clic sulla copertina per
ingrandire
Me pare ‘a luna
chiena ‘int ’a l’estate
quanno sponta,
redenno, a primma sera.
Amedeo Mammalella1
Quell'anno tutto il
quartiere, tutta la città, tutta l'Italia, tutta l'Europa,
tutto il mondo, probabilmente anche tutto il cosmo, a meno che
l'evento non fosse stato trasmesso dalla Terra in differita,
aspettava di assistere in diretta ai mondiali di calcio.
Ovunque fervevano i
preparativi, si ripassavano gli inni, si vendevano palloni e
gadgets a tutto spiano, si facevano pronostici, si accettavano
scommesse sulla squadra vincente, si ipotizzavano formazioni,
si esprimevano pareri sui calciatori giudicati più in forma, e
tutti si scoprivano allenatori e nazionalisti, perché mai come
in quell'occasione si stringevano intorno alla patria
bandiera, esponendo al vento dei balconi gli stendardi
lasciati ad ammuffire dall'ultimo mondiale.
Anche Salvatore non restava estraneo all'euforia generale,
anzi, già tifoso sfegatato del Napoli, quando giocava l'Italia
impazziva letteralmente.
- Salvatore, tu tieni
troppo la testa nel pallone - dicevano gli amici - E se
te lo diciamo noi che ti siamo amici, ci puoi credere! –
- Pensi troppo al
pallone e poco a tua moglie! - lo avvertivano gli uomini
più anziani del quartiere, che lo conoscevano fin da piccolo e
con i quali l'uomo s'intratteneva volentieri, di sera, a fare
un giro di carte.
-La tua signora è
troppo una bella giovane! Tiene il nome di Sofia Lorén e come
lei tiene pure la bellezza. Cerca di avere un occhio di
riguardo... e non lasciarla troppo sola per pensare al pallone.-
-Ma voi che dite? Noi siamo giovani moderni, abbiamo
bisogno e di una distrazione, sia io che lei. E poi ci
vogliamo bene, ma se qualcosa andasse storto ora ci sta il
divorzio... Ma io non farei mai un torto a lei... e nemmeno
lei a me! -assicurava Salvatore sentenziando a cuor
leggero, sicuro del fatto suo.
Sua moglie Sofia era
davvero una gran bella donna, altezza, fisico, innato
portamento elegante, capelli ramati lunghi e ondulati, occhi
verdi e pelle alabastrina come solo le rosse hanno. E poi era
affabile, socievole, seria, generosa, buona moglie e brava
madre di due maschietti, adorata dai genitori e rispettata dai
vicini, amata dagli scolari e stimata da tutto il personale
scolastico, insomma una vera perla. Aveva, però, una
debolezza, se così possiamo chiamarla, che le proveniva dal
passato e che sovente le faceva commettere un piccolo peccato
veniale: era golosa di pizze, di tutti i tipi,
indistintamente, margherite e marinare, calabre e diavole, ai
frutti di mare e ai peperoni, quattro stagioni e capricciose,
a calzone farcito, con i ciccioli, la ricotta e il salame
piccante, ai funghi, salsicce e friarielli, ma anche
semplicemente fritte, in bianco, diciamo, quelle che un tempo
si chiamavano a ogge a otto perché si pagavano
otto giorni dopo essere state mangiate, uso invalso nel
periodo di crisi del dopoguerra quando persino la pizza
era un lusso.Come non comprendere
questa sua debolezza per la più originale creazione dell’estro
partenopeo, le cui origini si perdono nella notte dei tempi e
sono legate addirittura agli dei dell’Olimpo? Narra, infatti,
il mito, che un giorno il potente dio del fuoco Vulcano,
arrivato molto affamato nella sua fucina che, come tramandato
dagli scrittori latini Virgilio, Marziale e Svetonio, si
trovava nelle viscere del Vesuvio, chiese alla divina consorte
Venere cosa gli avesse cucinato di buono. La dea dell’amore,
però, impegnata tutto il giorno a intrattenersi con uno dei
suoi amanti, si era completamente dimenticata di preparargli
da mangiare. E così, costretta ad arrangiarsi, prese un
pezzetto di pasta per la focaccia, lo ridusse in un disco
sottile, lo guarnì con pezzetti di formaggio di capra,
saporite bacche e profumate erbe e lo mise a cuocere su una
pietra rovente appena uscita dalla bocca del Vesuvio. In men
che non si dica l’impasto fu cotto: era nata la pizza! A
Vulcano la pizza piacque così tanto che espresse alla moglie
il desiderio di mangiarla più spesso.
