E ‘a Riggina! Signò!… Quant’era bella!
E che core teneva! E che maniere!
Mo na bona parola ‘a sentinella,
mo na strignuta ‘e mana a l’artigliere…
Steva sempe cu nui!… Muntava nsella
currenno e ncuraggianno, juorne e sere,
mo ccà, mo Uà… V ‘o ggiuro nnanz’ ‘e sante!
Nn’èramo nnammurate tuttuquante!
(Ferdinando Russo, ‘O surdato ‘e Gaeta)
In quel tempo avventuroso e romantico che fu il nostro Risorgimento,
dominato esclusivamente da personaggi maschili, tra le figure femminili
diversamente di spicco, oltre ad Anita Garibaldi (l’amazzone coraggiosa,
che non s’intendeva di politica, ma che non arretrò di fronte a nessun
pericolo per amore del suo uomo) e alla discussa contessa di Castiglione
(la cui presenza a Parigi, voluta dal cugino Cavour, ebbe un indubbio
influsso sulla politica francese nei riguardi del Piemonte contribuendo,
a suo modo, all’unità d’Italia), si colloca anche un’eroina
giovanissima, intrepida animatrice dell'ultima resistenza borbonica, che
infiammò i cuori e accese le fantasie battendosi alla testa dei suoi
soldati sugli spalti insanguinati della fortezza di Gaeta, per
difenderla e per salvare il suo regno assediato da ogni parte dai
soldati di Vittorio Emanuele II.
Le sue gesta, paragonate a quelle di Giovanna
d’Arco, suscitarono l’ammirazione degli stessi avversari, dell’intera
Europa e di tanti cronisti, letterati e intellettuali dell’epoca ed
oltre (da D’Annunzio a Proust a
Sciascia -che ne conservava una immagine nel suo studio- fino al
giornalista del Corriere della sera Giovanni Ansaldo, che la intervistò
ormai anziana, pochi mesi prima della morte)
e le valsero l’appellativo di “aquiletta bavara”,1
coniato da Gabriele D'Annunzio
(l’aquiletta bavara che rampogna la definì nella sua “Canzone di
Garibaldi”, in riferimento alle origini nordiche della regina, che
aveva sposato in tutto e per tutto la causa meridionale). Ma
poi, tramontati i giorni dell’epopea, su di lei si lasciò scendere prima
la calunnia e poi il silenzio, tentando di cancellarne il ricordo solo
perché si era trovata a militare dalla parte “sbagliata”, e i vincitori
non potevano permettere che durasse il suo mito: quella donna era Marie
Sophie Amalie von Wittelsbach,
Herzogin in Bayern, in Italia nota come
Maria Sofia
Amalia di Baviera, l’ultima regina di Napoli.
Carlo La Barbera, Maria Sofia (1860)
Maria Sofia, figlia del re di Baviera Massimiliano II e della duchessa
Ludovica, nacque il 4 ottobre 1841 nella tenuta di Possenhofen. Imparò
da piccola a cavalcare con abilità, a nuotare, a fare ginnastica, ad
arrampicarsi sulle cime dei monti, a tirare di scherma e a sparare con
la carabina. Di circa quattro anni più giovane della famosa sorella
Sissi, anche lei era molto bella, alta e snella, con occhi di color
azzurro-cupo, lunghi capelli castani, l’espressione dolce, le
movenze aggraziate, somigliante alla sorella nell’aspetto e nel
temperamento ribelle.
Intelligente, romantica e sognatrice, ma pure
istintiva e dotata di grande senso pratico, anticonvenzionale e
anticonformista (cosa assai rara per una donna a quei tempi fumava
pubblicamente), a suo agio fra la gente semplice, Maria Sofia ricevette
un’educazione liberale. Dal padre Massimiliano aveva ereditato
l’incoscienza, l’ottimismo, l’insofferenza per la noiosa vita di corte,
ma anche l’amore per la natura e per gli animali, in più aveva un
carattere forte e uno spavaldo disprezzo del pericolo, qualità che
rivelò pienamente nella tragica ora della verità, ammantando di epopea
il malinconico tramonto della dinastia borbonica.
