Francesca Santucci

LA TRAGEDIA DI MAYERLING

 

(pubblicato nella rivista libro della 20° edizione del Trofeo Penna d'Autore 2014)

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Scosse il mondo intero la tragedia di Mayerling, non soltanto drammatico epilogo della romantica storia d’amore, impossibilitata ad avere un futuro, fra l’arciduca Rodolfo d’Asburgo, erede al trono dell’imperatore d’Austria e d’Ungheria, e la baronessina Maria Vetsera.

Giunti al castello di Mayerling, residenza di caccia imperiale, il 29 gennaio 1889, quel fatale lunedì Rodolfo e Maria rimasero chiusi nelle stanze, e nessuno, tranne il servo, seppe della presenza della giovane. Per tutto il giorno prepararono lentamente il loro congedo dalla vita: scrissero lettere d’addio, cenarono, ascoltarono le canzoni cantate da Bratfisch, poi si ritirarono. Alle undici di sera il castello sprofondò nel silenzio. Rodolfo, che aveva indetto per l’indomani una battuta di caccia, alla quale aveva invitato due suoi amici, si alzò all'alba. Maria dormiva ancora. Delicatamente le si avvicinò, le puntò la canna della pistola alla testa, e fece fuoco. La baronessina morì all’istante, nel sonno. Poco dopo il servo Loschek bussò alla porta. Rodolfo gli aprì apparentemente tranquillo e gli chiese di preparare la carrozza per la caccia e di servire la colazione un’ora dopo. Richiuse la porta, andò a prendere dei fiori, li sparse sul corpo ormai inerte della giovane, lesse le ultime parole vergate da Maria, È bello poter dire a qualcuno ti amerò sempre ... e sapere che è vero!, poi le si stese accanto, impugnò la pistola, la puntò alla tempia e, quando sentì il freddo della canna contro la nuca, schiacciò il grilletto.

Lui solo pochi giorni prima le aveva regalato un anello che recava incisa questa frase: In Liebe vereint bis in den Tod-Uniti nell'amore fino alla morte

Lei, nella sua ultima lettera alla madre, aveva scritto: Poiché non ho potuto resistere all'amore vado con lui.

Maria Vetsera era nata il 19 marzo 1871 e aveva trascorso quasi tutta l'infanzia e l'adolescenza seguendo in giro per il mondo sua madre e suo padre, un piccolo nobile ungherese che si era dato alla diplomazia. Era bella Maria, aveva occhi d'un azzurro cupo, un nasino grazioso e impertinente, un volto leggiadro, capelli lunghissimi. Si era innamorata di Rodolfo vedendolo qualche volta di sfuggita al Prater (il parco naturale di Vienna), e in casa la sua “passione” per il principe ereditario era nota a tutti, ma non veniva presa sul serio. Anche la contessa Maria Larisch, cugina di Rodolfo, la considerava con leggerezza, perciò si prestò a portargli un suo messaggio d'amore. Diceva: Una che le vuole bene le manda un saluto affezionato. Maria, invece, faceva sul serio, e non tardò a chiedere alla contessa di essere presentata a Rodolfo.
La Larisch acconsentì a organizzare l’incontro, e il 5 novembre 1888 di nascosto le due donne salirono nella carrozza di Bratfisch, il cocchiere fidato di Rodolfo, e raggiunsero il palazzo imperiale. Qui, a una porticina di servizio, li attendeva un vecchio servitore, che le guidò fino all'appartamento privato del principe, subito gentile e premuroso con le due ospiti.
Maria notò che il suo volto era pallido e stanco e che i suoi occhi avevano un luccichio febbrile, e notò anche che sul suo scrittoio c’erano un teschio e una pistola. Gli domandò perché stessero lì, e il principe sorrise enigmaticamente, senza rispondere. E accadde qualcosa che la Larisch non aveva previsto: Rodolfo rimase affascinato dalla giovane e le chiese di tornare presto, presto! E Maria ritornò più volte: ormai aveva donato per sempre il suo cuore al principe triste, e non pensava che a renderlo felice, e a scacciare dalla sua mente l'ombra sinistra di quel teschio e di quella pistola.
E, così, tra un incontro clandestino e l'altro, complice sempre la contessa, si arrivò al gennaio dell'anno successivo. Il giorno 13 la baronessina scrisse a una amica: Ieri sera fui da lui, tra le 7 e le 9. Perdemmo tutti e due la testa.
Due giorni dopo comprò per Rodolfo un portasigarette d'oro sul quale fece incidere le parole: 13 gennaio, grazie al destino.
E Rodolfo regalò a Maria un portasigarette d'acciaio con fermaglio di zaffiro, un braccialetto, un anello di ferro, a forma di fede nuziale, che portava incise all'interno le lettere IL.V.B.D.T., cioè le iniziali delle parole che formavano la frase “In Liebe vereint bis in den Tod” (uniti nell'amore fino alla morte): una ben strana frase per un dono d’amore ad una giovinetta!

Rodolfo d'Asburgo, l'unico figlio maschio dell'imperatore Francesco Giuseppe, era nato il 21 agosto 1858. Colto, sensibile, fragile, solitario, era in profondo contrasto con il severo padre. Secondo Rodolfo l'impero austriaco si stava avviando verso la catastrofe e, per scongiurare il peggio, occorreva rinnovare la politica retriva della corte, andare incontro ai bisogni del popolo, accogliere le idee “liberali” del secolo. Nonostante discendesse da un’antichissima casa regnante, ammirava la rivoluzione francese, stimava la repubblica, e odiava gli imperi di Russia e di Prussia con tutto ciò che essi rappresentavano, ma le sue idee non erano condivise dall’imperatore Francesco Giuseppe, che aveva un altissimo concetto della propria missione di sovrano, non divideva le cure dello Stato con nessuno e, attaccato alla tradizione, riteneva pericolosa ogni novità.

