Francesca Santucci

 

MARIA SOFIA DI BORBONE: L’ULTIMA REGINA DI NAPOLI

 

Francesca Santucci, "Storie di donne", Apollo edizioni 2019, estratto

 

 

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E ‘a Riggina! Signò!… Quant’era bella!

E che core teneva! E che maniere!

Mo na bona parola ‘a sentinella,

mo na strignuta ‘e mana a l’artigliere…

Steva sempe cu nui!… Muntava nsella

currenno e ncuraggianno, juorne e sere,

mo ccà, mo Uà… V ‘o ggiuro nnanz’ ‘e sante!

Nn’èramo nnammurate tuttuquante!

 

(Ferdinando Russo, ‘O surdato ‘e Gaeta)

 

In quel tempo avventuroso e romantico che fu il nostro Risorgimento, dominato esclusivamente da personaggi maschili, tra le figure femminili diversamente di spicco, oltre ad Anita Garibaldi (l’amazzone coraggiosa, che non s’intendeva di politica, ma che non arretrò di fronte a nessun pericolo per amore del suo uomo) e alla discussa contessa di Castiglione (la cui presenza a Parigi, voluta dal cugino Cavour, ebbe un indubbio influsso sulla politica francese nei riguardi del Piemonte contribuendo, a suo modo, all’unità d’Italia), si colloca anche un’eroina giovanissima, intrepida animatrice dell'ultima resistenza borbonica, che infiammò i cuori e accese le fantasie battendosi alla testa dei suoi soldati sugli spalti insanguinati della fortezza di Gaeta, per difenderla e per salvare il suo regno assediato da ogni parte dai soldati di Vittorio Emanuele II.
Le sue gesta, paragonate a quelle di Giovanna d’Arco, suscitarono l’ammirazione degli stessi avversari, dell’intera Europa e di tanti cronisti, letterati e intellettuali dell’epoca ed oltre (da D’Annunzio a  Proust a  Sciascia -che ne conservava una immagine nel suo studio- fino al giornalista del Corriere della sera Giovanni Ansaldo, che la intervistò ormai anziana, pochi mesi prima della morte) e le valsero l’appellativo di “aquiletta bavara”,1 coniato da Gabriele D'Annunzio (l’aquiletta bavara che rampogna la definì nella sua “Canzone di Garibaldi”,  in riferimento alle origini nordiche della regina, che aveva sposato in tutto e per tutto la causa meridionale). Ma poi, tramontati i giorni dell’epopea, su di lei si lasciò scendere prima la calunnia e poi il silenzio, tentando di cancellarne il ricordo solo perché si era trovata a militare dalla parte “sbagliata”, e i vincitori non potevano permettere che durasse il suo mito: quella donna era Marie Sophie Amalie von Wittelsbach, Herzogin in Bayern, in Italia nota come Maria Sofia Amalia di Baviera,  l’ultima regina di Napoli.

 

 

 
Carlo La Barbera, Maria Sofia (1860)

 


