Il mio sogno ha avuto la brevità del volo di una foglia morta. L’autunno la
stacca dall’albero, la bella foglia d’oro, il vento la sostiene un poco, poi la
lascia ricadere. E, nel mucchio di foglie morte, quella del mio sogno non è che
una piccola inconfondibile cosa, uguale a tante altre, introvabile.1
Sono inevitabili certi grandi amori, scritti nel destino, pur se brevemente
vissuti “condannati” a non spegnersi mai, e se interviene un evento brusco,
definitivo, irreversibile come la morte a separare gli innamorati, ancor di più
il sogno resta intatto, fermo nel tempo, continuamente alimentato dal ricordo,
perché è un fuoco la scintilla innescata, che non svanisce come l’arcobaleno
che, passato il sereno dopo la pioggia, solo per poco illumina il cielo e poi
scompare.
Accadde questo alla scrittrice Liala, la cui vicenda letteraria è inscindibile
da quella privata. Mai dimenticando il suo bel pilota tragicamente perito
durante un volo inabissandosi nel lago di Varese, ne conservò intatto il ricordo
e lo rese ispiratore di tutti i suoi romanzi, molti ambientati proprio nel mondo
aviatorio. In quel lago s’infranse la sua realtà, ma nacque il sogno
consolatorio, al quale, poi, restò tenacemente legata per tutta la vita.
Amalia Liana Negretti Odescalchi Cambiasi, questo il suo vero nome, nacque a
Carate Lario il 31 marzo 1897. Era già sposata con il Marchese Pompeo Cambiasi,
Tenente di Vascello della Regia Marina, di 17 anni più anziano, ed aveva una
figlia, quando conobbe il suo Amore (come sempre lo chiamò) a Varese,
dove lui aveva affittato una casa per potersi allenare alle corse sugli
idrovolanti. Amore era il Marchese Vittorio Centurione Scotto, nato a
Genova il 7 maggio 1900, bello, aitante, dolce, gentile, ottimo cavallerizzo,
eroico pilota, asso dell’Aviazione della Regia Aeronautica, distintosi nella
Grande Guerra per il suo valore, premiato con coppe e medaglie per i primati
realizzati.
Amalia Liana non era bellissima, ma affascinante, alta, sottile, con occhi verde
cupo, una folta chioma fulva (La
Negretti la gh'ha i' oeucc e i cavèi color birra Moretti,
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“La Negretti ha gli occhi e i capelli color birra Moretti”, ripetevano i suoi
compagni di classe), raffinata, le movenze eleganti, un poco civettuola, ma
sincera e schietta nel parlare, colta, nobile quanto il suo pilota, come lui
abituata alla vita di società. Di animo ardente, sin da bambina aveva subito il
fascino del volo, amando il cielo tanto quanto amava le crepuscolari acque
lariane -che molte suggestioni letterarie le avrebbero, poi, suscitato- al punto
da non esitare, giovinetta, a traversarle con la sua barca chiamata “Mia” e a
mentire alla madre per avere cento lire per potersi pagare un giro
sull’idrovolante sul lago di Como, un giorno in cui in zona volava Achille
Landini, pioniere dell’Aviazione.
Amalia e Vittorio fatalmente s’innamorarono e trascorsero insieme due anni
d’amore sincero e appassionato, dapprima ostacolato dalla famiglia di lui che
mal tollerava l’unione con una donna sposata e con una figlia, poi teneramente
accettato. E la felicità non era lontana, il lieto fine era vicino: ottenuto
l’annullamento del precedente matrimonio di lei, al compimento del ventottesimo
anno di età di lui secondo le regole dell'Aviazione avrebbero potuto sposarsi,
ma il destino aveva diversamente predisposto.
Vittorio, pilota esperto, sicuro di sé, che si era distinto per i suoi voli
acrobatici con gli amati idrovolanti, era stato scelto da Mussolini per prender
parte a Norfolk,, insieme ad altri eroici piloti, all'agognata Coppa Schneider
del 1926, una prestigiosa competizione per idrovolanti.
