Francesca Santucci
LA NUVOLA E L’ABETE
(dall'antologia AA.VV, Ninna nanna ti racconto una favola,
Apollo edizioni
2019)
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Era il mese di novembre, ma, pur essendo autunno inoltrato, non faceva
freddo, il cielo era insolitamente azzurro e chiaro splendeva il sole.
Sembrava che fosse ritornata la bella stagione, ma l’estate pazza di San
Martino tra poco sarebbe finita, il tepore avrebbe ceduto il passo a
un’aria fredda e pungente che, lentamente, avrebbe avviluppato persone e
cose, e il vento prepotente si sarebbe presentato e avrebbe spinto via le
nubi fluttuanti e spogliato gli alberi delle loro foglie ormai ingiallite
che, prima di cadere a terra, volteggiando nell’aria come stanche
farfalle, avevano cambiato colore, mutando dal verde al rossiccio al
marrone. Infine, un fitto velo di nebbia avrebbe avvolto la terra, rubando
a ogni cosa i colori che il pallido sole non avrebbe potuto restituire. E
così, pian pianino, si sarebbe scivolati nel gelido silenzioso inverno,
dove le erbe seccate imbiancate dalla brina sarebbero diventate lucenti
decorazioni e gli specchi d’acqua lastre di ghiaccio.
Nel cielo turchino
una candida nuvola, che l’insolito vento tiepido novembrino non era
riuscito a spazzar via, splendente come una stella, quando il sole la
illuminava con i suoi raggi d’oro, non voleva arrendersi al pensiero che
quell’estate fugace sarebbe terminata. Era triste, perché per giorni e
giorni aveva guardato da lontano un meraviglioso albero sempreverde, un
maestoso abete fra le cui fronde, generosamente, aveva visto accogliere
gli uccelli più disparati, cuculi, cinciallegre, cinciarelle, usignoli,
capinere, che avevano ripagato la sua bontà allietandolo con le loro voci:
i cuculi ripetendo il loro buffo verso,
le cinciallegre con il loro canto vario e melodioso, le cinciarelle con un
canto più articolato, gli usignoli con melodie dai toni forti e chiari, la
capinera con il suo piacevole chiacchiericcio.
E l’abete lungamente aveva guardato quella nuvola lieve e delicata, che
pareva danzare nel cielo sulle note di una musica invisibile, spostandosi
leggiadra un po’ qui un po’ là.
Entrambi sospiravano per la lontananza, per la distanza che li separava,
struggendosi per l’impossibilità di vedersi quando le luci del giorno si
spegnevano e la notte sprofondava tutto e tutti nel buio, tuttavia
fiduciosi che, dissipate le ombre, si sarebbero ritrovati.
E, infatti, quando l’allodola
innalzandosi in volo in verticale e riprecipitando rapidamente sull’erba
cominciava a intonare il suo canto annunciando il mattino,
rischiarato il cielo, i cuori della nuvola e dell’abete esultavano di
gioia: ma ora erano consapevoli che il distacco era imminente. L’inverno
avrebbe steso una grigia coltre fra cielo e terra, e difficile sarebbe
stato rivedersi.
-Il vento, quando diventerà gelido, mi scaccerà via!- pensava ad
alta voce affranta la nuvola.- Come posso fare perché l’abete non si
dimentichi di me? Potrei chiedere proprio al vento, ora, di aiutarmi,
spostandomi appena appena così da trovarmi nell’esatta direzione dello
sguardo del mio albero e ripararlo, almeno una volta, dai raggi del sole,
così ardenti per lui quando alto nel cielo l’astro infuocato sale.-
-Il vento diventerà gelido da un momento all’altro e così scaccerà via
la mia nuvola ed io non la rivedrò più!- pensava a voce alta
sconsolato l’abete.-Come posso fare perché non mi dimentichi?
Potrei donarle la foglia più bella dei miei rami e chiedere proprio al
vento di portargliela. -
Il vento, insolitamente docile, che si trovava a passare da quelle parti,
udì sia i sospiri sia le parole della nuvola e dell’abete e decise di
aiutare i due innamorati. E così, lieve lieve, soffiò una brezza fra i
rami e scosse una fronda dell’abete, che lasciò cadere una foglia,
bellissima, ad aghi disposti a spirale. Con le sue ali la raccolse e la
portò su su, molto in alto, fino alla nuvola, che molto apprezzò il dono
dell’albero e l’aiuto del vento.
Fattasi ardita, la nuvola con garbo, gli chiese:
-Vento gentile, ora aiuterai anche me? Mi condurrai fin sulle
verdi cime dell’abete? -
E il vento con un soffio annuì e lentamente sospinse la nuvola verso
l’abete.
Portata a termine la sua missione, rapido, il vento si allontanò, ma né la
nuvola né l’abete, l’uno in contemplazione dell’altro, si accorsero di un
nero nuvolone gigante che, rapido come una fiera, minaccioso incombeva.
Accadde tutto in un attimo: il nuvolone avanzò e, oscurato il sole,
approfittando del buio, si avvicinò alla piccola nube e, proprio come un
lupo che cattura l’agnellino, con ferocia la ghermì e la scacciò.
L’abete, immobile, impossibilitato a portare aiuto alla sua nuvola,
insieme a tutte le creature del bosco similmente impotenti, impietrito
assistette alla macabra scena. E, quando dal cielo incupito e brontolante
di tuoni si scatenò il temporale e cominciarono a cadere i primi
goccioloni di pioggia, pensò che dovevano essere le lacrime della sua
nuvoletta, e il suo pianto sconsolato si confuse con quelle lacrime.
La nuvola, però, del tutto non scomparve, perché mai il suo ricordo svanì
dall’abete, che sempre a lei ripensò come alla nuvoletta più bella e
leggiadra che avesse mai visto.
Nel cielo sospesa lontana
una nuvola un abete guardava.
Scoppiò fra loro l’amore
che forte crebbe nel loro cuore.
Il vento rapido e leggero
tra i due innamorati si fece messaggero.
Ma un nero nuvolone rapido arrivò
e la nuvola dal cielo turchino scacciò.
Rimasto solo l’abete tanto pianse
e sempre nel suo cuore la rimpianse.
Ma la nuvola del tutto non sparì
perché l’abete a lei pensò notte e dì.