Francesca Santucci

 

L'AMORE NON UCCIDE

 

 

(dall'antologia AA.VV., ““No alla violenza contro le donne”.”, Historica edizioni 2024)

 

 

 

 

L'amore è paziente, è benigno l'amore;

non è invidioso l'amore, non si vanta, non si gonfia,

non manca di rispetto, non cerca il suo interesse,

non si adira, non tiene conto del male ricevuto,

 non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità.

Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

 L'amore non avrà mai fine.

(Prima lettera ai Corinzi 13:4-8 NR94)

 

 

L’Orco, il dio degli inferi, nelle favole e nelle fiabe mostro dall’aspetto umano repellente, gigantesco, barbuto, peloso, con i capelli ispidi e folti, la bocca enorme, dalla voce cavernosa, abitatore di tetre paludi o grotte oscure, malvagio divoratore di carne umana, soprattutto di bambini; Barbablu, uomo ombroso che ammazzò sei mogli e le appese al soffitto, morendo, infine, in duello trafitto dalle spade dei fratelli dell’ultima moglie; Monsieur Landru, bruto assassino che adescava le donne e le uccideva strangolandole per impossessarsi dei loro beni.

Erano questi i mostri che terrorizzavano mia sorella e me quando eravamo piccole. Mai avremmo immaginato che, da adulte  ci saremmo imbattute anche noi in un Orco dalle sembianze umane, dalle cui grinfie,  purtroppo, però, per mia sorella non ci sarebbe stato scampo.

Lei lo conobbe all’Università, frequentavano lo stesso corso. Rimase abbagliata dai suoi modi gentili, dal garbo che aveva verso tutti e dalle attenzioni particolari che le dedicava. Era piacevole d’aspetto e atletico, infatti praticava diversi sport che avevano conformato il suo fisico in modo armonioso.

La sua vita era ineccepibile! Bravo figlio, nipote affettuoso, buon amico, studente modello, rispettoso verso gli altri, non una sbavatura sul suo profilo di bravo ragazzo. Facile fu per mia sorella innamorarsene e concedergli la sua piena fiducia e il suo amore, che lui ricambiava con pari, se non superiore, intensità.

Nei suoi sogni di ragazza già s’immaginava un futuro insieme a lui, dopo aver conseguito la laurea che tanto desiderava e nulla togliendo alla possibilità di realizzarsi nella professione scelta.

Protesa verso gli altri, attiva nel volontariato, era anche avida di conoscere la vita, e desiderava tanto  viaggiare. La laurea, i viaggi, erano mete che sembrava condividesse anche il ragazzo del quale si era innamorata, ed invece, come un Giano bifronte, l’antica divinità romana, lui aveva due facce, e ben teneva celata quella in ombra, che per un po’ riuscì a nascondere ma che, quando emerse, in RABBIA e FURIA, causò DISTRUZIONE e LUTTO.

Piccoli indizi avrebbero dovuto mettere subito in allarme mia sorella che, invece, li sottovalutò.

Io, forse, avevo già compreso, e, con i sensi in allerta, cercai di metterla sull’avviso, ma lei, innocente e spensierata, appoggiata anche dalle sue amiche parimenti incoscienti, ignorò i miei avvertimenti.

La loro storia durò circa due anni. Inizialmente fu un idillio. Spettatrice attenta, avevo osservato crescere il loro sentimento, anche se qualcosa dentro di me, forse l’istinto o forse la mia diffidenza verso l’universo maschile, mi spingevano a dubitare.

Lui non poteva essere così perfetto, così bravo ragazzo, così gentile, così premuroso, così attento, sempre, forse troppo.  Infatti non tardò molto che le mie paure cominciarono a prendere corpo. La sua faccia in ombra cominciò lentamente ad emergere, divenne troppo presente nella vita di mia sorella, la seguiva ovunque come un cagnolino, ma se la fedeltà di un cane può fare piacere, essere seguita continuamente da un nostro simile, anche se ne siamo innamorate, può diventare pesante perché ci limita nella nostra libertà. Allora mia sorella cominciò a sentirsi oppressa, perché lui, in nome del loro amore, cominciò a pretendere che trascorressero insieme tutto il tempo libero, che non dovesse uscire con le amiche ma preferire sempre la sua compagnia. Naturalmente lei si ribellò alle sue imposizioni e cominciò a fare l’esatto contrario, cioè a trascorrer più tempo con le amiche, ma, non si sa come, dovunque lei andasse, riusciva sempre a trovarlo sulla sua strada.

