Francesca Santucci

 

Ma il sogno può bastare

 

(racconto inserito nell’antologia collettiva “Amore e Psiche”, Kimerik 2014)

 

Muore solo 
un amore che ha smesso di essere sognato
fatto materia e che si cerca sulla terra.
Pedro Salinas

 

Dicembre! È il mese di dicembre, è un qualunque giorno del mese di dicembre, un giorno insignificante, né bianco né nero, grigio piuttosto, niente sole, niente pioggia, niente neve, niente gelo, solo nebbia (che, delicata, come un velo da sposa, ricopre il paesaggio e avvolge uomini e cose), e lunghi silenzi: il silenzio dell’inverno (mentre s’anela la primavera), il silenzio del fiume che, tacito, tra i campi si snoda sinuoso come un argenteo nastro a caso srotolato, il silenzio delle labbra che più non lasciano sfuggire parole (e nemmeno sospiri!), il silenzio dell’animo, spento, privo di voglie, di desideri, di sussulti.
È dicembre, ma ripenso a un giorno di marzo di tanto tempo fa, quando, ardente come un sole canicolare, impetuoso come un vento di bora, lui irruppe nella mia vita.
Contro un mare limpido che specchiava il cielo azzurro, rinfrescato da una brezza lieve insolitamente mite, sostammo accanto a una barca solitaria ad ammirare la bellezza delle acque, a raccogliere qualche conchiglia strappata alla solitudine delle profondità e venuta a morire sulla spiaggia, a osservare le acrobazie degli striduli gabbiani in volo tra ciuffi di nuvole rosee e violette, desiderando essere anche noi gabbiani per sfrecciare liberi nell’aria.
Fu allora, nel silenzio interrotto solo dalle grida degli uccelli in lontananza e dal ritmico sciabordio delle onde di marea che andavano a schiantarsi contro gli scogli, che, per la prima volta, mi parlò d’amore. Il mio cuore, mai così in subbuglio, più forte palpitò ma, a un tratto, mi accorsi che lacrime calde e lente, rotolate silenziose come perle che lasciano il filo in un cassetto, avevano inumidito le mie guance e si erano insinuate fra le mie labbra lasciandovi il gusto di una sensazione salina. Quelle lacrime erano l’intuizione che precede la conoscenza, il presagio del dolore che mi avrebbe causato quell’amore: quante ne avrei versate!
Il sole che sorgeva puntuale ogni mattina, la luna che ogni sera brillava nel cielo, le stelle che scintillavano come minuscoli diamanti nella trapunta del firmamento, i fiori che non smettevano di esalare le loro fragranze, ad ogni creatura vivente, a tutta la natura, all’intero creato guardavo con nuovi occhi stupiti, e più non mi sentivo minuscola particella dell’universo. Radiosa di felicità, ero la regina dei mondi: contava solo lui per me, e solo io per lui!
Con voce solenne, grave, lui mi chiamava mia vita, mia stella, mia luce, mia anima, mio sangue, diceva essere noi due la stessa goccia d’acqua tagliata in due, e aggiungeva: “Nessuno ti amerà mai come ti amerò io!” Diceva la stessa cosa anche mia madre, gli credetti.
Da mille incanti rapita, invasa da quel folle sentimento insieme passionale e romantico, rabbrividivo e gioivo quando, le mie mani fra le sue, il mio volto contro il suo, le labbra unite nel bacio infinito a suggellare la solenne promessa (“Per sempre!”), i nostri cuori gridavano l'identico bisogno d'amore.
Pazzi l’uno dell’altro, euforici per l’intensità del nostro sentimento, ci scambiammo, come pegno d’amore, anche la fede. Non era un anello comune, era il Claddagh ring, il tradizionale anello di fidanzamento irlandese, che leggenda vuole fatto creare da un orafo dal re Claddagh prima di morire di dolore perché, ostacolato dalla famiglia, non aveva potuto sposare l’amata di umili origini, affinché tutti gli innamorati d’Irlanda ricordassero la sua infelice vicenda. È composto da due mani che stringono un cuore sormontato da una corona; le mani simboleggiano l’unione, il cuore l’amore, la corona la fedeltà. Quale anello più adatto per sancire il nostro legame così intenso e totale?
E, nella nostra esaltazione, dopo lo scambio delle fedi osammo persino il patto di sangue.
Con lo stesso stupore dei fedeli dinanzi al miracolo che il santo ogni anno puntualmente ripete, restammo a guardare il liquido rubino zampillare quando, con uno spillo, ci bucammo le dita prima di farle aderire l’una all’altra, in una pressione così intensa d’assomigliare a un’unione fisica, o a un’estasi mistica: ora eravamo indissolubilmente uniti, per la vita e per la morte!
