Muore solo
un amore che
ha smesso di essere sognato
fatto materia e che si cerca
sulla terra.
Pedro Salinas
Dicembre! È il mese
di dicembre, è un qualunque giorno del mese di dicembre, un
giorno insignificante, né bianco né nero, grigio piuttosto,
niente sole, niente pioggia, niente neve, niente gelo, solo
nebbia (che, delicata, come un velo da sposa, ricopre il
paesaggio e avvolge uomini e cose), e lunghi silenzi: il
silenzio dell’inverno (mentre s’anela la primavera), il
silenzio del fiume che, tacito, tra i campi si snoda sinuoso
come un argenteo nastro a caso srotolato, il silenzio delle
labbra che più non lasciano sfuggire parole (e nemmeno
sospiri!), il silenzio dell’animo, spento, privo di voglie, di
desideri, di sussulti.
È dicembre, ma
ripenso a un giorno di marzo di tanto tempo fa, quando,
ardente come un sole canicolare, impetuoso come un vento di
bora, lui irruppe nella mia vita.
Contro un mare
limpido che specchiava il cielo azzurro, rinfrescato da una
brezza lieve insolitamente mite, sostammo accanto a una barca
solitaria ad ammirare la bellezza delle acque, a raccogliere
qualche conchiglia strappata alla solitudine delle profondità
e venuta a morire sulla spiaggia, a osservare le acrobazie
degli striduli gabbiani in volo tra ciuffi di nuvole rosee e
violette, desiderando essere anche noi gabbiani per sfrecciare
liberi nell’aria.
Fu allora, nel
silenzio interrotto solo dalle grida degli uccelli in
lontananza e dal ritmico sciabordio delle onde di marea che
andavano a schiantarsi contro gli scogli, che, per la prima
volta, mi parlò d’amore. Il mio cuore, mai così in subbuglio,
più forte palpitò ma, a un tratto, mi accorsi che lacrime
calde e lente, rotolate silenziose come perle che lasciano il
filo in un cassetto, avevano inumidito le mie guance e si
erano insinuate fra le mie labbra lasciandovi il gusto di una
sensazione salina. Quelle lacrime erano l’intuizione che
precede la conoscenza, il presagio del dolore che mi avrebbe
causato quell’amore: quante ne avrei versate!
Il sole che sorgeva
puntuale ogni mattina, la luna che ogni sera brillava nel
cielo, le stelle che scintillavano come minuscoli diamanti
nella trapunta del firmamento, i fiori che non smettevano di
esalare le loro fragranze, ad ogni creatura vivente, a tutta
la natura, all’intero creato guardavo con nuovi occhi stupiti,
e più non mi sentivo minuscola particella dell’universo.
Radiosa di felicità, ero la regina dei mondi: contava solo lui
per me, e solo io per lui!
Con voce solenne,
grave, lui mi chiamava mia vita, mia stella, mia luce, mia
anima, mio sangue, diceva essere noi due la stessa goccia
d’acqua tagliata in due, e aggiungeva: “Nessuno ti amerà mai
come ti amerò io!” Diceva la stessa cosa anche mia madre, gli
credetti.
Da mille incanti
rapita, invasa da quel folle sentimento insieme passionale e
romantico, rabbrividivo e gioivo quando, le mie mani fra le
sue, il mio volto contro il suo, le labbra unite nel bacio
infinito a suggellare la solenne promessa (“Per sempre!”), i
nostri cuori gridavano l'identico bisogno d'amore.
Pazzi l’uno
dell’altro, euforici per l’intensità del nostro sentimento, ci
scambiammo, come pegno d’amore, anche la fede. Non era un
anello comune, era il Claddagh ring, il tradizionale
anello di fidanzamento irlandese, che leggenda vuole fatto
creare da un orafo dal re Claddagh prima di morire di dolore
perché, ostacolato dalla famiglia, non aveva potuto sposare
l’amata di umili origini, affinché tutti gli innamorati
d’Irlanda ricordassero la sua infelice vicenda. È composto da
due mani che stringono un cuore sormontato da una corona; le
mani simboleggiano l’unione, il cuore l’amore, la corona la
fedeltà. Quale anello più adatto per sancire il nostro legame
così intenso e totale?
E, nella nostra
esaltazione, dopo lo scambio delle fedi osammo persino il
patto di sangue.
Con lo stesso stupore
dei fedeli dinanzi al miracolo che il santo ogni anno
puntualmente ripete, restammo a guardare il liquido rubino
zampillare quando, con uno spillo, ci bucammo le dita prima di
farle aderire l’una all’altra, in una pressione così intensa
d’assomigliare a un’unione fisica, o a un’estasi mistica: ora
eravamo indissolubilmente uniti, per la vita e per la morte!