E pure Sofia la mangiava
spesso. Infatti, appena aveva del tempo libero, la sua
insaziabile passione la spingeva, come in pellegrinaggio a un
santuario, a recarsi dai suoi genitori nella modesta "Pizzeria
Vulcano" di loro proprietà, dove aveva trascorso gli anni
felici dell'infanzia e dell’adolescenza, potendo alimentare, e
non solo in senso metaforico, questa sua passione.
Anche se
aveva voluto studiare e diventare maestra, nel cuore le era
rimasta immutata la nostalgia per i bei momenti trascorsi ad
aiutare la madre, soprattutto
quando la pizzeria non era ancora il bel locale moderno e
ristrutturato di adesso, ma una piccola bottega ricavata nel
basso dove abitavano, una misera stanzuccia a
livello stradale,
senza
finestra, ove difettavano spazio e luce, ma che era
rischiarata dall’amore dei suoi cari e dai soavi effluvi della
familiare cucina casereccia.
D'estate l'attività
veniva trasferita all'esterno, sul marciapiede, altrimenti il
basso sarebbe diventato un inferno dantesco, ed era allora che
Sofia piccolissima si divertiva davvero, osservando con gli
occhioni sgranati le abili mani materne preparare il morbido
impasto, convertirlo in bianchi pani da disporre ben allineati
e poi trasformarli uno ad uno, quasi come per magia, in
invitanti schiacciate da tuffare nell'olio bollente del
pentolone nero, dal quale estrarre, come per magia, pizze
dorate e fragranti.
Sua madre allora era
un’abile venditrice perché, per richiamare la clientela, “dava
la voce” a gola spiegata, adattando al passante il grido di
vendita; ad esempio, se per strada vedeva una suora, oppure un
prete, gridava "pizza santa", se uno scapolo "pizza zitella",
se una grassona o un grassone "pizza dimagrante", se, invece,
una tisica o un tisico “pizza d' ‘a salute", se passava una
vedova il richiamo era un po' più lungo: "pizza che rinfresca
l'anima dei morti e pure il corpo dei vivi”.
E poi, siccome conosceva
le tendenze politiche di tutti gli uomini del quartiere, con
il rosso dei pomodori, il verde del basilico, il bianco della
mozzarella, il nero delle olive, e via dicendo con tutte le
diverse sfumature di colore degli ingredienti aggiunti, di
volta in volta la pizza cambiava pure colore politico, in un
excursus alimentare dello schieramento parlamentare del tempo.
Sofia aveva conosciuto Salvatore un giorno in cui aiutava sua
madre in pizzeria. Lui le si era avvicinato guardandola
attentamente dalla cima dei capelli alla punta dei piedi,
passando per gli occhi verdi come il basilico, la bocca
carnosa e rossa come il pomodoro, la pelle bianca come la
mozzarelle di bufala, i seni alti e pieni come i pani di
pasta. L’aveva fissata dritta dritta negli occhi e poi aveva
ordinato:
- Un calzone ripieno
ricotta e salame! –
La giovane si era
sentita avvampare, sbiancare e fremere contemporaneamente, lo
aveva subito servito e poi si era messa ad osservarlo.
Da come l'uomo aveva
addentato la pizza calda e profumata, dall'espressione
appagata e soddisfatta mantenuta fino all'ultimo morso, dal
tono imperioso con cui le aveva ordinato un altro calzone,
Sofia aveva capito che quello era l'uomo della sua vita, e
quando, pochi mesi dopo, lui si era dichiarato, senza
esitazioni gli aveva detto “sì”.