Molti principi aspiravano alla sua mano, ma a soli diciassette anni
accettò la domanda della Corte di Napoli di andare sposa all’erede al
trono delle Due Sicilie, Francesco II di Borbone, che non conosceva
personalmente, ma che aveva potuto vedere ritratto in una miniatura e
non le era dispiaciuto. Maria Sofia non s'intendeva di politica, perciò
ignorava che quello che la attendeva era un trono malsicuro, accanto a
un monarca debole circondato da cortigiani corrotti e incapaci,
minacciato dalla rivoluzione che serpeggiava in ogni parte d'Italia.
Inoltre, di certo non si aspettava di dover diventare regina molto
presto, dato che il suocero, Ferdinando II, era appena cinquantenne, ma
il destino aveva diversamente disposto.
Dopo un matrimonio celebrato per procura, che avrebbe rinsaldato il
legame tra la corte bavarese e quella borbonica, nel marzo 1859 Maria
Sofia approdò nella sua nuova patria ma, nel maggio di quello stesso
anno, Ferdinando II morì e fu incoronato re suo figlio. E così Maria
Sofia, giovane, vivace e piena di vita, si trovò, quasi da un giorno
all'altro, senz’alcuna preparazione, a sedere sul trono di Napoli, ma fu
regina solo per un anno, accanto ad un marito mite e fatalista, che non
riuscì a scaldarle pienamente il cuore e con il quale non riuscì mai a
stabilire una vera intesa.
Splendida amazzone, ottima nuotatrice, elegante e raffinata, Maria Sofia
fece di tutto per essere ammirata dal suo popolo, mostrandosi allegra e
spensierata, anche se i rapporti col marito, introverso, timorato di
Dio, ossequioso dei precetti religiosi, lettore solo di libri edificanti
scelti per lui dal severo educatore Borrelli, continuavano a essere poco
soddisfacenti a causa di una fimosi che gl’impediva di consumare le
nozze.
E fece pure rifiorire la vita di corte e promosse un risveglio mondano
della città, organizzando feste, spettacoli di danza e pubbliche
cerimonie, mai mancando con il suo consorte e con il suo seguito, tanto
che, ben presto, la sua immagine cominciò ad apparire nelle cronache
accanto a quelle delle imperatrici d’Austria e di Francia.
Fu, quello, per lei un periodo sereno che, però, doveva durare soltanto
una breve stagione: incalzarono, infatti, gli eventi politici. Francesco
II esitava a concedere la costituzione, Maria Sofia era favorevole, ma
rifiutava gli accordi con gli odiati Savoia e respingeva anche ogni
ipotesi di guerra con l’Austria di cui la sorella Sissi
era l'imperatrice, e, quando il suo consorte si decise a concederla,
oramai era troppo tardi. Nel 1860 Garibaldi sbarcò in Sicilia; in breve
tempo conquistò tutta l'isola, quindi mosse alla conquista di Napoli.
Francesco II era incerto, non sapeva cosa fare, non si fidava
dell'esercito, non aveva fiducia in se stesso e nel popolo. Invano Maria
Sofia lo esortò a mettersi alla testa delle truppe e a marciare contro
l'invasore, ma lui decise di abbandonare Napoli e rifugiarsi nella
fortezza di Gaeta, scelta per un estremo tentativo di resistenza contro
le truppe piemontesi e per un eventuale contrattacco in vista della
riconquista del regno, ma, a quel punto, le sorti della dinastia
borbonica erano segnate.
Nel tardo pomeriggio del 6 settembre 1860, accompagnati da un piccolo
seguito di nobili e militari, i sovrani salirono sulla nave Messaggero e
raggiunsero Gaeta alle 6 del mattino del 7 settembre; alle ore 12 di
quello stesso giorno Garibaldi entrò in Napoli. Rinchiusi nella fortezza
di Gaeta ora erano cinti d’assedio dalle truppe regolari di Vittorio
Emanuele che, giunte con le loro artiglierie a sostituire i garibaldini,
diedero inizio a un violento bombardamento.
