Francesca
Santucci
QUEL CHE
RESTA È L’AMORE
nota alla
raccolta poetica di Eleonora Bellini
(Eleonora Bellini,
“Le ceneri del poeta”, Edizioni Orizzonti Meridionali, 2011)
“Chi ti
tiene?Indovina”. Ed io: “La Morte”.
Ma argentina sonò allora in risposta
la voce: “Non la Morte, ma l’Amore”.
(E.B. Browning,
“Sonetti dal portoghese”, I)
Brilla come un
astro luminoso nel nero della notte “Le ceneri del poeta”, pubblicata
dalle Edizioni Orizzonti Meridionali, la nuova raccolta poetica di
Eleonora Bellini, raffinata poetessa, scrittrice, saggista, traduttrice,
anche autrice di testi per bambini. Compresa fra due componimenti di
diverso respiro, “Venticinque aprile” (a celebrare tutti coloro, uomini
e donne di ogni età, razza, categoria sociale, credo politico e fede
religiosa, che si batterono per la libertà dal nazifascismo, giorno di
festa in cui “per un mattino chi è morto torna vivo”) e
“Cenerentola” (a proclamare la prigionia dell’anima angustiata dal
lutto), si articola come una partitura musicale in tre tempi che in
diverso modo declinano la stessa nota dolente: “Cendres”, “Le ceneri del
poeta”, “L’altro tempo”.
Nella prima parte (“Cendres”) il discorso è “politico/sociale”, il tempo
è quello dell’indignazione, contro le guerre, contro la discriminazione
sociale, contro le “volgarità del potere”. In accorata, amara
riflessione l’autrice svolge una tematica specificatamente civile, lo
sguardo attento alle difficoltà dell’integrazione degli immigrati, del
difficile vivere quotidiano per i nuovi derelitti (gli extracomunitari,
i clandestini, i barboni), in una società che si proclama multirazziale
e promette pari opportunità, ma che poi si rivela deludente e disumana,
discriminando ed emarginando, rimangiandosi tutte le promesse di una
vita per tutti migliore e dignitosa.
Esemplare nel rappresentare le speranze deluse, le aspettative
disattese, soprattutto due componimenti: “Proviamo a cambiare le parole”
e “Centro d’accoglienza”.
Più strettamente biografico, vero cuore della raccolta, il racconto
poetico sviluppato nella seconda e terza parte (“Le ceneri del poeta” e
“L’altro tempo”), rispettivamente il tempo del lutto e il tempo della
sua elaborazione, dove a regnare sovrani sono l’assenza, il silenzio, la
solitudine, il vuoto, e poi la quieta rassegnazione, la fede (o
l’illusione); qui dolente e triste diviene la nota, spaziando l’indagine
intimistica nel dolore personale, raggiungendo l’autrice vette
espressive altissime soprattutto laddove, in accenti più toccanti,
rievoca e rimpiange l’Affetto più caro irrimediabilmente perduto, il
sogno d’amore che la morte è venuta ad infrangere.
Nella seconda parte, “Le ceneri del poeta” (da cui il nome dell’intera
silloge), le liriche prendono il titolo proprio dalle date maggiormente
dolorose del recente lutto (“Lenta malattia che arrota i giorni, che
la notte/ torce veglia e sogno. Stringe”, “Senza tempo”), la
scomparsa dell’ amato compagno (il “Poeta”), a partire dagli esatti
giorni della dipartita e del rito funebre (“Ventisei marzo” e “Ventinove
marzo”, e poi “Cinque giugno”, ”Sette giugno”, “Ventisei agosto”, “Primo
settembre”, Ventitre settembre”, “Ventisei novembre”), scandendo in
successione, simili a lugubri rintocchi di campana, i momenti della più
intensa mestizia.