Maria Sofia, figlia del re di Baviera Massimiliano II e della duchessa Ludovica, nacque il 4 ottobre 1841 nella tenuta di Possenhofen.  Imparò da piccola a cavalcare con abilità, a nuotare, a fare ginnastica, ad arrampicarsi sulle cime dei monti, a tirare di scherma e a sparare con la carabina. Di circa quattro anni più giovane della famosa sorella Sissi, anche lei era molto bella, alta e snella, con occhi di color azzurro-cupo, lunghi capelli castani, l’espressione dolce, le movenze aggraziate, somigliante alla sorella nell’aspetto e nel temperamento ribelle.
Intelligente, romantica e sognatrice, ma pure istintiva e dotata di grande senso pratico, anticonvenzionale e anticonformista (cosa assai rara per una donna a quei tempi fumava pubblicamente), a suo agio fra la gente semplice, Maria Sofia ricevette un’educazione liberale. Dal padre Massimiliano aveva ereditato l’incoscienza, l’ottimismo, l’insofferenza per la noiosa vita di corte, ma anche l’amore per la natura e per gli animali, in più aveva un carattere forte e uno spavaldo disprezzo del pericolo, qualità che rivelò pienamente nella tragica ora della verità, ammantando di epopea il malinconico tramonto della dinastia borbonica.
Molti principi aspiravano alla sua mano, ma a soli diciassette anni accettò la domanda della Corte di Napoli di andare sposa all’erede al trono delle Due Sicilie, Francesco II di Borbone, che non conosceva personalmente, ma che aveva potuto vedere ritratto in una miniatura e non le era dispiaciuto. Maria Sofia non s'intendeva di politica, perciò ignorava che quello che la attendeva era un trono malsicuro, accanto a un monarca debole circondato da cortigiani corrotti e incapaci, minacciato dalla rivoluzione che serpeggiava in ogni parte d'Italia. Inoltre, di certo non si aspettava di dover diventare regina molto presto, dato che il suocero, Ferdinando II, era appena cinquantenne, ma il destino aveva diversamente disposto.
Dopo un matrimonio celebrato per procura, che avrebbe rinsaldato il legame tra la corte bavarese e quella borbonica, nel marzo 1859 Maria Sofia approdò nella sua nuova patria ma, nel maggio di quello stesso anno, Ferdinando II morì e fu incoronato re suo figlio. E così Maria Sofia, giovane, vivace e piena di vita, si trovò, quasi da un giorno all'altro, senz’alcuna preparazione, a sedere sul trono di Napoli, ma fu regina solo per un anno, accanto ad un marito mite e fatalista, che non riuscì a scaldarle pienamente il cuore e con il quale non riuscì mai a stabilire una vera intesa.
Splendida amazzone, ottima nuotatrice, elegante e raffinata, Maria Sofia fece di tutto per essere ammirata dal suo popolo, mostrandosi allegra e spensierata, anche se i rapporti col marito, introverso, timorato di Dio, ossequioso dei precetti religiosi, lettore solo di libri edificanti scelti per lui dal severo educatore Borrelli, continuavano a essere poco soddisfacenti a causa di una fimosi che gl’impediva di consumare le nozze.
E fece pure rifiorire la vita di corte e promosse un risveglio mondano della città, organizzando feste, spettacoli di danza e pubbliche cerimonie, mai mancando con il suo consorte e con il suo seguito, tanto che, ben presto, la sua immagine cominciò ad apparire nelle cronache accanto a quelle delle imperatrici d’Austria e di Francia.
Fu, quello, per lei un periodo sereno che, però, doveva durare soltanto una breve stagione: incalzarono, infatti, gli eventi politici. Francesco II esitava a concedere la costituzione, Maria Sofia era favorevole, ma rifiutava gli accordi con gli odiati Savoia e respingeva anche ogni ipotesi di guerra con l’Austria di cui la sorella Sissi era l'imperatrice, e, quando il suo consorte si decise a concederla, oramai era troppo tardi. Nel 1860 Garibaldi sbarcò in Sicilia; in breve tempo conquistò tutta l'isola, quindi mosse alla conquista di Napoli. Francesco II era incerto, non sapeva cosa fare, non si fidava dell'esercito, non aveva fiducia in se stesso e nel popolo. Invano Maria Sofia lo esortò a mettersi alla testa delle truppe e a marciare contro l'invasore, ma lui decise di abbandonare Napoli e rifugiarsi nella fortezza di Gaeta, scelta per un estremo tentativo di resistenza contro le truppe piemontesi e per un eventuale contrattacco in vista della riconquista del regno, ma, a quel punto, le sorti della dinastia borbonica erano segnate.
Nel tardo pomeriggio del 6 settembre 1860, accompagnati da un piccolo seguito di nobili e militari, i sovrani salirono sulla nave Messaggero e raggiunsero Gaeta alle 6 del mattino del 7 settembre; alle ore 12 di quello stesso giorno Garibaldi entrò in Napoli. Rinchiusi nella fortezza di Gaeta ora erano cinti d’assedio dalle truppe regolari di Vittorio Emanuele che, giunte con le loro artiglierie a sostituire i garibaldini, diedero inizio a un violento bombardamento.

