scirocco.
Per anni, però, era stato un altro il suo sogno ricorrente,
sempre uguale in ogni dettaglio; sognava che andava a casa
della nonna e la trovava vuota, la cucina vuota, il letto
vuoto…e si svegliava di soprassalto, in lacrime, tremante.
Per anni ed anni ed anni sempre lo stesso angosciante,
frustrante sonno, finché poi una notte (si vede che il suo
inconscio proprio non sopportava più tutto quel dolore)
finalmente sognò che, nel congedarsi per andare
all’Università, lei la tratteneva per le mani e le diceva:
-Salutiamoci adesso, perché non so se al ritorno mi troverai
ancora. –
Allora Caterina baciava la sua nonna, consapevole che quella
era l’ultima volta che la vedeva viva.
***
Napoli, quartiere popolare, via
Arenaccia, casa del Risanamento1, ampio cortile,
cinque scale, A, B, C, D, E, secondo appartamento di sei,
porte sempre spalancate sul pianerottolo continuamente
vociante di donne pettegole e ragazzini indisciplinati: fu lì
che Caterina visse l'infanzia, l'adolescenza e gli ultimi
anni di vita della sua nonna.
La nonna, nata il 18 Aprile del 1895, figura minuta, splendidi
occhi verdi e luminosi, corti capelli neri ravviati
ordinatamente da un lato della testa, donna tenace, buona,
orgogliosa, saggia dispensatrice di consigli. Come dicono
"nonna" in Francia? Grand-mère? Fu davvero una grande mamma!
Silenziosa e riservata, ma pronta a confortare e a consigliare
nel modo giusto; docile e sottomessa al marito, ma
intelligente e dignitosa nell'esercizio del ruolo domestico;
mamma e nonna orgogliosa e fiera dei figli e dei nipoti.
Morì il tredici settembre del 1980; sulla sua pagellina di
morte si legge: O voi che mi avete tanto amato, non
guardate la vita che lascio ma quella che incomincio. Non
piangete la mia assenza,sentitemi vicino e parlatemi ancora.
Io vi amerò dal cielo come vi ho amati in terra!
Nella sua lunga esistenza vide il re, diversi papi, una
dittatura, due guerre, il crollo della monarchia, il trionfo
della repubblica, molti presidenti, il boom economico, i
capelloni, la coca-cola, l'assassinio dei Kennedy, la nascita
della televisione, il primo atterraggio sulla luna commentato
da Tito Stagno, la guerra in Vietnam, il '68, Nilla Pizzi, le
minigonne di Mary Quant, Renato Zero, le Brigate Rosse, gli
omicidii di Moro e del generale Dalla Chiesa, il film muto
ed il sonoro, il bianco e nero e il TV color.
A Natale Caterina le regalava le stelle, quegli esili fiori
con le brattee rosse e l'elegante gambo lungo, a Pasqua un
ramo di mandorlo fiorito, per il compleanno un mazzolino di
violette, per il suo onomastico un profumo.
La nonna amava molto la viola e la "Violetta di Parma", dalla
fragranza dolce e intensa che centellinava ed usava solo nelle
grandi occasioni (il matrimonio di un figlio, il battesimo di
un nipote, un anniversario, una Prima comunione, altrimenti il
prezioso flacone giaceva in fondo al cassetto del comò, ad
impregnare di sé candidi fazzolettini e pregiata lingerie
ricamata a mano),
e, quando la riceveva in dono, osava metterne subito due gocce
ai lati delle orecchie, poi, unico suo gesto civettuolo,
usciva sul pianerottolo perché anche le vicine ne sentissero
il profumo.
In quel minuscolo appartamento del quarto piano sedevano
spesso a parlare, nonna e nipote: la nonna con lo scialle di
lana bianco e blu adagiato sulle spalle curve, le braccia
conserte sui morbidi seni, Caterina sognante, con la gota
poggiata sulla mano, piegata in avanti nella sua direzione,
ben attenta all'ascolto, senza mai interromperla, perché le
piacevano il tono della sua voce, i fatti del passato che le
raccontava e il calmo distacco della narrazione.