Quel 21 settembre la giornata era assolata, luminosa. Per allenarsi cominciò a
sorvolare le acque tranquille del lago di Varese con il suo M39 ma,
d’improvviso, per un’insufficiente inclinazione della virata, il velivolo
precipitò nel lago di Varese: Vittorio morì annegato nella cabina del suo
idrovolante. Per tragica fatalità nello stesso giorno e alla stessa ora Amalia
ebbe un incidente d’auto, non in Italia, ma a Budapest, dove stava cercando di
diventare cittadina ungherese per ottenere il divorzio.
Non si capì mai da cosa fosse dipeso il tragico incidente, forse un difetto
dell’apparecchio, forse un errore del pilota che doveva aver sottovalutato la
manovra per troppa sicurezza, forse un eccessivo entusiasmo per la
partecipazione ad una competizione tanto importante, forse l’ordine di un
superiore di “spingere” il volo al massimo, di certo solo la sua giovane vita
drammaticamente troncata, il dolore di quanti lo amavano, la disperazione di
Amalia, lo sconcerto dei compagni e superiori, la profonda commozione di tutti.
Così nel ricordo di Liala, che tante volte aveva volato con Amore nel suo
velivolo da lei paragonato a un nido:
[…] sono tornata a Varese, dove tu hai ripiegato le tue belle ali […]dove mi hai
dato il primo e l’ultimo bacio.[…]E quando vedo il lago nel quale si inabissò il
tuo apparecchio, io mi domando come poté essere che un uomo del tuo valore,
della tua abilità, della tua sicurezza, si sia schiantato così, in acque chete
piene di sole.3
Il marchese Vittorio Centurione Scotto
Per Amalia il dolore fu tanto forte che si ammalò, per lunghi mesi stette male,
amareggiata anche dalle chiacchiere dei maligni che dissero che se fosse stata
in Italia Vittorio non avrebbe partecipato a quella gara. Fu suo marito a starle
vicino, aiutandola a riprendersi. Tornarono insieme, lui non tentò mai di
cancellare il ricordo del giovane e sfortunato uomo con il quale sua moglie
aveva sognato di vivere, e, dopo Primavera, nacque anche un’altra figlia,
Serenella. Amalia, che già in passato aveva collaborato come autrice di novelle
con quotidiani e settimanali, per superare il dramma e non impazzire di dolore
riprese a scrivere, e il suo romanzo d’esordio, “Signorsì”, del 1931, le cui
prime 977 copie andarono esaurite in venti giorni, entusiasmò tanto l’editore
Mondadori che la presentò a D’Annunzio. E fu proprio il Vate, ammirato dalle
conoscenze che la scrittrice aveva di motori e aerei, ed anche dalle sue pronte
battute, a coniare per la sua
compagna d'ali e di insolenze,
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come la definì, il
nom de plume
di Liala, perché avesse un’ala anche nel nome.
Dopo “Signorsì”, che le diede immediato successo, Liala si rivelò scrittrice
prolifica, ma la sua vita si era fermata quel giorno, quando aveva ventotto
anni, e il resto del suo tempo lo dedicò a ricordare il perduto amore (Vivere
nel ricordo di qualcuno è non morire mai),5
a rimpiangerlo (Di splendido non ci
sono che i ricordi, che qualche volta perdono, tuttavia, di splendore e
diventano rimpianti.)6
e a
raccontare, in più di ottanta romanzi, con bella scrittura piana e scorrevole,
in profondità di sentire, ricchezza descrittiva sia di ambienti lussuosi che
modesti, con il lieto fine che a lei era mancato, storie d’amore variamente
declinato, romantico, tormentato, disperato, idilliaco, appassionato, anche in
erotismo velato, mai sbandierato (la scrittrice soleva dire che accompagnava le
sue eroine fino alle soglie della camera da letto e non stava, poi, a guardare),
fra donne bellissime, vitali, ribelli, e uomini affascinanti e virili, nella sua
prima produzione, in anni in cui fortemente era sentito l’amor patrio,
soprattutto valorosi ufficiali dell’Aviazione e della Marina.
