Francesca Santucci
LE RADICI DI ANTONIA POZZI
(antologia AA.VV., La parola nuda. Antonia Pozzi, Euterpe APS 2024), .
Pensare d’esser sepolta qui non è nemmeno morire: è un tornare alle radici.1 (A. Pozzi) È a Pasturo, nella conca della Valsassina, adagiata sulle pendici orientali della Grigna Settentrionale una delle più famose montagne di Lecco che, con la sua sagoma elegante, domina il lago di Como, (secondo la leggenda un tempo una guerriera bella ma crudele che viveva in un castello nei pressi del Lario, da Dio trasformata in monte per aver fatto uccidere un prode cavaliere innamorato di lei), che è sepolta Antonia Pozzi, raffinata poetessa prematuramente mancata, torturata, come scrisse nella poesia “Sgorgo”, dalla troppa vita che le scorreva nel sangue. Nata a Milano il 13 febbraio 1912 e qui deceduta il 3 dicembre 1938, figlia di un importante avvocato milanese, Roberto Pozzi, e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani, crebbe in un ambiente colto, ebbe amicizie stimolanti (i compagni del Corso di Estetica tenuto dal professore Antonio Banfi, intellettuale estraneo al fascismo) e si laureò con lode in Lettere e Filosofia nel 1930. Intelligente, ipersensibile, ricca di talenti, vitale ma in crisi con il chiuso clima religioso familiare, traeva consolazione alle sue inquietudini dall’amata terra lombarda, sulla quale progettava anche di scrivere un romanzo storico. La sua giovinezza fu illuminata dall’amore, corrisposto ma impossibile da vivere, per il suo professore di liceo di greco e latino, Antonio Maria Cervi, di diciotto anni più grande di lei e di condizione sociale inferiore, al quale dovette rinunciare ostacolata dal padre, ma, fra il dolore per il romantico sogno infranto e la rabbia per la forzata rinuncia, nonostante non si vietasse, poi, nuove illusioni amorose, continuò a scrivergli per tutta la sua breve vita, eternando nella poesia il sentimento soffocato nella realtà. Sempre serpeggiante in lei la vena di un’infelicità esistenziale, turbata la sua mente libera dal cupo clima politico del tempo (allora l’Italia era in piena dittatura fascista), maggiormente quando molti dei suoi più cari amici furono colpiti dalle leggi razziali, a soli ventisei anni, nel prato antistante all'abbazia di Chiaravalle, in preda a una disperazione morale, come scrisse nel biglietto di addio ai genitori, si tolse la vita ingerendo una dose letale di barbiturici. Fu ritrovata ancora viva, distesa sulla neve, con un’acutissima polmonite causata dal gelo della notte. Morì poche ore dopo. La famiglia negò il suicidio, considerato scandaloso, attribuendo il decesso alla polmonite. Desidero di essere sepolta a Pasturo, sotto un masso della Grigna, fra cespi di rododendro. Mi ritroverete in tutti i fossi che ho tanto amato. E non piangete, perché ora io sono in pace. La vostra Antonia.2
In rispetto della sua volontà, fu seppellita a Pasturo, dove
la sua agiata famiglia aveva una casa di villeggiatura,
una grande villa settecentesca acquistata dal
padre nel 1917. Qui Antonia si era recata per trascorrere le vacanze
estive fin da quando aveva sei anni,
considerando sempre questo paesino, rapita dalla bellezza della natura,
dai colori e dalle varie sfumature delle stagioni, dalle sue cime, dalle
nevi, dalle valli, dai prati, dai torrenti, dalle rocce, dai boschi di
faggi, abeti, pini, legata molto anche ai suoi abitanti, un luogo
dell’anima. Quando dico che qui sono le mie radici non faccio solo un’immagine poetica. Perché ad ogni ritorno fra questi muri, fra queste cose fedeli e uguali, di volta in volta ho deposto e chiarificato a me stessa i miei pensieri, i miei sentimenti più veri.3 Oggi, nonostante le trasformazioni subite, è possibile visitare la sua casa-museo, due stanze all’ultimo piano, e ammirare nella prima stanza foto, documenti, oggetti di famiglia e tutte le sue pubblicazioni; nella seconda, la camera personale di Antonia, il suo tavolo/ scrivania, i quaderni, i quadretti, i ritratti di persone a lei care, foto sue o da lei scattate o acquistate durante i viaggi, suoi disegni, l’attrezzatura di montagna (sci, piccozza, zaino per le escursioni), la racchetta da tennis, il frustino da cavallo, e persino le bambole e gli orsacchiotti di quando era bambina. Testimonianza del reciproco affetto che legò poetessa e abitanti ventidue pannelli che riportano suoi versi e fotografie legate al territorio e il percorso che si snoda fra le vie del paese, nei luoghi da lei immortalati, omaggio dei pasturesi alla memoria di Antonia Pozzi, che, come desiderato, riposa nel piccolo cimitero locale, vegliata per l’eternità il suo sepolcro da un Cristo in bronzo. Un anno prima di morire, il 10 settembre 1937, così aveva scritto nel suo diario: Pensare d’esser sepolta qui non è nemmeno morire: è un tornare alle radici. 4
1A. Pozzi, Diari, a cura di A. Cenni e O. Dino, Milano 1988, p. 380. 2 A. Pozzi, Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938, a cura di G. Bernabò e O. Dino, Milano 2014, p. 314. 3 Lettera del 14 aprile 1935. 4 Op.cit.
Bibliografia A. Cenni, In riva alla vita Storia di Antonia Pozzi poetessa, Rizzoli, Milano 2022. A. Pozzi, Diari, a cura di A. Cenni e O. Dino, Libri Scheiwiller, Milano 1988. A. Pozzi, Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938, a cura di G. Bernabò e O. Dino, Milano 2014. Antonia Pozzi. Nelle immagini l’anima: antologia fotografica, a cura di L. Pellegatta e O. Di
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