Francesca Santucci

 LA LITE

 

(dall'antologia AA.VV.,Racconti a tavola , Historica Edizioni  2023)

          

 

 

Fu una lite davvero memorabile quella che, tanti e tanti anni fa, scoppiò fra due agguerrite donne sul pianerottolo, al quarto piano,  di un caseggiato della popolare via Arenaccia n.113 di Napoli, tanto che, e non esagero, se fosse avvenuta nel Medioevo probabilmente sarebbe finita come fra i Montecchi e i Capuleti, cioè, in tragedia. Fortunatamente un ruolo decisivo nel ricomporre il dissidio lo ebbe il saggio don Peppino, marito di una delle due.

Le due litiganti in questione erano donna Nannina e donna Concettina.

Donna Nannina era alta, esile, con lampeggianti occhi verdi e capelli ora grigi, ma un tempo di uno squillante rosso mogano. Autorevole,  di forte tempra, era tenuta in grande considerazione da tutto il quartiere.

Napoletana verace, era nativa del Borgo di Sant’Antonio Abate  (‘o Bùvero 'e Sant'Antuono in napoletano) uno storico rione, risalente all’epoca medievale, famoso per il pittoresco mercato giornaliero dove, invogliati dalle grida dei venditori,  si può acquistare di tutto, frutta fresca e secca, ortaggi di stagione, pomodori di tutte le varietà,  carne, pesci, frutti di mare, formaggi, latticini,  pane, pizze,  rustici, dolci, vini, olio, articoli per la casa, capi di abbigliamento, giocattoli, e varia altra mercanzia a profusione esposta.

Un tempo era un quartiere malfamato, uno dei luoghi più peccaminosi della città. Nel ‘500, per volere di Don Pedro De Toledolo spietato viceré spagnolo che governò  Napoli col pugno di ferro,  la maggior parte delle case di appuntamento della città era concentrata proprio qui.

E fu in un vicolo del Borgo di Sant’Antonio Abate che fini malamente  Berardina Pisa, la moglie di Masaniello, nel 1648, dopo la morte del marito. La povera sventurata, infatti, ritrovatasi sola, ancora giovane e bella, priva di mezzi di sussistenza, senza aiuti, fu costretta a prostituirsi, spesso anche con soldati che, non di rado, nemmeno la pagavano, ma la derubavano e la picchiavano e, dispregiativamente, la chiamavano  "la duchessa delle sarde".

Così Salvatore Di Giacomo, nel suo libro La prostituzione in Napoli nei secoli XV, XVI e XVII, riassunse l’amaro epilogo dell’ esistenza di Berardina:

Fu in uno di questi vicoli a far copia di sé per vilissimo prezzo, nell'anno 1648, una povera donna che i soldati spagnuoli frequentavano più per deriderla che per goderla. […]Era Berardina Pisa, moglie di Masaniello d'Amalfi. Nata 'a 26 di luglio del 1625 la sciagurata aveva appena ventitré anni quando, per campare la vita, si prostituì al Borgo di Sant'Antonio,ove, finalmente, morì della peste del 1656  e lasciò di sé non obbrobriosa ma pietosa memoria.

Da questo borgo così particolare, quando si sposò, donna Nannina si trasferì in via Arenaccia, luogo un tempo famoso per i regolamenti dei conti; qui, infatti, anticamente i napoletani si incontravano per potersi azzuffare, perciò tra Settecento e Ottocento la zona era chiamata  “le giostre per gli appiccichi”, le giostre per i litigi.

Donna Concettina, invece, proveniva da Capri, ed era fiera di essere caprese. E come darle torto pensando agli splendidi scenari di quell’isola incantevole incastonata fra cielo turchino e mare smeraldino?

Era una donnona robusta, simpatica, gioviale, sempre sorridente, che aveva dovuto lasciare la sua isola per una serie di vicissitudini di cui taceremo (diremo solo che suo marito soggiornava nel carcere di Poggioreale…forse aveva scelto di stabilirsi a Napoli perché le era più agevole andare a fargli visita).

Entrambe erano donne tenaci e combattive e spesso si scontravano. Quel giorno l’oggetto di discussione fu la preparazione degli gnocchi alla sorrentina.