Simili a perle che, silenziosamente, scivolano via da una collana in un
cassetto, l’autrice dipana ora versi malinconici e romantici in cui
anche gli “oggetti”, le “creature” della natura, compartecipano,
suggerendo somiglianze e corrispondenze con i suoi stati d’animo (le
conchiglie minuscole raccolte sulla spiaggia a simboleggiare i ricordi,
l’ortensia il colore degli occhi dell’amato, le parole di lui paragonate
a violini, le api e le farfalle volanti a significare i sogni infranti,
i pesci volanti la vita e la morte), versi piani, quasi rassegnati,
forte della convinzione che l’Amore non viene diviso dalla Morte, che la
Morte non è annientatrice, non separa ma in qualche modo unisce, e che
ininterrotto permane il colloquio con chi più non appare, la cui
presenza è tangibile, e con il quale, in qualche modo, prima o poi, ci
si ricongiungerà.
La “nera signora” non viene a turbare il lungo legame; come l’abbandono,
fissa, cristallizza, eterna gli affetti, gli amori. Il lutto non divide,
“stringe”, perché la vita e la morte non sono contrastanti,
sono come “pesci volanti-vivono d’acqua e d’aria” (“Agosto”).
L’amore non si può più vivere ma resta per sempre (“Rimane ciò
ch’era nostro e non si estingue”, “Primo inverno”), come un fiore
di serra costretto a vivere al riparo, che non può più nutrirsi
dell’aria e del sole e del vento e dei mieli dolci delle api, ma che
pure sopravvive.
“Troverà quiete forse questo amore/ urlante e lacerato e che
rimbalza/ tra la mia solitudine e il suo nulla” auspica per sé
l’autrice nella lirica “Ventisei agosto”, ma ecco che, improvviso,
proprio quando l’animo pare quasi acquetato, consolandosi nel ricordo e
nella speranza del ricongiungimento, nel silenzio e nell’intimo
raccoglimento si leva, quasi grido, l’urlo della “carne” che si ribella
allo strazio dell’assenza, che reclama la presenza. Ma tutto è inutile
di fronte alla Morte, siamo tutti inermi, non si può ridestare dal sonno
eterno chi non c’è più ed ancora accanto a noi vorremmo.
“Cenerentola” (dal nome della fanciulla del focolare, protagonista di
una delle più celebri favole, e “favole” è proprio un termine ricorrente
nella raccolta: ”la favola ha perso il lieto fine”, in “Centro
d’accoglienza”; “Così l’immortalò la favola”, in “Ventisei
marzo”; “e favole, e favole e favole”, ”in Ventisei novembre”; “Tutte
le favole si sono infilate/nella fuga delle mattonelle”,
“Cenerentola”), il componimento che chiude la raccolta con un’immagine
di solitudine (la stanca fanciulla che parla alla ramazza) viene a
sancire la fine della “favola”, dell’illusione che ha nutrito,
vivificato, reso forti: il sogno d’amore.
Della favola personale, però, non resta solo la “cenere” (residuo
finale, simbolo e segno della debole e fragile umana condizione,
dell’essere il Nulla sospeso nel Mistero), quel che resta è l’Amore, e
l’ultimo importante dono della donna al suo uomo, della poetessa al suo
poeta è l’accorato canto con cui consacra ed eterna l’immortale
Sentimento.
Poesia diretta ed intensa quella di Eleonora Bellini, attenta alla
realtà circostante, capace di puntare il dito in un preciso j’accuse
contro la società, ma anche rarefatta, soave, elegante, pudica, composta
nel dolore, scevra da esacerbate effusioni emotive e densa di preziose
suggestioni, quando, travalicando il sociale, non sottace il personale
ma, inerme, magistralmente raggrumando le emozioni più intime, riesce a
convertire le ombre cupe del suo tormento in versi luminosi ed armoniosi
di straordinario pregio letterario ed elevata cifra stilistica, da
consegnare agli occhi del lettore nell’intatta purezza.
Francesca
Santucci, settembre 2011