Francesca
Santucci
LA LEZIONE
DI ANATOMIA
nota
critica al racconto di
Giuseppe
Risica
Rembrandt,
Lezione di anatomia del dottor Tulp
(1632).
La morte è un tabù, è il tabù per
eccellenza; si evita di parlarne, infastidisce, del defunto si
preferisce dire "è scomparso", piuttosto che "è morto". La morte è un tabù
e la dissezione del cadavere è un tema forte, parimenti evitato. Nonostante gli abusi cui, soprattutto nella nostra società, è sottoposto,
il corpo continua ad avere, per i credenti e i non credenti, un'aura di
sacralità e un'inviolabilità che incutono rispetto e timore. Chi manipola
un cadavere non lo racconta volentieri e non si ascolta volentieri chi
manipola un cadavere, ci vuole coraggio a parlarne, troppo violente sono
le emozioni che suscita l'argomento ma, in questo racconto, lo
scrittore-poeta, medico, Giuseppe Risica è
riuscito a trattare il tema della dissezione con estremo pudore, evitando
la fredda impersonalità del medico ma anche l'esasperato coinvolgimento
emotivo e il compiacimento letterario dell'orrore narrato, oscillando
sempre, comunque, fra il distacco e la partecipazione, fra l'uomo-medico
e l'uomo-scrittore/poeta, anche se alla fine è quest'ultimo a prevalere,
ai macabri particolari alludendovi, suggerendoli, accennandovi, lasciando
intuire al lettore, mai indugiando nella descrizione dettagliata.
Abituati a pensare che la morte per noi è nulla, perché ogni bene e ogni
male risiede nella possibilità di sentirlo: ma la morte è perdita di
sensazione (Epicuro): la perdita della sensazione, il morto non è più.
Da questa certezza
muove la dissezione. E allora il gelo, la formalina, le bianche pareti, il
tavolo di marmo, sono gli elementi che relegano il racconto in una
dimensione di distacco, ma poi c'è "il grido infinito" del
corpo aperto all'intrusione delle mani del medico, il respiro trattenuto, stavo
a lungo in apnea, il mare sconfinato, le onde,
in cui l'io narrante si perde, il torace paragonato ad uno scrigno, ancor
più prezioso degli altri scrigni perché racchiude il motore
pulsante della vita biologica ed affettiva, e poi l'espressione
l'aria profumata della primavera, che sembra insufflare la poesia in un
evento che nulla ha di poetico, mentre resta sempre ben vigile la
scientificità dello studente che annota, registra, valuta. Infine, quando
lo sguardo risale sul corpo del morto per guardare davvero in faccia la
morte, sollevando il pietoso lembo verde e facendo l'atroce
scoperta, l'ultima considerazione appartiene al poeta, non al medico:
gli avevano rubato anche i pensieri. Più che una lezione di anatomia
questo racconto mi
è parso una lezione di umiltà: l'uomo perplesso, stupito, inchinato
dinanzi al mistero della vita e della morte.
Francesca Santucci (2002)
Per leggere il racconto, qui:
La lezione di anatomia
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