Quando Rodolfo conobbe Maria il contrasto tra l'imperatore e il figlio era arrivato a un momento drammatico. Rodolfo era stanco ed esasperato da una situazione che non gli consentiva vie d'uscita, e non voleva assistere da spettatore al declino di un impero che, riteneva, sarebbe finito nelle sue mani quando, purtroppo, sarebbe stato impossibile arrestarne lo sfacelo: ma cosa poteva fare? Porsi apertamente contro il padre? Promuovere una congiura militare che lo aiutasse a salire sul trono al posto di Francesco Giuseppe?
Rodolfo aveva ereditato dalla madre l’esasperato romanticismo e la vena di fragilità psichica dei principi di Baviera da cui lei discendeva; era un sognatore, e in quel fatale autunno del 1888 era un uomo in crisi non solo come principe ma anche come marito. Voleva, infatti, sciogliere il matrimonio che lo legava a Stefania del Belgio, che pure aveva amato, voleva riacquistare la libertà per poter avere quel figlio maschio che lei non gli poteva dare, giacché, dopo la nascita di una bambina, i medici avevano sentenziato che non sarebbe diventata madre mai più. Rodolfo aveva bisogno di un erede diretto, altrimenti sarebbe stato soppiantato nella successione. E da chi? Da qualcuno retrivo come suo padre, che avrebbero continuato l'opera dì “seppellimento” dell'impero condotta ora da Francesco Giuseppe. La richiesta di annullamento del matrimonio tuttavia  restò inascoltata dal papa, che informò di tutta la faccenda l'imperatore d'Austria, il quale convocò il figlio nel suo studio e, alla presenza di pochi testimoni, gli fece una scenata terribile, al termine della quale gli'impose seccamente di rompere la sua relazione con la baronessina Vetsera.
Il concitato colloquio si svolse nel primo pomeriggio del 26 gennaio. La sera successiva ebbe luogo un ballo all'Ambasciata di Germania, e Maria vi partecipò con la madre. Era, quello, il suo ingresso ufficiale in società, e quando Stefania del Belgio, che rappresentava l’imperatrice Elisabetta, assente da Vienna, passò in mezzo agli invitati, da tutti cerimoniosamente omaggiata, solo Maria, splendida nel suo vestito azzurro chiaro orlato di giallo, non s’inchinò, gli occhi fissi su Rodolfo che, in alta uniforme, accompagnava la moglie. Mentre già lo scandalo dilagava, la baronessa Vetsera afferrò la figlia per il braccio e la costrinse a inchinarsi, e poi la trascinò via, furente. Il tragico finale della vicenda avvenne qualche giorno dopo.
Era il 30 gennaio  del 1889 quando, nella tenuta di caccia di Mayerling, immersa nella neve, fra boschi di pini e di betulle, lontana dalla corte, si consumò il dramma. All'alba furono uditi due spari, poi ci fu la macabra scoperta dei due corpi senza vita ad opera del cameriere personale dell'arciduca.
Disperazione dei due amanti che li condusse ad un doppio suicidio, un omicidio ed un suicidio, Maria assassinata perché a conoscenza di segreti scottanti e Rodolfo perché avrebbe rotto l'alleanza dell'Austria- Ungheria con la Germania: tutto avvolto nel mistero, occultato, romanzato. Dramma passionale o congiura politica, molte ombre avvolsero la tragedia, anche se fu subito accreditata la tesi dell'omicidio- suicidio, avvalorata dal fatto che Maria era morta un'ora prima di Rodolfo e che, dall'autopsia effettuata sul corpo dell'arciduca, risultò che effettivamente lui era morto per un colpo alla tempia.
Subito dopo il ritrovamento dei cadaveri il corpo di Rodolfo fu trasportato all'Hofburg, quello di Maria, che aveva solo diciotto anni, ad Heiligenkreuz, a cinquanta chilometri da Vienna, seduta in una carrozza con un pezzo di legno dietro la schiena per tenerla in posizione eretta sì da sembrare viva, e seppellita a mezzanotte nel cimitero locale.
Nel 1992 questa tragica storia, ancora avvolta dal mistero, balzò nuovamente alle cronache quando il quotidiano popolare "Kronenzeitung" pubblicò la notizia del trafugamento della bara di Maria e dell'acquisto delle sue ossa polverose, riposte in tre scatole di metallo, da parte del signor Helmut Flatzelsteiner, un facoltoso commerciante di mobili, e riprese a suscitare interrogativi.
Comunque siano andati realmente i fatti, che si sia trattato di complotto politico o di drammatico finale di una storia d'amore impossibilitata a trovare sbocchi nella realtà, rimane pur sempre un innegabile dato di fatto: due corpi ritrovati senza vita, di un uomo e di una donna davvero uniti nell'amore fino alla morte.
Oggi, sul luogo dove si consumò la tragedia, sorge un convento carmelitano, voluto dall'imperatore Francesco Giuseppe per ricordare il dramma di Mayerling. 

 

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