Le raccontava episodi della sua infanzia, della giovinezza
trascorsa ad ammirare il re e la regina con il loro scenario
fantastico, dell'amore per il nonno, dell'infelice periodo
del ventennio, della guerra e dei partigiani che sparavano dai
tetti dei palazzi, del suo matrimonio celebrato nella più
bella chiesa di Napoli, delle passeggiate in carrozza, dei
figli, di come il nonno fosse stato bello da giovane e come
lei lo avesse amato fin da bambina, di quanto fosse diversa
la Napoli di ieri da quella di oggi, citando luoghi e persone
noti o sconosciuti. E poi dava consigli e raccomandazioni,
suggerimenti e saggi insegnamenti sui problemi seri e sulle
cose spicciole della vita quotidiana. Talvolta, mentre parlava, Caterina
veniva come presa da uno strano rapimento, allora reclinava
la testa sulle braccia incrociate sul tavolo e cominciava a
guardarla con attenzione: osservava le rughe del viso e del
collo, pieghe morbide e lente, poi le mani nodose e secche,
gli occhi chiari così simili ai suoi, e pensava che da
giovane doveva essere stata bellissima, con i capelli corvini
raccolti alti sul capo, lo sguardo scintillante, il volto
roseo e liscio, il busto slanciato in una candida camicia
profilata di merletto, i fianchi stretti in una lunga gonna
blu svasata al fondo, a passeggio per via Caracciolo, nella
scia odorosa del suo profumo alla violetta confuso con la
fresca brezza del mare partenopeo.
Nei giorni trascorsi a parlare intorno a quel tavolo la nonna
le regalava tutti i suoi ricordi, patrimonio d'inestimabile
valore che Caterina avrebbe per sempre gelosamente custodito
nel suo cuore, in cambio lei le offriva il suo devoto amore
di nipote ed il conforto della sua presenza, perché non
restasse da sola ad intristire.
Purtroppo quei giorni meravigliosi non durarono a lungo...
***
Nella sala di rianimazione
dell'ospedale guardava il corpo sfatto della nonna,
disanimata come una marionetta, alimentata a forza da
tremule cannule simili ai fragili fili di un burattino, e
pensava alla vita che se ne andava con
l'ultima goccia di glucosio che la flebo travasava nella
vena.
Il suo volto ora aveva il colore vago della rosa gialla quando
appassisce, e le dita piccole e smagrite sembravano azzurrine.
Dolorosamente osservava tutto il suo corpo e rifletteva
sulla nonna, su sua madre, su se stessa, su ciò che erano,
che erano state, che sarebbero diventate l'indomani.
Un ricordo: Caterina bambina, febbricitante, ammalata,
adagiata sul letto in ferro battuto dei nonni materni, tra le
lenzuola profumate di lisciva ricoperte da un leggero
copriletto ricamato a grandi rosa beige, l'odore del bucato
confuso con quello della naftalina.
- E' febbre di crescenza, così crescono i bambini!Tra una
febbre e l'altra crescono e diventano più alti!- sentenzia la
nonna riponendo il termometro, poi le sprimaccia il cuscino,
pone nuove bende fresche sulla fronte calda, sorride
rassicurante e, con solennità, le tasta la pancia con la
stessa aria grave del sacerdote al momento dell'Ecce Agnus
Dei.
Istintivamente Caterina allunga le gambe intorpidite senza
riuscire a toccare il fondo del materasso e pensa: Devo
ancora crescere!
Adesso guardava il grembo molle della nonna, quella parte
fondamentale, sacra, della fisiologia femminile, che aveva
accolto una vita e poi un'altra e ancora e ancora e che,
lentamente, era stato deformato dalle gravidanze, dai parti,
dagli anni, dalla malattia, fino a divenire quel sacco vuoto
che osservava. La parte più importante del corpo di una
donna, il ventre entro cui tante vite avevano germogliato, ora
era niente, ed anche le altre parti del corpo della nonna
erano niente, e le mani, quelle stesse che avevano agito in
modo frenetico, che avevano dispensato conforto, che avevano cullato, accarezzato,
blandito ogni giorno della sua vita, erano perfettamente
immobili.
Ecco cos'era che la sconvolgeva maggiormente: l'assenza del
gesto, la totale immobilità!
Le rughe sul suo viso disegnavano una smorfia indecifrabile
che faceva presagire un imminente distacco e le incuteva
paura. Aveva paura, sì, paura che la sua bella nonna morisse,
ed allora, per esorcizzare questo sentimento incontrollabile
che cresceva sempre di più, di tanto in tanto si chinavo sul
suo corpo e le raccontava, nel loro dialetto, i sogni, i
progetti...A tratti un piccolo fremito le agitava le palpebre,
sembrava comprendesse le sue parole che, purtroppo, non
avviavano un dialogo, ma erano solo uno sterile disperato
monologo.
Dentro di se Caterina già piangeva perché sentiva che
s'affievoliva sempre più l'eco delle nenie e delle
filastrocche che la nonna le cantava quand' era bambina.
Avrebbe voluto gridarle: Forza,nonnina, cantale ancora!,
ma tutto questo era già il passato, il passato della
nonna, il suo passato, un periodo di vita che scivolava via
insieme con lei.
Di fronte a questa cosa indefinibile che era diventata la
nonna provava l'impulso violento di scappare, ma sempre
restava, ricacciava indietro le lacrime e riprendeva a parlare
da sola.