 

 

Anonimo, Maria Sofia

 

Ed è proprio a questo punto che nasce la leggenda della giovanissima regina che non volle allontanarsi da Gaeta, anche se il novello consorte l’aveva pregata di lasciarlo solo a difendere l’estremo lembo della sua terra.
Benché ufficialmente si fosse assunta solamente il compito di curare i feriti e gli ammalati, disponibile, coraggiosa, Maria Sofia non si limitava a portare il suo conforto ai soldati napoletani a tutte le ore, pure di notte, visitando a turno gli ospedali, rassicurando i feriti e distribuendo loro frutta, ma anche cuciva le uniformi militari, confezionava per i soldati più meritevoli - in sostituzione delle medaglie- nastrini colorati da lei ideati, e, soprattutto, si batteva come un soldato alla testa dei suoi uomini, spronandoli, comparendo all'improvviso là dove più intenso era il pericolo, sfidando spavalda la morte, incoraggiando la gente con il suo passaggio, accendendo l’immaginazione di tutta l’Europa.
Così il poeta napoletano Ferdinando Russo celebrò il coraggio di  Maria Sofia durante l’assedio di Gaeta nel suo lungo poema pubblicato nel 1916,” ‘O surdato ‘e Gaeta”, in cui, attraverso gli occhi di un reduce dell’assedio- mutilato di un braccio per lo scoppio di una granata l’ultimo giorno dei combattimenti-  narrò i feroci bombardamenti (durati anche mentre erano in corso le trattative per la resa),  il tradimento dei diversi ufficiali dell’esercito e la spietatezza degli assedianti, soprattutto del generale Cialdini autore di numerosi massacri nel sud d’Italia,  un vero delinquente in uniforme sotto il cui comando  le armate sabaude compirono raccapriccianti azioni, attuando,  con il pretesto di reprimere il brigantaggio, una pulizia politica del sud, annientando fisicamente coloro che non erano favorevoli  all'unità d'Italia.

 

XIII.

E ‘a Riggina! Signò!… Quant’era bella!

E che core teneva! E che maniere!

Mo na bona parola ‘a sentinella,

mo na strignuta ‘e mana a l’artigliere…

Steva sempe cu nui!… Muntava nsella

currenno e ncuraggianno, juorne e sere,

mo ccà, mo Uà… V ‘o ggiuro nnanz’ ‘e sante!

Nn’èramo nnammurate tuttuquante!

XIV.

Cu chillo cappellino ‘a cacciatora,

vui qua’ Riggina! Chella era na Fata!

E t’era buonaùrio e t’era sora,

quanno cchiù scassiava ‘a cannunata!…

Era capace ‘e se ferma pe n’ora,

e dispenzava buglie ‘e ciucculata…

Ire ferito? E t’asciuttava ‘a faccia…

Cadive muorto? Te teneva mbraccia…

XV.

‘E ppalle le fiscavano pe nnanza,

ma che ssa’… le parevano cunfiette!

Teneva nu curaggio e na baldanza,

ca uno le zumpava ‘o core ‘a piette!

Te purtava ‘e ferite all’ambulanza

steva sempe presente a capo ‘e liette…

E tutte, chi ‘a chiammava e chi mure va,

‘a stevano a guarda cu ll’uocchie ‘e freva…

XVI.

Muri p’Essa! Era ‘o suonno ‘e tuttu quante!

Desidera nu vaso nfronte ‘a chella,

segnifecava: «Mettimmoce nnante

pefa na morte ca se chiamma bella!».

Npietto, p’avé n’aucchiata ‘a sta Rignante,

te faci ve arapì na furnacella!…

Propio accussì, signore mio!… Vedite?…

V ‘o sto cuntanno e chiagno… e vui redite…!