Anonimo, Maria Sofia
Ed è proprio a questo punto che nasce la leggenda della giovanissima
regina che non volle allontanarsi da Gaeta, anche se il novello consorte
l’aveva pregata di lasciarlo solo a difendere l’estremo lembo della sua
terra.
Benché ufficialmente si fosse assunta solamente il compito di curare i
feriti e gli ammalati, disponibile, coraggiosa, Maria Sofia non si
limitava a portare il suo conforto ai soldati napoletani a tutte le ore,
pure di notte, visitando a turno gli ospedali, rassicurando i feriti e
distribuendo loro frutta, ma anche cuciva le uniformi militari,
confezionava per i soldati più meritevoli - in sostituzione delle
medaglie- nastrini colorati da
lei ideati, e, soprattutto, si batteva come un soldato alla testa dei
suoi uomini, spronandoli, comparendo all'improvviso là dove più intenso
era il pericolo, sfidando spavalda la morte, incoraggiando la gente con
il suo passaggio, accendendo l’immaginazione di tutta l’Europa.
Così il poeta napoletano Ferdinando Russo celebrò il coraggio di Maria
Sofia durante l’assedio di Gaeta nel suo lungo poema pubblicato nel
1916,” ‘O surdato ‘e Gaeta”, in cui, attraverso gli occhi di un reduce
dell’assedio- mutilato di un braccio per lo scoppio di una granata
l’ultimo giorno dei combattimenti- narrò i feroci bombardamenti (durati
anche mentre erano in corso le trattative per la resa), il tradimento
dei diversi ufficiali dell’esercito e la spietatezza degli assedianti,
soprattutto del generale Cialdini autore di numerosi massacri nel sud
d’Italia, un vero delinquente in uniforme sotto il cui comando le
armate sabaude compirono raccapriccianti azioni, attuando, con il
pretesto di reprimere il brigantaggio, una pulizia politica del sud,
annientando fisicamente coloro che non erano favorevoli all'unità
d'Italia.
XIII.
E ‘a Riggina! Signò!… Quant’era bella!
E che core teneva! E che maniere!
Mo na bona parola ‘a sentinella,
mo na strignuta ‘e mana a l’artigliere…
Steva sempe cu nui!… Muntava nsella
currenno e ncuraggianno, juorne e sere,
mo ccà, mo Uà… V ‘o ggiuro nnanz’ ‘e sante!
Nn’èramo nnammurate tuttuquante!
XIV.
Cu chillo cappellino ‘a cacciatora,
vui qua’ Riggina! Chella era na Fata!
E t’era buonaùrio e t’era sora,
quanno cchiù scassiava ‘a cannunata!…
Era capace ‘e se ferma pe n’ora,
e dispenzava buglie ‘e ciucculata…
Ire ferito? E t’asciuttava ‘a faccia…
Cadive muorto? Te teneva mbraccia…
XV.
‘E ppalle le fiscavano pe nnanza,
ma che ssa’… le parevano cunfiette!
Teneva nu curaggio e na baldanza,
ca uno le zumpava ‘o core ‘a piette!
Te purtava ‘e ferite all’ambulanza
steva sempe presente a capo ‘e liette…
E tutte, chi ‘a chiammava e chi mure va,
‘a stevano a guarda cu ll’uocchie ‘e freva…
XVI.
Muri p’Essa! Era ‘o suonno ‘e tuttu quante!
Desidera nu vaso nfronte ‘a chella,
segnifecava: «Mettimmoce nnante
pefa na morte ca se chiamma bella!».
Npietto, p’avé n’aucchiata ‘a sta Rignante,
te faci ve arapì na furnacella!…
Propio accussì, signore mio!… Vedite?…
V ‘o sto cuntanno e chiagno… e vui redite…!