“La casa delle lodole”, “Sotto le stelle”, “Farandola di cuori”, “Vecchio
smoking”, “La meravigliosa infedele”, “Melodia dell’antico amore”, “Il vento
inclina le fiammelle”, sono solo alcuni dei titoli, in cui il tema principale è
l'aviazione e quell'amato ormai così irraggiungibile, che fecero palpitare e
fremere generazioni di lettrici (anche lettori), e non solo tranquille
casalinghe.
Liala attraversò tutto il Novecento e ne visse i cambiamenti sempre fedele a se
stessa, ai suoi personaggi, al suo mondo soave, romantico, garbato, “rosa”,
autentica e genuina, credendo alle storie che donavano emozioni agli altri ma,
prima di tutto, a se stessa, regalandosi e regalando continuamente sogni.
Diceva: Non compio peccato sognando!Non
rubo nulla ad alcuno, con i miei sogni. Prendo dal cervello e metto nel mio
cuore.7
Ma non mancò, infine, di attualizzare le sue storie, rivolgendosi,
a partire dagli anni '50, al pubblico femminile che si andava modernizzando,
affrontando, in contrasto con la censura della Chiesa, temi scottanti come
l’adulterio, l’aborto e il divorzio, e ambientando il suo ultimo romanzo,
“Frantumi di arcobaleno”, negli anni di piombo, affermando, però: Ma il
romanzo più bello è quello della mia vita!
8 Ed è vero, e per rendersi conto della straordinarietà della sua
vita basta leggere “Voci dal mio passato” (1949), commovente scritto
autobiografico in cui larga parte ha il suo Amore,
precipitato quell’infausto giorno nelle acque azzurre del lago, e il suo
“Diario vagabondo” (1964),
più volte ripubblicato, in cui, con felice tratteggio crepuscolare,
rievoca l’infanzia, l’educazione, le due nonne diversamente amate, il suo lago,
i compagni di scuola, il mare di Moneglia che la vide sposa al marchese
Cambiasi, gli incontri importanti con l’editore Mondadori e con il Vate, e,
naturalmente, quello con l’uomo che le aveva sconvolto la vita con un sentimento
che era stato strisce di luce, di fulgore, di bellezza.
Nel genere rosa in Italia Liala divenne figura di spicco dominando la scena
per più di cinquant’anni, ma non ricevette mai un premio, un riconoscimento,
ignorata o denigrata dai critici (ma tanti non avevano letto nemmeno un solo suo
libro, come quel tale che credette “Settecorna”, il seguito di “Signorsì”, un
libro erotico, ed invece il titolo alludeva ad una lumachina!), nonostante
l’enorme successo di vendite, la popolarità e l’affetto delle fedeli lettrici e
la stima e l’innegabile onestà intellettuale e buonafede riconosciuta da
scrittori e giornalisti come D’Annunzio (che la ebbe ospite al Vittoriale), Enzo
Biagi (che, dopo averla incontrata, la definì amabile e sincera10),
Giorgio Torelli, che la intervistò su incarico del suo direttore (Di
Liala hanno sempre scritto con sufficienza. Meglio: hanno preferito non
scrivere. Fammi tu questo profilo in chiaroscuro. Indro Montanelli
11),
Aldo Busi, che, in occasione dei suoi novant’anni, si recò a casa sua per
un’intervista confluita, poi, nel suo romanzo “L’amore è una budella gentile”,
pure restandone affascinato.
Dopo Vittorio Centurione Liala ebbe solo un'altra relazione, con l'aviatore
Pietro Sordi, ma l’amore appassionato interrotto dal tragico destino, che
ricordò fino alla fine della sua esistenza e che autenticamente ispirò le sue
fantasie letterarie fu sempre e solo quello per la sua Ombra travolgente.
Ancora in “Ombre di fiori sul mio cammino”, del 1947,
biografia romanzata della sua vita,
nella
vicenda di Liana Egret che amerà non l'uomo che sarà costretta a sposare per
imposizione familiare, ma un aviatore bello e nobile che il cielo le strapperà,
troverà spazio il ricordo di Vittorio.