Ormai erano sposati da
diversi anni, lei amava lui, lui amava lei, lei amava ancora
appassionatamente le pizze, lui le amava un po' meno perché
aveva trasferito molto del suo ardore sul pallone.
A volte la moglie lo
rimproverava bonariamente, e Salvatore rispondeva
schernendola:
-Che fai, Sofia, sei
gelosa del pallone? - E lei scrollava le spalle e ci
rideva su amaramente.
Da qualche tempo, però,
Sofia non glielo rimproverava più, ma in lei permanevano
ugualmente un
senso d'insoddisfazione per quel matrimonio nel quale erano in
tre, lui, lei e il pallone, ed una grande rabbia verso il
marito che sembrava non accorgersi della sua delusione.
Tra poco, poi, sarebbero
cominciati pure i mondiali! In giro non si parlava d'altro,
persino i bambini della sua classe trascuravano la storia e la
geografia per imparare a memoria non solo la formazione della
squadra italiana ma anche quella delle squadre straniere, e
suo marito si era già organizzato con un gruppetto d'amici per
vedere insieme tutte le partite.
- Non ti avvilire,
bella di mammà- la confortò sua madre quando Sofia le
confidò il disagio per le belle settimane che le si
preparavano- Tu lascia a casa a vedere le partite tuo
marito, i tuoi figli e gli amici, e vienitene qua, in
pizzeria. Aiuti un poco a me e ti mangi tutte le pizze che
vuoi...Sei pure fortunata che puoi mangiarne quante vuoi
senza ingrassare!-
E Sofia accettò.
Suo marito già teneva la
testa nel pallone, i figli lo stesso, perché avevano ereditato
dal padre l'identica passione per il calcio, gli amici pure, e
così la donna, con il beneplacito di tutti, al fischio
d'inizio della prima partita, aprì la porta di casa e se ne
andò dalla madre.-Sofia, non ti ho
detto che teniamo un nuovo aiutante...Tu mettiti un poco alla
cassa, ogni tanto poi io vengo a darti il cambio, e tu vai a
aiutare all'aiutante.-
L'aiutante si chiamava
Giuseppe ed era un bel ragazzone di Aversa, alto e muscoloso,
con un ampio torace villoso, i bicipiti forti e le mani
massicce. Con grande sapienza picchiettava l'impasto sul
marmo, lo faceva roteare, lo lanciava verso l'alto, lo
riprendeva a volo, lo lavorava ancora, l'allargava ben bene ai
bordi, lo schiacciava sprimacciandolo come un cuscino, lo
guarniva con i diversi ingredienti, versava sopra l'olio a
filo a filo, ed infine, adagiatolo con gentilezza sulla pala
di legno dal lungo manico, lo riassestava amorevolmente e, al
grido di iammo c' ‘a pala,2 lo sospingeva
nella bocca infiammata del forno a legna.
Ai movimenti decisi ma
mai bruschi, sicuri ma delicati del nuovo aiutante, Sofia
restò come incantata, presa da una strana fascinazione che
aveva provato solo in un ' altra occasione: quando aveva visto
suo marito per la prima volta … E non poteva impedirsi di
cercare continuamente con lo sguardo quello del pizzaiolo.
Il pomeriggio passò,
l'Italia pareggiò e Sofia si congedò dalla madre e tornò a
casa più turbata che mai.
La notte dormì poco e
male, e l'indomani a scuola pensava continuamente al giovane
che la sera precedente l'aveva salutata con un " Ci vediamo
domani!", pronunciato in tono sicuro come di chi sa il fatto
suo. Di tanto in tanto dalla lavagna sparivano le divisioni
che stava facendo eseguire ai suoi alunni per gli esami e
compariva l'immagine del pizzaiolo, vestito di bianco, con i
capelli neri, gli occhi scuri, la faccia infarinata, una
capricciosa piegata a libretto tra le mani. Lisciandosi i
baffetti, le faceva l'occhiolino e, sporgendosi verso di lei,
con un sorriso ammiccante chiedeva:
-Favorite? - e
poi addentava voluttuoso la pizza.
