Francesca Santucci

L'ultima estate

 

 


 
 (Francesca Santucci
,  "Del mare, dell'amore e d'altre storie", Edizioni Youcanprint  2018 ,pag. 116 euro 11,00 )

 

[...] ci perdiamo nell'amore cos?come nel mare,
perch?privi di tempesta non son l'amore e il mare.

Pierre de Marbeuf

Il mare abbraccia la mia città natale, incastonata come un gioiello nel golfo cristallino dominato dal vulcano da tempo, ormai, non più sterminatore, ma che pure, insieme al rispetto, incute il timore che di nuovo possa in forza distruttiva far risentire la sua voce.
Come fosse un amante appassionato che, prepotentemente, stringa, ho sempre sentito fisicamente la presenza del mare, non solo della mia città ma del mare in generale, anche quello che bagnava Licola, località balneare che, per un lungo periodo, nella mia infanzia e adolescenza, frequentai. Poi,  dopo un tragico accadimento, mai più lo rividi.
Mio padre mi aveva spiegato che Licola era un sito storico-archeologico di valore inestimabile, che custodiva sotto il suo territorio i resti della Domiziana, l'importante strada romana fatta costruire dall'imperatore Domiziano per meglio collegare il porto di Puteoli (l'antica Pozzuoli) e il resto dell'Impero. E mi aveva anche raccontato che l'origine del nome del lago, vulcanico ma con acque saline, che costeggiavamo in prossimità della nostra destinazione, il lago Patria (oggi in stato di degrado, allora un vero Paradiso!), risaliva al VI secolo d.C. A quel tempo Scipione l'Africano, che aveva sconfitto Annibale, deluso dalla politica si era ritirato a vivere in solitudine in una villa che si era fatto costruire sulle sponde del lago, e qui era morto. Sulla sua tomba era stata incisa la frase Ingrata patria, ne ossa quidam mea habes ("Patria ingrata, non avrai nemmeno le mie ossa"), ma, con il tempo, la scritta si era sbiadita lasciando leggibile solo la parola patria, e, cos? il nome della colonia era stato esteso anche al lago.
Molto apprezzavo le spiegazioni di mio padre, ma la nota romantica che accendeva le mie fantasie di ragazza era che quel lago aveva la forma di un cuore, e allora per me "cuore" faceva rima solo con "amore".
Di domenica e nei giorni di festa, dunque, mio padre ci svegliava di buon mattino, e poi ci metteva proprio fretta, incalzando mia madre e noi figli ad affrettarci per affrontare il viaggio di buon ora verso Licola. Diceva che, cos? avremmo evitato il traffico ed avremmo goduto della bellezza delle prime ore del mattino, silenziose, fresche, con pochi bagnanti. E gli davamo ascolto, e in casa era tutto un correre da una stanza all'altra, preparativi veloci, frenetici, cercando di non dimenticare nulla, asciugamani, sdraio, ombrellone, cibo, frutta, bibite, e poi via, in viaggio verso l'agognata località dove ci saremmo anche ricongiunti con parenti ed amici.
Io mal sopportavo il viaggio in auto, mi dava la nausea e le vertigini. Un po'  per il malessere, un po'  per il sonno a causa della levataccia, mi assopivo ma, quando eravamo quasi giunti a destinazione, mi ridestavo dal mio torpore come guidata da un magico richiamo: oltre il placido lago a forma di cuore lento sciabordava il mare.
Lo  "sentivo"  gi?prima di vederlo, ne sentivo da lontano il profumo e la titanica presenza. Le sue onde ritmiche contro la battigia mi parevano continui abbracci, il suo puntuale ribattere contro la riva sembrava il canto di un menestrello, la voce di un innamorato che, dolcemente, chiamasse la sua amata. Ma non aprivo ancora gli occhi, mi ponevo in ascolto delle sue melodie, solo a tratti interrotte dagli stridii dei gabbiani e dagli esili gridolini dei pochi bambini approdati con i genitori sulla spiaggia prima di noi, che gi? tramestavano con la sabbia, l'acqua, le palette, le formine e i secchielli. Ero felice, allora, e il cuore mi sembrava leggero leggero, e null'altro volevo che tuffarmi e nuotare in quelle acque tiepide e amorevoli.
Ma ricordo con tristezza l'ultima estate che vi andai. Ormai ero una "signorina". Mio padre mi lasciava raggiungere il mare sull'auto sportiva di mio zio Vincenzo e della sua giovane moglie, noi avanti, l'utilitaria del mio papà che seguiva subito dietro di noi.
Era bello e di buon carattere zio Vincenzo. Aveva il corpo atletico e scattante, la pelle ambrata, gli occhi scuri come la lava, i capelli neri e ricciuti solo qui e l?ritoccati di grigio, come se un pittore si fosse divertito ad imprimervi dei tocchi di luce. E poi era gentile e colto, e amava la poesia, e spesso mi recitava i versi dei poeti che pi?gli erano cari e che, tramite lui, anch'io imparai ad amare.