Ma c’erano delle ombre fra noi, ed io non me ne accorsi. Quasi di colpo, incomprensibilmente, svanirono unione, amore e fedeltà. Quel sentimento così forte, potente, assoluto, che sembrava una benedizione, divenne una maledizione, l’incanto si dissolse come fumo, e fu dolore, e mi lasciò addosso un’indicibile tristezza, e aridità, come se l’arsura di quell’ultima estate trascorsa insieme avesse prosciugato anche la mia anima, che ora si trovava in qualche punto accartocciata e rinsecchita, come le foglie cadute insieme ai fiori sotto la sferza del sole rovente e lasciate a imputridire negli angoli dei viali dopo una pioggia battente.
Ora lui non è che un volto del passato, l’eco d’una perduta voce, una foglia che il vento ha distaccato dal ramo: per sempre lontano. Un vertiginoso abisso, un orrido gorgo, un profondo oceano è questo mare che da lui mi separa, e so che non v’è nave che possa a me ricondurlo, e so che non v’è nave che a lui possa ricondurmi, ma, se chiudo gli occhi, finestre aperte sui miei ricordi, nella mia mente ancora lo rivedo, fermo in quel tempo lontano. Lo rivedo giovane uomo un poco cupo, malinconico e ombroso, nell’abbraccio ardente, rivedo i suoi capelli ribelli che, quando gli ricadevano sulla fronte, con un gesto deciso della mano ricacciava indietro e ravviava, la sua bella bocca che poco si dischiudeva al sorriso, i suoi occhi color di lava nera, dalla vaga linea obliqua, che sempre parevano fissare un invisibile punto perso nell’orizzonte, anche quando con entusiasmo mi confidava i suoi progetti, le sue ambizioni.
E, nel mio delirio, riodo la sua voce di velluto, dal passato mi perviene splendente e chiara come un arcobaleno dopo un temporale, e nuovamente mi sussurra parole appassionate, e pure mi supplica come allora, come quando, come Dafne inseguita da Apollo, un giorno tentai di sfuggire al suo sentimento violento e prepotente, ma lui mi trattenne minacciando: “Non lasciarmi! Se mi lascerai, verrò a morire sotto casa tua!”.
E, invece, acquietati i sensi, placata la folle vampa, proprio come il dio dell’Amore, fu lui ad allontanarsi, e ora è solo un’ombra, e quell’antico amore, ché tale fu, amore, un ricordo, che pure illumina e riscalda, e un pensiero che nel mio cielo oscuro luminoso orbita, ma insieme è anche un pensiero disperato che tortura, nella consapevolezza che mai più fra noi potrà rinnovarsi la magia d’un tempo.
Nei giorni in cui più intenso è il rimpianto, massimo lo sconforto, vorrei anche soltanto piangere fra le sue braccia, ma lui per me non ha braccia per stringermi, né mani per accarezzarmi. Vorrei che la luce fra noi non si fosse mai spenta, ma anch’io permango nella sua vita un’ombra.
È solo nel buio della notte, mia tana, mio nido, mia culla, che, nel deliquio, lo ritrovo: chiudo gli occhi, rallenta il battito, m’abbandono e attendo. E, come nella bella favola di Amore e Psiche, mi pare che, guidato da uno zefiro lieve, a me ritorni, che accanto al mio distenda il suo corpo, che mi stringa con le sue braccia forti e tenere, che io mi rannicchi contro di lui e, inebriata dal suono del suo cuore palpitante all’unisono col mio, ritmico e fluente come l’onda sulla battigia, rassicurante come una melodiosa cantilena, come la dolce ninna nanna di una mamma, in quell’immaginario convegno trovi, finalmente, requie il mio tormento. Resto così, stretta al suo fantasma, finché Morfeo non mi sorprende, ma, pur nel sonno scivolata, l’illusione notturna continua, di lui sognando.
Il vento può inclinare una fiamma, ma quella può non spegnersi e, pur piegata in mille lingue di fuoco, non dispersa, ritornare a guizzare; così, confuso col rimpianto, il suo ricordo, nascosto nei più reconditi meandri, mi restituisce l’intatta sua immagine di allora che, vivida, la mente ha ricomposto, e insieme riverbera anche quella lontana passione, come la corsa d’acque tumultuose che si placa solo quando sfociano nel grembo del mare: allora la melodia d’amore ritorna a risuonare.
Ingannevole è questo sogno al quale resto aggrappata! Puntuale come la luna affacciata ogni notte nel cielo, alle prime luci dell’alba, malinconicamente si dissolve … ma il sogno può bastare.

 

 

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