Non
sempre è calmo e immobile, come nei giorni di bonaccia, il mare, ma, al
principio dei secoli, lo era, quando il Signore, nella notte dei tempi,
per il piacere dei suoi occhi, volle crearlo, specchio d’acque terse e
tranquille, bianche nella spuma delle onde e nella scia dei battelli,
iridescenti se battute dal sole, mostrando tutti i colori dell’arcobaleno,
rilucenti come splendide pietre preziose allorché, ricadendo, gli spruzzi
paiono pioggia di purissimi brillanti: di qui i vari nomi di mar di
Turchese, di Zaffiro, di Topazio, di Ametista, di Opale, di Lapislazzuli e
d’Acquamarina.
Dall’alto, posando lo sguardo, il Signore si ritemprava, così, dagli
affanni e poteva perdersi nella contemplazione della Bellezza che tutte le
altre che aveva originato superava, ma non aveva previsto che il mare
potesse essere attratto da un’altra delle sue creature, la terra, verso la
quale, sospirando, guardava, ammirandone le fresche zolle, gli alberi
chiomati ricoperti di frutti meravigliosi, i boschi odorosi, le montagne
maestose digradanti verso il piano come angeli protettori, i dolci declivi
delle colline, i laghi verdi e azzurri, i fiumi e i torrenti che
allegramente l’attraversavano, i giardini splendenti di rose, i prati
verdeggianti puntellati di fiori colorati e profumati, lambiti dai voli
delle variegate farfalle e allietati dagli spensierati girotondi dei
bambini sorvegliati da madri amorevoli, padri premurosi e nonni
affettuosi.
E così accade che un giorno il mare s’incupì e si rifiutò di obbedire ai
comandi del suo Creatore, più non rilucendo delle mille variegate
sfumature: allora, con dolcezza, il Signore lo interrogò e si fece
confidare il suo cruccio. Appreso il motivo, turbato dal suo affanno,
concesse al mare e alla terra d’incarnarsi per un solo giorno, da
trascorrere insieme in libertà volando come uccelli nell’aria, in modo da
poter apprezzare dall’alto lo splendore dei rispettivi mondi assegnati.
Con le mani a coppa raccolse un po’ di acqua di mare e la convertì in un
uomo, e con un po’ di terra creò una donna, e dotò entrambi di lunghe
morbide ali piumate per poter volare: che prodigio fu quello! Il mare si
trasformò in uno splendido giovane dai luminosi occhi celesti e folti
capelli inanellati, la terra fu tramutata in una bellissima giovinetta con
gli occhi color smeraldo e lunghe chiome brune tra le quali
s’intrecciavano minuscole pratoline colorate. Presisi per mano, con un
batter d’ali il mare e la terra spiccarono il volo, e trascorsero l’intero
giorno a contemplare tutta la Bellezza dei loro mondi, ammirando
stupefatti soprattutto i guizzi dei delfini felici e i voli leggiadri dei
gabbiani, i volteggi delle libellule e il galoppo dei cavalli selvaggi,
fino a quando calò il crepuscolo e le stelle cominciarono a tremolare nel
cielo: era giunto il tempo del ritorno. A malincuore dovettero separarsi
e rientrare ciascuno nella propria sede, nella propria forma naturale. Da
allora, però, il mare, ritornato nel suo regno di cristallo trasparente,
serbò sempre nel cuore una struggente nostalgia per la giovinetta soave e
gentile con la quale aveva trascorso quel giorno meraviglioso, per questo,
ancora oggi, sia quando la pallida alba ancora non ha rischiarato il
cielo, sia quando il sole fra le nuvole turchine ascende velandolo di
pagliuzze d’oro incandescente, sia quando al tramonto lo colora di sprazzi
di viola e di carminio, approdando calmo e ridente alla dolce riva nei
giorni di bonaccia, come il principe delle favole, ai piedi della sua
principessa addormentata canta e sospira, bisbiglia e mormora parole
d’amore.
Continuando sempre a lambire la terra, come a volerla sfiorare di baci, di
continuo spinge le onde cercando di strapparle qualche zolla da portarsi
via come dolce ricordo, lasciandole in cambio i suoi tesori più preziosi,
doni provenienti dalle profondità degli abissi: stelle marine, anemoni di
mare, attinie simili a fiori lievemente colorati di verde, di giallo, di
blu, delicate perle e lucide madreperle, variegate conchiglie, rametti di
madrepore e di corallo rosa, rosso e bianco, veli di spuma somiglianti a
trine preziose ricamate da mani fatate.
E talvolta accade anche che, aiutato dal vento, tempestoso s’increspi e si
levi innalzandosi in mille cavalloni, come per uno sdegno improvviso, in
realtà perché spinto dalla sua collera segreta per il perduto amore:
allora, irto di onde sempre più lunghe, più fitte, più alte, orlate di
livide spume e spruzzi di aspetto vitreo, ribolle, sbraita, s’infuria,
rimbrotta, ulula, mugghia, riversandosi furiosamente sulla sponda,
mostrando in tutta la sua potenza i mille stadi della sua inquietudine,
finché non si placa e la sua anima liquida torna a ricantare sommessa, a
sfiorare la terra e a donarle i suoi splendidi doni.
Ma anche la terra non dimentica il mare, e quando, talvolta, si muove, il
suo fremito altro non è che un sospiro d'amore.
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