La disputa scoppiò quando la caprese si permise di sentenziare:

-E gnocchi non s’ anna fa cu e San Marzano, s’ anna fa cu e pummarolelle  d‘ ‘o piennolo!-

(Gli gnocchi non si devono fare con i San Marzano, si devono fare con i pomodorini del Piennolo).

Apriti Cielo! Successe il finimondo!

Gli gnocchi sono di origine antichissima. Il termine “gnocco”, deriverebbe addirittura dal longobardo knohhil, che indica il nodo del legno: infatti nell’anno Mille nelle campagne padane iniziò a circolare il termine italianizzato ad indicare nodini di pasta preparati con acqua e farina. Diffusi già in epoca rinascimentale, nel suo ricettario ne parlava anche il Cavaliere Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, un nobile napoletano nato ad Afragola nel 1787 e deceduto a Napoli nel 1859, discendente  del celebre poeta stilnovista Guido Cavalcanti, amico di Dante Alighieri.

In quel secolo lontano, il duca, cuoco e letterato, aveva dato alle stampe un libro di Cucina teorico-pratica, divenuto una pietra miliare della letteratura gastronomica italiana, contenente 600 ricette autentiche della cucina napoletana e 100 menu (25 per ogni stagione), in cui spiegava, in stile semplice, come preparare pietanze napoletane, che sarebbero poi diventate patrimonio della gastronomia italiana, come gli spaghetti con le vongole, la pasta e fagioli, il baccalà fritto, i panzerotti, le polpette, la frittata con le cipolle, le sfogliatelle e molti piatti tipici delle più importanti ricorrenze dell’anno (Natale, Capodanno, Carnevale, Pasqua).

Ebbene, in quel trattato, sconosciuto sia a donna Nannina che a donna Concettina, così sulla preparazione degli gnocchi si esprimeva:

 