 

(Ferdinando Russo, ‘O surdato ‘e Gaeta)

 

Esperta cavallerizza, si spostava di continuo da un punto all’altro della fortezza, puntuale ogni giorno, incurante delle bombe, si presentava alla “batteria Regina” per assistere ai cannoneggiamenti, abbigliata con una sorta di uniforme che lei stessa aveva inventato combinando l’abito da amazzone con il costume calabrese, un tailleur nero di foggia maschile sotto un mantello nero simile a quello dei montanari (il mio più bel manto reale lo definiva),2 in testa un cappello nero a cono e falde larghe come quello usato dai contadini calabresi, ai piedi scarpe con tacco basso e rozzi speroni, esaltando, vestita da regina-soldato, la fantasia dei giovani, tanto da divenire il simbolo della resistenza borbonica.
Così
il famoso pittore tedesco Karl von Piloty (1826-1886), famoso  per le sue teatrali composizioni storiche, eseguite con grande abilità e denso di effetti melodrammatici, ritrasse la Regina Maria Sofia accompagnata dai sue due protettori, il generale Schumacher e il suo aiutante di campo, Alfonso Pfyffer von Altishofen, come protettori della Regina Maria Sofia durante una visita agli spalti di Gaeta.

 

 

 

Karl Theodor von Piloty, La regina Maria Sofia agli spalti di Gaeta (1863)

 

Impressionato, lo stesso avversario, il generale Cialdini, fece chiedere a Francesco II di indicargli preventivamente i luoghi dove la moglie si sarebbe recata per poterla risparmiare, ma la risposta fu un rifiuto; allora il comandante piemontese impartì ai suoi artiglieri l’ordine di non sparare dove fosse apparsa “l'Augusta Signora”. 3 E i soldati facevano del loro meglio per rispettare quest’ordine che contravveniva alle leggi della guerra, tuttavia non potevano impedire che molte bombe cadessero proprio vicino alla regina, che, tuttavia, sembrava invulnerabile.
Vani i tentativi di convincerla a lasciare la roccaforte per mettersi al sicuro del consorte, che, rassegnato, così, infine,  a Napoleone III scrisse:
Ho fatto ogni sforzo per persuadere S.M. la Regina a separarsi da me, ma sono stato vinto dalle tenere sue preghiere, dalle generose sue risoluzioni. Ella vuol dividere meco, sin alla fine, la mia fortuna, consacrandosi a dirigere negli ospedali la cura dei feriti e degli ammalati; da questa sera Gaeta conta una suora di carità in più.4
Ma quello degli assediati di Gaeta fu un eroismo inutile. Mentre i cannoni di Cialdini smantellavano la piazzaforte, la flotta francese si ritirò. Invano Maria Sofia sperò nell'intervento delle altre potenze europee, specialmente dell'Austria. Solo pochi militari arrivarono a Gaeta per combattere accanto all’ “aquiletta bavara”. Infine il destino si compì: il 13 febbraio 1861 fu firmato l'atto di resa della piazzaforte e l’indomani i sovrani di Napoli s'imbarcarono sulla corvetta francese La Muette alla volta di Roma. Per Maria Sofia cominciò la lunga via dell'esilio. La splendida epopea era terminata, e i vincitori fecero di tutto per stendere sulla sua eroica figura una cortina di silenzio.
Con la caduta di Gaeta Maria Sofia praticamente uscì dalla storia e il resto della sua vita appartiene alla cronaca privata, malinconica, se si eccettua una breve intensa storia d'amore vissuta a Roma, prima tappa del suo lungo esilio con Francesco II, con il conte Armando di Lawayss, brillante ufficiale, con il quale ebbe due gemelle segretamente partorite in Baviera. E, sempre a Roma, mai cessando la sua attività politica, fiduciosa in una restaurazione borbonica, fu oggetto di scandalo e calunnie quando, nel 1862, apparvero alcune foto oscene che la ritraevano nuda e in atteggiamenti lascivi. Le immagini fecero il giro di tutte le corti d'Europa, ma la polizia pontificia appurò che si trattava di abili montaggi, nei quali la testa della regina era stata adattata al corpo di una giovane prostituta ritratta in pose oscene, e arrestò gli autori del misfatto, che si difesero dicendo di aver agito per incarico del Comitato nazionale filo-piemontese.