Zio Vincenzo era il fratello di mio padre, aveva quarant'anni, la moglie solo diciassette ed era in attesa di un bambino (e questo, a quei tempi, fece gridare allo scandalo), perciò aveva dovuto sposarla in tutta fretta, con grande disappunto della famiglia che, da allora, non aveva voluto sapere pi?nulla di loro, invece i miei genitori avevano accolti entrambi con affetto e, giunta l'estate, li avevano invitati a venire al mare con noi.
Seduta sul sedile posteriore, spettatrice delle tenerezze che si scambiavano, testimone e complice del loro incosciente amore, con i miei lunghi capelli scuri trattenuti in alto da una fascia azzurra, gli occhi chiari per la prima volta truccati con l'ombretto ed il mascara, le forme acerbe sotto i jeans stretti e il top colore giallo sole, in quella fiammante auto rossa a tetto scoperto, che mio zio aveva acquistato per assecondare il capriccio della giovane moglie, in corsa verso il mare che tanto amavo, con la musica a tutto volume, quell'estate mi sentivo libera e felice. Quante cose belle mi attendevano! La vita, allora, per me era presaga di promesse!
E, una volta arrivati tutti in spiaggia, incurante delle proteste di mia madre che mi ammoniva a non bagnarmi subito, ad acclimatarmi prima, ogni volta con l'identico entusiasmo correvo in cabina, mi liberavo dei vestiti, indossavo il mio bikini bianco e mi tuffavo.
Mio zio, del quale profondamente subivo il fascino, con un tuffo spettacolare ed un largo sorriso, a lunghe bracciate mi raggiungeva e m'insegnava nuovi stili di nuoto che, con gioia, sperimentavo.
Mi sentivo una sirena, anzi no, la sposa del mare, e mio zio era il dio Nettuno, e, pi?che nuotare, a me sembrava di danzare nell'acqua per la gioia, come certi piccoli pesci saltellanti che vedevo quando m'immergevo... Ma quella fu l'ultima estate che frequentai il mare di Licola,  e fu l'ultima estate per mio zio.
Trascorse giugno, poi luglio, poi venne agosto, ogni fine settimana tutti puntuali all'escursione. Ora incombeva la fine dell'estate e sempre più cresceva la pancia di mia zia. Infine il medico le consigliò per prudenza di non affrontare più quei viaggi in auto sotto la calura, ma la mia giovane e incosciente zia ragazzina s'impuntò come una bambina, non volle dare ascolto a nessuno, nè al medico, nè al marito, nè ai parenti, nè agli amici, ostinata veniva ugualmente al mare con noi, sopportando anche il balletto delle ruote sulle strade dissestate che dovevamo prendere, deviando dal percorso principale, per lavori in corso quell'estate. E, così,  una sera, di ritorno dal mare, perse il suo bambino e, solo qualche settimana dopo, accortasi della grande differenza di età con mio zio, s'invaghì di un coetaneo e lo lasciò. Mio zio che, invece, l'amava davvero, non resse al dispiacere, andò in crisi e si tolse la vita lanciandosi, ubriaco, in folle corsa contro un muro con la bella auto sportiva: accadde tutto sul finire di agosto. Ora alla gioia e alla spensieratezza si era sostituito il dolore: con quel grande lutto nel cuore, non ci sentimmo più di andare al mare.
Destino, fatalità, non so perchè quella tragedia accadde, ma non ho mai dimenticato quell'ultima estate, e non sono mai pi?tornata a bagnarmi in quel mare e mai più ci tornerò Se ci tornassi il ricordo doloroso del "dopo" cancellerebbe tutti i ricordi felici del "prima", preferisco lasciarlo intatto, fermo ai giorni della spensieratezza.
Mi ha lasciato una ferita aperta nel cuore quella tragica improvvisa dipartita, ed ogni volta che ripenso a quel mare non lo penso pi?placido e tranquillo, ma perennemente in tempesta, e penso a mio zio, bello e innamorato, che per amore si tolse la vita, e alla parola "cuore", oltre ad "amore", ora lego "disperazione" e "dolore", e sempre mi vengono in mente i versi di una poesia di Pierre de Marbeuf che, forse presago di quanto sarebbe accaduto, un giorno lui mi aveva declamato:

Et la mer et l'amour ont l'amer pour partage,
e
t la mer est amer,, et l'amour est amer,
l'on s'ab
ime  en l'amour aussi bien qu'en la mer,
car la mer et l'amour ne sont point sans orage
.

E il mare e l'amore in comune hanno l'amaro,
e il mare è amaro, e l'amore è amaro,
ci perdiamo nell'amore così come nel mare,
perchè privi di tempesta non son l' amore e il mare.1

1) Traduzione dell'autrice.

 

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