Poi lui alzò il tiro e arrivò al punto di vietarle di uscire, e andò oltre, proponendole di non dare più esami, attendere che la raggiungesse per laurearsi insieme, ma mia sorella, ferma nel suo obiettivo, continuava a dare esami e a superarli brillantemente.

Infine un giorno la schiaffeggiò. A quel punto  lei aprì gli occhi e, nonostante le ripetute scuse e le lacrime che seppe copiosamente produrre, lo lasciò. Ma commise un errore, continuò a frequentarlo da amica, impietosita dalla sua disperazione, che di continuo le confidava, insieme ai pensieri suicidi che gli balenavano nella mente, spesso ripetendole:  “Se mi lasci del tutto mi uccido”.

Mancavano ormai pochi mesi alla laurea di mia sorella, che era in regola con gli esami, lui era ancora indietro. Già in casa pensavamo ai festeggiamenti, eravamo tutti felici, lui lo era meno.

Chissà cosa accadde nella sua testa! L’amore divenne ASTIO, la comprensione INTOLLERANZA, la gentilezza PREPOTENZA e, probabilmente, scattò anche l’INVIDIA per i suoi successi e la FRUSTRAZIONE per i propri INSUCCESSI.

L’amore NON OFFENDE, NON UMILIA, NON AGGREDISCE, NON COLPISCE, NON FERISCE, NON UCCIDE, l’amore NON è INVIDIOSO, POSSESSIVO, GELOSO, VIOLENTO, vuole il bene di chi si ama, ma lui lo dimenticò, o forse non lo aveva mai saputo.

Fu un crescendo. Il MOSTRO, ché tale ora lui era diventato (o forse lo era già prima), passò dalla misura all’ECCESSO, dalle premure alle IMPOSIZIONI, dalle attenzioni all’OSSESSIONE, dal desiderio di POSSESSO alle scenate di GELOSIA.

La spiava, la pedinava di nascosto, le inviava ripetuti  messaggi sul cellulare e, quando riusciva a strapparle un appuntamento (da mia sorella concesso oppressa  dal suo ricatto emotivo, temendo un gesto estremo), arrivava al punto di strapparle di mano il cellulare per leggere chi le scrivesse. Il suo amore divenne MORBOSO, MALATO.

L’errore di mia sorella fu quello di non confidarsi con noi, la famiglia, di tenere tutto per sé, parlando vagamente della sua situazione solo con qualche amica, per non preoccuparci, forse convinta di avere tutto sotto controllo.

L’epilogo fu tragico. Uscita una mattina per andare all’Università, non la rivedemmo mai più viva.

Il MOSTRO, insieme terrificante Orco, spaventoso Barbablu e terribile Monsieur Landru, l’AGGREDÌ, la PICCHIÒ BRUTALMENTE. Lei cercò di difendersi  ma fu tutto inutile.

Il suo corpo inerte venne ritrovato giorni dopo fra gli anfratti rocciosi di un bosco, fra le betulle e i pini: era morta per dissanguamento,  colpita con inaudita VIOLENZA con numerose coltellate alla testa e al collo.

In fuga per giorni subito dopo l’ORRIBILE DELITTO (io sperando che si togliesse la vita e pagasse con la sua la vita tolta a mia sorella), finalmente, ormai braccato dalla polizia, l’ASSASSINO fu arrestato.

Sono trascorsi giorni, mesi, anni, innumerevoli volte sono sfioriti e rifioriti i tigli, il sole è tramontato e la luna con il suo splendore in cielo è apparsa, il fiume ha mormorato alla primavera il suo fresco gorgòglio e ha taciuto gelato nell’inverno, le gazze all’aria hanno gridato stridule e i cuculi hanno ripetuto  il loro buffo verso, ma non dimentico, ancora mi urla dentro il dolore per la terribile morte di mia sorella.

Lui, il MOSTRO, l’ORCO CATTIVO, lo PSICOPATICO,  è ancora lì, in carcere, a pagare per il CRIMINE di cui si macchiò, e mi dispiace aver desiderato che si suicidasse. Deve espiare fino in fondo il MALE che fece, deve pagare per il suo DELITTO. Gli auguro che fino alla fine dei suoi giorni lo tormenti il rimorso per l’esistenza che brutalmente troncò, per aver CRUDELMENTE spezzato i sogni di una ragazza che, con tanto entusiasmo, si stava affacciando alla vita.

 

 

 

 

 

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