(Ferdinando Russo, ‘O surdato ‘e Gaeta)
Esperta cavallerizza, si spostava di continuo da un punto all’altro
della fortezza, puntuale ogni giorno, incurante delle bombe, si
presentava alla “batteria Regina” per assistere ai cannoneggiamenti,
abbigliata con una sorta di uniforme che lei stessa aveva inventato
combinando l’abito da amazzone con il costume calabrese, un tailleur
nero di foggia maschile sotto un mantello nero simile a quello dei
montanari (il mio più bel manto reale lo definiva),2
in testa un cappello nero a cono e falde larghe come quello usato dai
contadini calabresi, ai piedi scarpe con tacco basso e rozzi speroni,
esaltando, vestita da regina-soldato, la fantasia dei giovani, tanto da
divenire il simbolo della resistenza borbonica.
Così
il famoso pittore tedesco Karl von Piloty (1826-1886), famoso
per le sue teatrali composizioni storiche,
eseguite con grande abilità e denso di effetti melodrammatici, ritrasse
la Regina Maria Sofia accompagnata
dai sue due protettori, il generale Schumacher e il suo aiutante di
campo, Alfonso Pfyffer von Altishofen, come
protettori della Regina Maria Sofia durante una visita agli spalti di
Gaeta.
Karl Theodor von Piloty,
La regina Maria Sofia agli spalti di
Gaeta
(1863)
Impressionato, lo stesso avversario, il generale Cialdini, fece chiedere
a Francesco II di indicargli preventivamente i luoghi dove la moglie si
sarebbe recata per poterla risparmiare, ma la risposta fu un rifiuto;
allora il comandante piemontese impartì ai suoi artiglieri l’ordine di
non sparare dove fosse apparsa “l'Augusta Signora”. 3 E i
soldati facevano del loro meglio per rispettare quest’ordine che
contravveniva alle leggi della guerra, tuttavia non potevano impedire
che molte bombe cadessero proprio vicino alla regina, che, tuttavia,
sembrava invulnerabile.
Vani i tentativi di convincerla a lasciare la roccaforte per mettersi al
sicuro del consorte, che, rassegnato, così, infine, a Napoleone III
scrisse:
Ho fatto ogni sforzo per persuadere S.M. la Regina a separarsi da me, ma
sono stato vinto dalle tenere sue preghiere, dalle generose sue
risoluzioni. Ella vuol dividere meco, sin alla fine, la mia fortuna,
consacrandosi a dirigere negli ospedali la cura dei feriti e degli
ammalati; da questa sera Gaeta conta una suora di carità in più.4
Ma quello degli assediati di Gaeta fu un eroismo inutile. Mentre i
cannoni di Cialdini smantellavano la piazzaforte, la flotta francese si
ritirò. Invano Maria Sofia sperò nell'intervento delle altre potenze
europee, specialmente dell'Austria. Solo pochi militari arrivarono a
Gaeta per combattere accanto all’ “aquiletta bavara”. Infine il destino
si compì: il 13 febbraio 1861 fu firmato l'atto di resa della
piazzaforte e l’indomani i sovrani di Napoli s'imbarcarono sulla
corvetta francese La Muette alla volta di Roma. Per Maria
Sofia cominciò la lunga via dell'esilio. La splendida epopea era
terminata, e i vincitori fecero di tutto per stendere sulla sua eroica
figura una cortina di silenzio.
Con la caduta di Gaeta Maria Sofia praticamente uscì dalla storia e il
resto della sua vita appartiene alla cronaca privata, malinconica, se si
eccettua una breve intensa storia d'amore vissuta a Roma, prima tappa
del suo lungo esilio con Francesco II, con il conte Armando di Lawayss,
brillante ufficiale, con il quale ebbe due gemelle segretamente
partorite in Baviera. E, sempre a Roma, mai cessando la sua attività
politica, fiduciosa in una restaurazione borbonica, fu oggetto di
scandalo e calunnie quando, nel 1862, apparvero alcune foto oscene che
la ritraevano nuda e in atteggiamenti lascivi. Le immagini fecero il
giro di tutte le corti d'Europa, ma la polizia pontificia appurò che si
trattava di abili montaggi, nei quali la testa della regina era stata
adattata al corpo di una giovane prostituta ritratta in pose oscene, e
arrestò gli autori del misfatto, che si difesero dicendo di aver agito
per incarico del Comitato nazionale filo-piemontese.
