Kimerik, ottobre
2009
221 pagine - Euro
14.00
Piergiorgio
Cavallini
LETTURE
TRASVERSALI DI "SUGGESTIONI E MERAVIGLIE"
(OMBRE E
LUCI FRA SEICENTO E SETTECENTO)
Francesca
Santucci c’invita nuovamente nel suo salotto buono, sceglie per noi
autori e brani e, questa volta tra Sei e Settecento, tra Barocco ed
Illuminismo, ci propone un florilegio che, come lei stessa conferma, è
frutto del suo personalissimo gusto e delle sue preferenze culturali,
che nella fattispecie sono il Caravaggio, il genio ribelle,
Giovan Battista Marino, il re del secolo, il marinista Ciro di
Pers, ossessionato dallo scorrere del tempo, tanto da dedicare diversi
componimenti agli orologi, Gabriello Chiabrera, un classicista
barocco e massimo poeta savonese, Gian Lorenzo Bernini, il più
grande scultore del Seicento, la triade di autori napoletani Giulio
Cesare Cortese, Giovan Battista Basile e Felippo Sgruttendio de Scafato,
il pittore fiammingo Pieter Paul Rubens, considerato il rappresentante
più tipico del Barocco, M.me de Sévigné, una delle più famose scrittrici
epistolari della letteratura francese,
Harmenszoon van Rijn, noto col nome di Rembrandt, il più importante
pittore olandese e uno dei principali pittori di sempre, la pittrice
bolognese Elisabetta Sirani, che dipingeva da homo, la regina
Cristina di Svezia, divenuta metaforicamente regina di Roma,
presso il cui palazzo fu fondata l’Accademia Reale che diede
origine all'Arcadia, Faustina Maratti Zappi, moglie di
Giambattista Felice Zappi e, ancóra, il presepe napoletano, Giacomo
Casanova, il grande seduttore “beccato” da Francesca in un paio dei suoi
(forse) rari insuccessi, gli arazzi nell'età barocca, la Cappella
Sansevero con i suoi misteri, la maschera di Pulcinella, analizzata a
fondo, i pirati, come il terrore dei Caraibi Edward Teach, detto il
Barbanera e il pirata delle Barbados Stede Bonnet, e le donne pirata.
Questa nuova
raccolta di saggi di Francesca Santucci è il séguito logico della sua
precedente produzione saggistica: Donna non sol ma torna musa
all'arte, marzo e settembre 2003, Donne protagoniste, maggio
2004, Messaggi dall'antichità, settembre 2005, Virgo Virago,
gennaio 2008. Se le prime due opere, e la quarta, dànno atto della
militanza dell'Autrice nel campo della letteratura al femminile,
per usare un'espressione a lei cara, la terza si stacca dal filone
suddetto, pur non abbandonandolo del tutto, e si colloca come
antecedente di questo nuovo lavoro, in cui, come in quello, il
riferimento al femminile, almeno nel titolo, non compare, il criterio
organizzatore essendo, qui, squisitamente cronologico.
Se, però, andiamo
a ben leggere il cospicuo materiale propostoci, ci accorgiamo tosto che
questo fitto indagare tra le ombre e le luci dei due secoli fondamentali
per la cultura - italiana e non - è guidato dal filo conduttore dei due
argomenti princeps dell'Autrice, la donna in letteratura e
nell'arte, ma anche donna in quanto tale e altro dall’uomo, e
Napoli, il legame indissolubile con la patria d’origine. Giova ricordare
in proposito che Francesca Santucci è anche autrice d’un volume di
racconti - intitolato Napoli di ieri, gennaio 2005 - ambientati
in quella che è la sua città natale.
Fondamentali, il
Sei e Settecento, per via del Barocco, dell’Illuminismo e della
Rivoluzione Industriale. Antitetici tra loro i primi due movimenti,
figlia del secondo la terza. L’importanza del Barocco è comunque
essenziale per comprendere la nostra cultura moderna. Una ventina d’anni
fa si sviluppò un dibattito sul Neobarocco, innescato dal lavoro di Omar
Calabrese, L’età neobarocca, Bari 1987. Sostanzialmente, il
carattere fondamentale del Neobarocco sarebbe la sostituzione
dell’estetico al funzionale, del bello al buono, con conseguenti
banalizzazione, massificazione e, da ultimo, globalizzazione, il male
dei mali. Si è parlato di postmoderno per definire la situazione
posteriore al Neobarocco e anteriore alla globalizzazione, ma se
guardiamo agli avvenimenti degli ultimi mesi (seconda metà del 2008 –
inizio del 2009), forse possiamo dire che il capitalismo selvaggio, la
globalizzazione stessa, le folli teorie neocon della guerra
preventiva e continuata sono falliti. Siamo nell’èra postglobale. La
gente tornerà alla campagna, mangerà quello che produrrà, alla faccia
delle multinazionali! Ritroveremo le nostre tradizioni, le nostre
parlate e questo, per uno studioso di dialetti e cultura popolare quale
il sottoscritto, è sicuramente positivo. Ritroveremo la Taverna del
Cerriglio (peraltro ancor oggi esistente), la tiorba a taccone, i
sapori veri delle nostre regioni, le armonie dei nostri luoghi e i
vecchi quartieri spagnoli di Napoli, forse, torneranno vivibili.