Di tanto in tanto distoglieva un istante lo sguardo dal suo
viso immobile e si guardavo intorno: tutto era così bianco,
asettico, impersonale, lindo, immacolato, bianchi erano gli
armadietti, le sedie, le cannule, i lettini, le cuffiette
delle infermiere, le tazze ove, pietosamente, offrivano neri
caffè, bianchi i fiori di plastica, indubbiamente di pessimo
gusto, in quest'anticamera del cimitero, bianche perfino le
scatole dei medicinali, ordinatamente ammucchiate negli
scaffali anch'essi bianchi.
(Un po' di viola, un po' di viola, una violetta profumata per
la nonna...).
Dai corridoi giungevano rumori di passi eseguiti da individui
in uniformi verdi e scarpe bianche, sollevò lo sguardo e,
attraverso un’impalpabile nebbiolina, incontrò quello di
un’infermiera. Piangeva Caterina, l’infermiera le porgeva un
caffè e lei piangeva senza riuscire a fermarsi, piangeva di
dolore, di rabbia, piangeva su quel corpo già livido e inerte.
***
In silenzio, la nonna se ne andò in silenzio, senza
riprendere conoscenza, portando via con sé la parte più
importante della vita di Caterina, quella dell'infanzia e
dell'adolescenza, irrimediabilmente consegnate al ricordo.
Scappò via, per piangere da sola. Corse sul lungomare, arrivò
alla solita spiaggetta dove sempre andava quando aveva un
dispiacere, e si sedette su uno scoglio bianco.
Neapolis, Novapolis, Palepoli, questi gli antichi nomi di
Napoli, la sua bella città, ancora più indietro nel tempo si
era chiamata Partenope, da Partenu-Opsis, la figlia di Eumelo,
il re della Tessaglia, morta subito dopo essere giunta sul
litorale e qui seppellita, o forse dal nome della sirena che
aveva ammaliato Ulisse, ma non al punto da riuscire a legarlo
a sé, e che per questo s’era lasciata morire.
Fin da bambina aveva amato pensare che sotto le acque vivesse
davvero, con le sue sorelle, l’infelice sirena, ed era a loro
che andava ad raccontare le sue emozioni, che affidava i suoi
dolori, che mostrava le sue lacrime, e questo era un momento
in cui aveva bisogno di confidare le sue pene.
Insieme al vento che saliva dal mare le sembrava di sentire il
loro canto consolatore, ma anche le pareva di udire l'eco della cara
voce che le recitava i versi del poeta:
Core, core, che te lusinghe a ffa,
tutto fenesce.
Nasce 'a matina 'o sole e 'a sera
more,
more nu sciore e n'ato già ne
cresce...2
E ancora le pareva di riudire le sue raccomandazioni:
-Allicuordate, nennè, ogni scarpa addiventa scarpone.
Allicuordate, tutto se cagna e niente resta
uguale...’E ccose cagnano da nu juorno a n’autro...Ma nun e
avé paura d’ ‘a morte, è sulo nu passaggio, nu cambiamento
int’ ‘a quacche cosa che nun c’ è dato sapé che d’ é...Si,
però, tiene ‘a fede...3-
Caterina inspirò lungamente l'aria del primo mattino
profumata dalla brezza marina, cominciò a giocherellare
distrattamente con la rena: fu allora che scoprì una piccola
conchiglia bianca, vuota, levigata dal mare, corrosa dal sale,
con al centro una netta, precisa venatura viola… violetta… la
Violetta. Messaggio nella bottiglia, arcana
corrispondenza: le parve un segno del destino!
Raccolse la conchiglia, la strinse forte nel pugno, la baciò
lungamente tenendovi ben incollate le labbra come un bacio di
bambina, infine sussurrò fra sé: -Non addio, nonna, non addio,
meravigliosa nonna!- Caterina rivolse un ultimo sguardo al
mare, al cielo e a quel punto lontanissimo nel quale i due
elementi paiono congiungersi, poi asciugò le lacrime e tornò
sui suoi passi per salutare un'ultima volta la nonna sul suo
letto di morte; lei era già trasmigrata altrove…sì, ma dove?
Francesca Santucci
1) in seguito alla grave epidemia di colera che si ebbe a
Napoli nel 1884, il sindaco Nicola Amore fece "sventrare" la
città. Allora si costituì la società del Risanamento che
edificò abitazioni più razionali dove prima sorgevano
fatiscenti tuguri.
2) Cuore, cuore, è inutile che tu t'illuda, tutto finisce.
Il sole nasce al mattino e a sera muore, muore un fiore e
già ne cresce un altro, versi di Pasquale Cinquegrana.
3) ricorda, bambina, ogni scarpa diventa ciabatta. Ricorda,
tutto cambia e niente resta eguale. Le cose cambiano da un
giorno all’altro…Ma non devi temere la morte, è solo un
passaggio, un cambiamento in qualcosa che non ci è dato
sapere…Se, però, hai fede…
|