Ma c’erano delle
ombre fra noi, ed io non me ne accorsi. Quasi di colpo,
incomprensibilmente, svanirono unione, amore e fedeltà. Quel
sentimento così forte, potente, assoluto, che sembrava una
benedizione, divenne una maledizione, l’incanto si dissolse
come fumo, e fu dolore, e mi lasciò addosso un’indicibile
tristezza, e aridità, come se l’arsura di quell’ultima estate
trascorsa insieme avesse prosciugato anche la mia anima, che
ora si trovava in qualche punto accartocciata e rinsecchita,
come le foglie cadute insieme ai fiori sotto la sferza del
sole rovente e lasciate a imputridire negli angoli dei viali
dopo una pioggia battente.
Ora lui non è che un
volto del passato, l’eco d’una perduta voce, una foglia che il
vento ha distaccato dal ramo: per sempre lontano. Un
vertiginoso abisso, un orrido gorgo, un profondo oceano è
questo mare che da lui mi separa, e so che non v’è nave che
possa a me ricondurlo, e so che non v’è nave che a lui possa
ricondurmi, ma, se chiudo gli occhi, finestre aperte sui miei
ricordi, nella mia mente ancora lo rivedo, fermo in quel tempo
lontano. Lo rivedo giovane uomo un poco cupo, malinconico e
ombroso, nell’abbraccio ardente, rivedo i suoi capelli ribelli
che, quando gli ricadevano sulla fronte, con un gesto deciso
della mano ricacciava indietro e ravviava, la sua bella bocca
che poco si dischiudeva al sorriso, i suoi occhi color di lava
nera, dalla vaga linea obliqua, che sempre parevano fissare un
invisibile punto perso nell’orizzonte, anche quando con
entusiasmo mi confidava i suoi progetti, le sue ambizioni.
E, nel mio delirio,
riodo la sua voce di velluto, dal passato mi perviene
splendente e chiara come un arcobaleno dopo un temporale, e
nuovamente mi sussurra parole appassionate, e pure mi supplica
come allora, come quando, come Dafne inseguita da Apollo, un
giorno tentai di sfuggire al suo sentimento violento e
prepotente, ma lui mi trattenne minacciando: “Non lasciarmi!
Se mi lascerai, verrò a morire sotto casa tua!”.
E, invece, acquietati
i sensi, placata la folle vampa, proprio come il dio
dell’Amore, fu lui ad allontanarsi, e ora è solo un’ombra, e
quell’antico amore, ché tale fu, amore, un ricordo, che pure illumina
e riscalda, e un pensiero che nel mio cielo oscuro luminoso
orbita, ma insieme è anche un pensiero disperato che tortura,
nella consapevolezza che mai più fra noi potrà rinnovarsi la
magia d’un tempo.
Nei giorni in cui più
intenso è il rimpianto, massimo lo sconforto, vorrei anche
soltanto piangere fra le sue braccia, ma lui per me non ha
braccia per stringermi, né mani per accarezzarmi. Vorrei che
la luce fra noi non si fosse mai spenta, ma anch’io permango
nella sua vita un’ombra.
È solo nel buio della
notte, mia tana, mio nido, mia culla, che, nel deliquio, lo
ritrovo: chiudo gli occhi, rallenta il battito, m’abbandono e
attendo. E, come nella bella favola di Amore e Psiche, mi pare
che, guidato da uno zefiro lieve, a me ritorni, che accanto al
mio distenda il suo corpo, che mi stringa con le sue braccia
forti e tenere, che io mi rannicchi contro di lui e, inebriata
dal suono del suo cuore palpitante all’unisono col mio,
ritmico e fluente come l’onda sulla battigia, rassicurante
come una melodiosa cantilena, come la dolce ninna nanna di una
mamma, in quell’immaginario convegno trovi, finalmente, requie
il mio tormento. Resto così, stretta al suo fantasma, finché
Morfeo non mi sorprende, ma, pur nel sonno scivolata,
l’illusione notturna continua, di lui sognando.
Il vento può
inclinare una fiamma, ma quella può non spegnersi e, pur
piegata in mille lingue di fuoco, non dispersa, ritornare a
guizzare; così, confuso col rimpianto, il suo ricordo,
nascosto nei più reconditi meandri, mi restituisce l’intatta
sua immagine di allora che, vivida, la mente ha ricomposto, e
insieme riverbera anche quella lontana passione, come la corsa
d’acque tumultuose che si placa solo quando sfociano nel
grembo del mare: allora la melodia d’amore ritorna a
risuonare.
Ingannevole è questo sogno al quale resto
aggrappata! Puntuale come la luna affacciata ogni notte nel
cielo, alle prime luci dell’alba, malinconicamente si dissolve
… ma il sogno può bastare.