Sofia si recò in
pizzeria per tutto il periodo dei mondiali, durante i quali
l'Italia fu sconfitta, pareggiò, vinse e addirittura arrivò in
finale, ed entrò sempre più in confidenza con Giuseppe.
Lungamente ed eroicamente resistette alla tentazione, che era
grande e che sempre più la spingeva verso il giovane del
quale, col passare dei giorni, aveva avuto modo di apprezzare
non solo l’abilità
di pizzaiolo, ma anche altre qualità.
L'ultima sera, quando
l'Italia si giocava il tutto per tutto nella partita finale,
la donna aveva quasi deciso di non andare in pizzeria, ma fu
proprio suo marito a insistere.
-Vai, Sofia,
approfittane!-sostenuto dagli amici che rincararono: -
Sì, sì, approfittatene!-
Per la “Pizzeria
Vulcano” era giorno di chiusura, ma Sofia sapeva che non le
sarebbe stata fatta mancare la pizza.
Quella sera la luna si
mostrava grande, piena, luminosa. Sofia indossò una gonna
rosso tramonto, una candida camicetta dalla scollatura
profonda che valorizzava il suo décolleté, raccolse a coda i
bei capelli ramati, calzò alti sandali bianchi con tacchi a
spillo, infilò al dito un anello con smeraldo, si profumò
generosamente col suo profumo preferito alla tuberosa, "Feu
brûlant", e andò incontro al suo destino.
Sua madre, che aveva
capito ma non disapprovava, anzi, la lasciò sola con Giuseppe,
nella pizzeria deserta, nel quartiere deserto, nella città
deserta, spopolata proprio a causa della partita conclusiva
che teneva tutti incollati alla televisione.
Gli unici segni di vita
in quel locale erano il fuoco del forno riscaldato dalle
fiamme degli sterpi secchi e i battiti accelerati dei cuori di
Sofia e di Giuseppe.
Fu lei ad avvicinarsi
per prima a lui, ma il giovane prontamente la strinse a sé, le
sciolse i bei capelli, li accarezzò, le sfiorò il viso con una
mano e, con voce appassionata, le sussurrò:
-Da quando ti
conosco, mi sento la testa nel pallone. Sei
bella, più bella della luna piena nell’estate quando spunta
sorridendo a prima sera! Che dici, la vogliamo fare questa
pazzia? –
La sventurata annuì.
E così, tra i bianchi
pani di pasta e i pomodori veraci sommariamente schiacciati
nell'insalatiera (“pommes d’amour”, così nell’Ottocento i
Francesi chiamavano i pomodori), la mozzarella candida
tagliata a dadini e il piccante salame napoletano spezzettato,
tra la ricotta immacolata e la sugna vellutata, l'origano
secco e le acciughe salate, inebriata dalle forme, dagli
odori, dai colori e dai sapori familiari, tutti i sensi
coinvolti (occhio, orecchio, olfatto, udito e tatto, nessun
senso escluso), con il sottofondo dello scoppiettio della
legna nel forno caldo e rosso come l’inferno, soggiogata dal
fascino del pizzaiolo, Sofia, vinta, cedette al fuoco della
passione … e la scintilla si trasformò in feroce incendio.
Dopo quel momento di
pazzia lui preparò due belle pizze margherite, con succosi
pomodori rossi San Marzano, freschissima mozzarella di bufala,
profumate foglioline di basilico e purissimo olio
extravergine, e lei apparecchiò un tavolino per due.
Le consumarono lì, a
saracinesche abbassate, accompagnate da un buon bicchiere di
Gragnano, in un romantico e silenzioso tête a tête
interrotto solo dal boato che si levò in tutto il quartiere,
in tutta la città, in tutta la nazione, in tutto il mondo, in
tutto il cosmo, quando l'Italia segnò il goal della vittoria.
1)Mi sembri la
luna piena nell’estate/quando spunta sorridendo a prima sera:
versi finali della poesia ‘A pizza, di Amedeo
Mammalella (1889-1968), diplomatico e docente di Letteratura
italiana all'Università di Curityba in Brasile, poeta ed
esponente del Gruppo 'O sciaraballo (La diligenza).
2) Andiamo con la pala.