Fu lunga la vita di Liala, vissuta nel rimpianto di colui che non aveva voluto
dimenticare, gelosamente conservando, nel suo famoso armadio dei ricordi,
anche oggetti cari a lui appartenuti: un casco di cuoio biondo foderato di
pelliccia bianca, le controspalline della divisa da pilota con le tre stellette,
in una scatolina d’argento brunito la prima aquila dorata che aveva appuntato
non ancora ventenne sulla sua giubba di pilota, in una scatola di cartone
azzurro tutte le altre, anche l’ultima, che non aveva al momento del volo fatale
perché quel triste giorno non indossò la giubba, ma una camicia di seta bianca e
una cravatta nera, e “l'occhio dell'aviatore”, la spilla fermacravatte con
zaffiro, che spettava agli aviatori più meritevoli, donatale da D’Annunzio.
Liala si spense a novantotto anni, il 15 aprile del 1995, nella sua villa “La
Cucciola”, acquistata nel 1958 con i proventi delle vendite dei suoi romanzi, a
Varese, lì voluta perché in quei luoghi era stata felice col suo Vittorio.
Chiese di essere seppellita, e le sue volontà furono rispettate, con un
elegante abito da sera di Valentino in color avorio ed oro e scarpine dorate,
chissà, forse per presentarsi al meglio al suo Amore che l’attendeva Lassù, e
che un giorno le aveva detto:Tu
sarai bella per me anche fra cento anni. Tu non invecchierai mai, tu sei il mio
sole e non è possibile che io possa vedere il sole invecchiare.
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Era durata davvero poco la sua felicità, ma l’amore era stato talmente grande da
bastare a riempirle tutta la vita, come certi tramonti così luminosi che
continuano ad illuminare il cielo anche quando sono calate le prime ombre della
sera, ché solo un amore immenso e completo può continuare ad ardere, come
fiamma votiva, anche quando Chi dovrebbe alimentare la lampada sarà lontano,
perduto, fatto Ombra, diventato Ricordo.13
NOTE
1) Liala, “Voci dal mio passato”.
2) Liala, “Diario vagabondo”.
3) Op. cit.
4) Op. cit.
5) Op. cit.
6) Op. cit.
7) Liala, “Una carezza e le strade del mondo”
8) Op. cit.
9) Op.cit.
10) Biagi E., “Senza dire arrivederci”.
11) Torelli G., “Una volta con …”.
12) Op. cit.
13) Op. cit.
TESTI
Gregoricchio F., , “Liala, sulla scrittrice italiana più letta e popolare”,
Gamma libri, Milano 1981.
Roccella E. - Scaraffia L. curatrici, “ Italiane”, vol. II, Dipartimento per le
pari opportunità, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. Stabilimento
Salario, Roma 2004.
Biagi E., “Senza dire arrivederci”, Mondadori, Milano 1985.
Busi A., “L’amore è una budella gentile”, Oscar Mondadori, Milano 1994.
Torelli G., “Una volta con”, Mursia, Milano 1988.
Liala, “Diario vagabondo”, Sonzogno, Milano 1977.
Liala, “Voci dal mio passato”, Fabbri editori, Milano 1982.
Liala, “Una carezza e le strade del mondo”, Sonzogno, Milano 2001.
Liala, “Ombre di fiori sul mio cammino”, Sonzogno, Milano 1981.
Saggio
segnalato al I Premio di Letteratura "Ponte Vecchio"
Motivazione della
Giuria
Il saggio intende ricostruire il nesso inscindibile biografia-opera letteraria
di una delle scrittrici italiane più apprezzate dei romanzi d'appendice.
Liala (pseudonimo coniato dall'amico D'Annunzio), a partire dall'episodio
determinante della tragica morte dell'uomo che sarà il suo amore per tutta la
vita, il marchese Vittoriuo Centurione Scotto. Un amore immenso e completo che
continuò sempre ad ardere e che fu motivo ispiratore di tutti i suoi romanzi.
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