Johann Friedrich Ludwig Heinrich August Riedel,
Ritratto di Maria Sofia di Baviera
Un po’ di serenità per la giovane coppia reale sembrò, infine, giungere
con la nascita della figlia Cristina Maria Pia, dopo aver risolto il re
con un’operazione il problema della fimosi, ma, a soli tre mesi, la
bimba morì, lasciando la regina pazza di dolore. I cortigiani a Roma
cercarono di rincuorare con vane speranze l’affaticato re che, forse,
aveva sempre desiderato pace e quiete, e l’ardimentosa regina che, pur
afflitta per il lutto, non smetteva di sperare in un ritorno sul trono,
ma, infine, il 21 aprile di quello stesso anno, i coniugi abbandonarono
Roma.
Francesco II terminò i suoi giorni il 28 dicembre 1894, Maria Sofia gli
sopravvisse ben trent’anni. Stabilitasi nei dintorni di Parigi, a
Neuilly sur Seine, in una villa di sua proprietà, fu attiva fino alla
fine dei suoi giorni, continuando a montare a cavallo ogni mattina,
frequentando le più importanti corti europee, ma anche cospirando per la
riconquista del trono, giungendo a schierarsi con socialisti ed esuli
anarchici, sempre sperando nella restaurazione borbonica, ripensando
alla rovina del suo regno così amaramente commentando:
Quella che gli storici italiani chiamano "guerra del brigantaggio" fu la
generosa rivolta degli umili contro il regime piemontese. Se il mio
sposo, invece di rimanere a Roma, avesse varcato i confini del Regno e
si fosse messo a capo degli insorti, raccogliendo le bande sparse in un
solo esercito, saremmo rientrati vittoriosi nella Reggia di Napoli.
5
L’appassionata e indomita Maria Sofia, donna, regina e guerriera, alla
quale la vita tanti colpi aveva inferto (la morte del suocero poco dopo
il suo arrivo nel Regno delle Due Sicilie, la guerra, l’assedio,
l’esilio, le calunnie e l ‘oltraggio da parte dei servizi segreti
italiani, la morte della figlia, tanto desiderata, a soli tre mesi dalla
nascita, il suicidio del nipote Rodolfo con la sua compagna Maria
Vetsera, la morte dell’amata sorella Elisabetta trapassata da una lima
da un anarchico italiano, l'attentato di Sarajevo in cui perirono
l'arciduca Francesco Ferdinando, nipote di Francesco Giuseppe, cognato
di Maria Sofia, e la moglie) si spense a Monaco nella notte del 18
gennaio 1925.
Le sue spoglie, insieme a quelle di Francesco II e della loro figlia
Cristina Maria Pia, riposano oggi nella Chiesa di Santa Chiara in
Napoli, città con la quale, anche se lontana, aveva sempre serbato un
profondo legame e nella quale aveva espresso il desiderio di essere
riportata dopo la sua morte.
(saggio premiato con menzione d'onore, targa e
coppa alla II
Edizione del Premio di Letteratura "Ponte Vecchio-Firenze" 2016)
clic per
ingrandire
Note
1) Libro II, Elettra, La notte di Caprera.
2) A. Petacco, La regina del Sud. Amori e guerre segrete di
Maria Sofia di Borbone.
3) Op.cit.
4) Lettera di Francesco II a Napoleone III del 13 dicembre 1860).
5) Citato in Maria Sofia Regina dei briganti, Controcorrente
Edizioni, Napoli, 2012.
Riferimenti bibliografici
A. Petacco, La regina del Sud. Amori e guerre segrete di Maria Sofia
di Borbone, Milano 1995
D. Mormorio, La Regina nuda, Saggiatore, Nuovi saggi, Milano
2006.
V. Glejieses, La storia di Napoli, Società Editrice Napoletana,
Napoli 1977.
B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, Laterza, Bari 1943.
F.P. Castiglione, Una regina contro il Risorgimento: Maria Sofia
delle Due Sicilie, Manduria-Bari-Roma 1999.
M.
Elia, La regina ribelle: Maria Sofia, ultima regina di Napoli,
Roma 1968.