 

 

Johann Friedrich Ludwig Heinrich August Riedel, Ritratto di Maria Sofia di Baviera

 

Un po’ di serenità per la giovane coppia reale sembrò, infine, giungere con la nascita della figlia Cristina Maria Pia, dopo aver risolto il re con un’operazione il problema della fimosi, ma, a soli tre mesi, la bimba morì, lasciando la regina pazza di dolore. I cortigiani a Roma cercarono di rincuorare con vane speranze l’affaticato re che, forse, aveva sempre desiderato pace e quiete, e l’ardimentosa regina che, pur afflitta per il lutto, non smetteva di sperare in un ritorno sul trono, ma, infine, il 21 aprile di quello stesso anno, i coniugi abbandonarono Roma.
Francesco II terminò i suoi giorni il 28 dicembre 1894,  Maria Sofia gli sopravvisse ben trent’anni. Stabilitasi nei dintorni di Parigi, a Neuilly sur Seine, in una villa di sua proprietà, fu attiva fino alla fine dei suoi giorni, continuando a montare a cavallo ogni mattina, frequentando le più importanti corti europee, ma anche cospirando per la riconquista del trono, giungendo a schierarsi con socialisti ed esuli anarchici, sempre sperando nella restaurazione borbonica, ripensando alla rovina del suo regno così amaramente commentando:
Quella che gli storici italiani chiamano "guerra del brigantaggio" fu la generosa rivolta degli umili contro il regime piemontese. Se il mio sposo, invece di rimanere a Roma, avesse varcato i confini del Regno e si fosse messo a capo degli insorti, raccogliendo le bande sparse in un solo esercito, saremmo rientrati vittoriosi nella Reggia di Napoli. 5
L’appassionata e indomita Maria Sofia, donna, regina e guerriera, alla quale la vita tanti colpi aveva inferto (la morte del suocero poco dopo il suo arrivo nel Regno delle Due Sicilie, la guerra, l’assedio, l’esilio, le calunnie e l ‘oltraggio da parte dei servizi segreti italiani, la morte della figlia, tanto desiderata, a soli tre mesi dalla nascita, il suicidio del nipote Rodolfo con la sua compagna Maria Vetsera, la morte dell’amata sorella Elisabetta trapassata da una lima da un anarchico italiano, l'attentato di Sarajevo in cui perirono l'arciduca Francesco Ferdinando, nipote di Francesco Giuseppe, cognato di Maria Sofia, e la moglie) si spense a Monaco nella notte del 18 gennaio 1925.
Le sue spoglie, insieme a quelle di Francesco II e della loro figlia Cristina Maria Pia, riposano oggi nella Chiesa di Santa Chiara in Napoli, città con la quale, anche se lontana, aveva sempre serbato un profondo legame e nella quale aveva espresso il desiderio di essere riportata dopo la sua morte.

 

 

(saggio premiato con menzione d'onore,  targa e coppa alla II  Edizione del Premio di Letteratura "Ponte Vecchio-Firenze" 2016)

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Note

1)      Libro II, Elettra, La notte di Caprera.

2)      A. Petacco, La regina del Sud. Amori e guerre segrete di Maria Sofia di Borbone.

3)      Op.cit.

4)      Lettera di Francesco II a Napoleone III del 13 dicembre 1860).

5)      Citato in Maria Sofia Regina dei briganti, Controcorrente Edizioni, Napoli, 2012.

 

 

Riferimenti bibliografici

 

A. Petacco, La regina del Sud. Amori e guerre segrete di Maria Sofia di Borbone, Milano 1995

D. Mormorio, La Regina nuda, Saggiatore, Nuovi saggi, Milano 2006.

V. Glejieses, La storia di Napoli, Società Editrice Napoletana, Napoli 1977.

B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, Laterza, Bari 1943.

F.P. Castiglione, Una regina contro il Risorgimento: Maria Sofia delle Due Sicilie, Manduria-Bari-Roma 1999.

 M. Elia, La regina ribelle: Maria Sofia, ultima regina di Napoli, Roma 1968.

 

 

 

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