Strangola prievete

Piglia lo sciore, e p e 12- perzone, pigliarraje doje rotola de sciore, e no ruotolo de semmola, mpastarraje ogne ncosa co no poco de sale, e no poco de nzogna , e acqua cauda, mena bona la pasta ma che non sia tanto tosta; doppo farraje tanta maccarune , e li tagliarraje comm’ a struttoli, e co doje deta li ncavarraje; quanno volle la caudara (che sia co acqua a grasso) nce li mine, e vidarraje ca quanno so cuotti se ne sagliano ncoppa all’acqua, allora ne li lieve da coppa a lo fuoco, e li meniestrarraje[…].
Già il duca chiamava gli gnocchi strangulaprievete (strangolapreti o strozzapreti). Secondo lo storico Vittorio Gleijeses questo strano appellativo deriverebbe da un aneddoto molto curioso riguardante l'abate Galiani, vissuto nel ‘700. 
Uomo di grande intelligenza e raffinata cultura, economista,  pensatore, filosofo, autore di saggi e testi di economia, grande conversatore di qualsiasi argomento, fisicamente sgraziato ma ricercato da tutti i salotti aristocratici di Napoli per il suo eloquio, l'abate Galiani era  noto per essere un ghiottone di questo primo piatto. Pare che un giorno, a causa della sua ingordigia, avesse rischiato  di strozzarsi proprio con un boccone di gnocchi, di qui il nome strangulaprievete, ma forse il nome deriverebbe  dal greco straggalào, arrotolare, e prepto, incavare, ad indicare l’incavatura dello gnocco,
Comunque sia, a Napoli gli gnocchi si esaltano col ragu domenicale, però sono di una delizia unica anche preparati più semplicemente, alla sorrentina, in felice connubio fra pomodoro e mozzarella.
Ebbene, quel giorno la lite scoppiò perché, non si sa come, la conversazione era scivolata su questa prelibatezza. Donna Nannina sosteneva che per condire gli gnocchi alla sorrentina bisognasse preparare il sugo rigorosamente con i pomodori San Marzano, donna Concettina con i pomodorini del Piennolo.
Dovete sapere che i San Marzano, una varietà di pomodori provenienti da San Marzano sul Sarno, nati da semi donati dal Regno del Perù al Regno di Napoli nel 1770 e piantati per la prima volta in questa zona sono di un colore rosso brillante, hanno la forma allungata, una polpa compatta e succosa, pochi semi, il gusto ricco, e con la cottura non perdono il loro sapore vivace.
I pomodorini del Piennolo, invece, diffusi alle pendici del Vesuvio, che beneficiano del terreno vulcanico e del sole generoso, perciò sono di un colore così ardente, hanno forma ovale, l’apice appuntito, la buccia e la polpa di colore rosso vermiglio, il sapore intenso, con punte  che virano verso il tipico gusto acidulo e salino.
Ebbene, donna Nannina sosteneva che i pomodorini del Piennolo, avendo, appunto, un retrogusto un poco acidulo,  andavano bene per aggiungerne qualcuno in un sughetto aglio e olio per condire i vermicelli, o per un tocco di colore nel brodo o in una pasta e patate, non per condire gli gnocchi, che necessitano di un sugo più dolce, ma donna Concettina non era d’accordo, e, con calore pari a quello della rivale, difendeva la sua tesi.
Da appassionata difesa delle proprie convinzioni la lite cominciò, poi, ad assumere toni più accesi. Donna Nannina chiamò donna Concettina capera1 e l’altra di rimando la chiamò vaiassa2, poi qualcuno s’inserì nella diatriba rincarando la dose, aggiungendo che, “ ‘a caprese”  non solo non preparava il sugo con i San Marzano, ma, probabilmente,  faceva pure l’impasto degli gnocchi  solo con la farina e li condiva con il fiordilatte invece che con la mozzarella ben sgocciolata.
A quel punto, a sedare gli animi infuocati, prontamente intervenne don Peppino che, salomonicamente, sentenziò che a casa sua ognuno poteva cucinare come gli pareva, e che, comunque, gli gnocchi si potevano condire benissimo una volta col sugo dei pomodori San Marzano e un’altra con  quelli del sugo dei pomodorini del Piennolo, tanto, concluse, sempre gnocchi alla sorrentina, erano, comunque, indiscutibilmente, buoni, e nessuno mai si sarebbe…strozzato!
E questa che vado a proporvi è la ricetta per realizzarli per quattro persone, quella di donna Nannina, però, perché, pur amando i pomodorini del Piennolo, mi schiero a favore della sua scelta. Non resta che prepararli! Si leccheranno i baffi pure i preti!

Per gli gnocchi

500 gr di patate (pesate con la buccia)

150 gr di farina 00

2 cucchiai di uovo sbattuto

Sale

 

Per la salsa

3 cucchiai di olio extravergine

cipolla
700 gr di passata di pomodoro San Marzano

basilico fresco

300 – 400 gr di mozzarella ben sgocciolata

5 cucchiai di parmigiano

sale

Lessare  le patate  con la buccia, fino a che non risulteranno morbide. Passarle ancora calde nello schiacciapatate. Su una spianatoia formare una fontana con la farina, aggiungere le patate schiacciate, le uova leggermente sbattute con un pizzico di sale e impastare fino ad ottenere un impasto morbido e compatto. Prelevare dall’impasto piccoli pezzi e formare dei lunghi sottili cilindretti da tagliare a tocchetti, da ripassare, poi, sui rebbi di una forchetta per rigarli. Tuffarli nell’acqua bollente salata e, quando saliranno a galla, scolarli col mestolo forato.

Per condirli, far soffriggere in un filo d’olio evo  un po’ di cipolla tagliata a pezzettini, aggiungere la passata di pomodori San Marzano e il basilico fresco spezzettato con le mani, e far cuocere finché risulti densa e vellutata. Condire gli gnocchi col sugo, aggiungere la mozzarella a dadini e il parmigiano grattugiato e infornare per cinque minuti in forno caldo per far sciogliere la mozzarella.

 

NOTE

 

1 L’antico mestiere napoletano della parrucchiera a domicilio, ben informata sui fatti delle clienti.

2 Donna del popolo sguaiata e volgare, incline al pettegolezzo e alla rissa.

 

 

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