Napoli dicevo, una
città in cui, come ci avverte Francesca Santucci “…tra la fine del
Cinquecento e l’inizio del Seicento … massima fu l’espansione economica,
urbanistica e demografica della città partenopea (si pensi che nella
prima metà del Seicento, quando tutti gli altri centri del sud d’Italia
contavano non più di qualche migliaio di anime, Napoli, sede della
corte, maggior porto del Viceregno, centro vitale per artisti ed
intellettuali, luogo vivace di traffici, ne annoverava già più di
trecentocinquantamila) …”, Napoli fa praticamente da sfondo a quasi
tutta la raccolta di saggi. Troviamo il Caravaggio a Napoli; a Napoli
nasce e muore - e in parte vive - il Marino (Tennemi pur assai la
patria bella/dentro i confin dele native soglie,/dico Napoli mia, che la
sorella/dela sirena tua sepolta accoglie, Adone, 9, 73); a
Napoli, da madre napoletana, nasce il Bernini. Per non parlare poi delle
tre corone napoletane, rubando la definizione a Franco Brevini
che la utilizza nel ponderoso Meridiano La poesia in dialetto
(Milano, 1999): Giulio Cesare Cortese (Dante), Giovan Battista Basile
(Boccaccio) e Felippo Sgruttendio de Scafato (Petrarca, sia pure
grottesco). Napoli, col suo dialetto (secondo il Croce la poesia
dialettale nasce nel Seicento), il quotidiano contro il classico, il
popolare contro l’epico. Finzione letteraria e dati biografici che
s’intersecano in modo indistricabile, con il Cortese che muore
misteriosamente ed assieme a lui scompaiono Bartolomeo Zito e Felippo
Sgruttendio de Scafato, anagramma di D. Giuseppe Storace d’Afflitto,
coincidenti entrambi - secondo alcuni studiosi - con lo stesso Cortese,
editore della Vaiasseide il primo, autore della Tiorba a
taccone, sapientemente illustrata dall’Autrice nell’omonimo saggio,
il secondo. Vaiassa vale “servaccia”, secondo Pietro Paolo Volpe,
Vocabolario napolitano-italiano (Napoli 1869, rist. an. Bologna
1988) e da dialettologo mi piace ricordare che la parola, nella forma
bagassa, esiste anche nel nostro dialetto spezzino, dove vale
“donnaccia, prostituta” (forse dall’a. fr. baiasse “serva,
ragazza”). Il Cortese pubblica nel 1621 Il viaggio di Parnaso,
poema dialettale burlesco in sette canti dove, come ci ricorda
Francesca, appare per la prima volta il personaggio di Pulcinella. E
Pulcinella la fa da padrone nei due saggi I mille volti di Pulcinella
e Repertorio di “lazzi” per Pulcinella. Sempre Napoli, infine,
protagonista dei saggi Il presepe napoletano e La Cappella San
Severo.
L’altro filone caro all’Autrice, s’è detto, è quello
della letteratura al
femminile. Ed ecco allora che troviamo personaggi come Dalila nelle
varie interpretazioni di famosi pittori (e, noterete, tra Sansone e
Dalila l’Autrice parla quasi esclusivamente di lei), Madame de Sévigné, dame de plume, il cui personaggio viene indagato a fondo
attraverso alcune delle molte lettere da ella scritte, Elisabetta Sirani,
che Carlo Cesare Malvasia, citato da Francesca come frequentatore della
sua casa, suo ammiratore e biografo, nell’opera in due volumi Felsina
pittrice vite de’ pittori bolognesi, definiva “Prodigio dell'arte,
gloria del sesso femminile, gemma d'Italia, sole d'Europa”, che
dipingeva
“da
homo, ma anzi più che da homo”,
immortaltrice
nei suoi
dipinti di forti figure femminili dell’antichità, come Giuditta,
Timoclea e Porzia, quest’ultima cantata anche da
Faustina Maratti Zappi e,
ancóra Cristina
di Svezia, altra figura poliedrica e controcorrente. Uno stuolo di
donne, poi, ci viene presentato (né poteva essere altrimenti) nel saggio Giacomo il seduttore, e Francesca in modo ammiccante si sofferma
anche su qualche insuccesso del tombeur de femmes: il furto
subìto ad opera d’una prostituta, Marianna Charpillon, e il benservito
datogli da Henriette e da Manon. E altre figure femminili troviamo tra
pirati e corsari: in epoca romana, la regina illirica Tenta, nel
Medioevo, intorno al 1100, la vichinga svedese Aiwilda, nel 1300, in
Francia, Jeanne de Belleville, nel 1582 in Inghilterra lady Elisabeth
Killigrew, al tempo dei filibustieri Anne Le Long e poi Anne Bonney e
Mary Read, William Protherow e Mary Lacy, donne marinaio, imbarcate
sotto mentite spoglie maschili.
Ma molte altre
letture sono possibili di questa corposa summa: la pittura,
l’architettura, il barocco, l’illuminismo, Napoli barocca … Francesca
Santucci rende semplice e piacevole anche la materia più ostica (il
secentismo fronzuto, per scomodare Guido Gozzano), presentandocela
filtrata attraverso le sue diverse ottiche, che vanno dal rigore
filologico (testimoniato dall’impalcatura del lavoro e dall’apparato di
note e bibliografico) ad una curiosità tipicamente e piacevolmente
femminile, e producono opere avvincenti, leggibili e metodologicamente
valide.
Pier Giorgio
Cavallini, La Spezia, febbraio 2009