Ha conquistato il
Leone d’Oro per il miglior film alla 74ª
Mostra d’arte cinematografica di Venezia
il film sulla diversità e sull’amore “La
forma dell’acqua,” del regista messicano
Guillermo Del Toro, sostenuto da un cast
d’eccezione e da fotografia e colonna sonora splendide,
un fantasy con elementi horror
assolutamente originale, poiché, nonostante gli evidenti
richiami ad altri celebri film (‘Il mostro
della Laguna nera’ di Jack Arnold, 1954;’L’Uomo Anfibio’ di G.
Kasanskij e V. Cebotariov, 1961;’Big Fish’ di Tim Burton,
2003, e ‘Il favoloso mondo di Amelie’, di J.P. Jeunet, 2001),
introduce, senza nulla togliere all’incanto della fiaba, un
nuovo ingrediente: non più solo l’ammirazione di due
esseri diversi o l’amore ideale, ma l’unione totale, di anima
e corpo, e a muovere il primo passo verso il congiungimento
carnale è la donna.
Il film è ambientato nei primi anni ’60,
quelli della Guerra Fredda fra Usa e Urss, dell’esaltazione
dell’America per le nuove invenzioni e innovazioni
tecnologiche e, parallelamente, del suo disprezzo per le
categorie più deboli della società: i neri, i disabili e gli
omosessuali.
Semplice e lineare la trama. A Baltimora, in un laboratorio
governativo di ricerca scientifica,
dove vengono effettuati degli esperimenti atti a contrastare
la Russia durante la guerra fredda,
lavorano come donne delle pulizie Elisa Esposito (il cognome è
quello dei bambini abbandonati alla nascita), ritrovata in un
fiume, muta
a causa della recisione delle corde vocali da bambina,
e Zelda, un’afroamericana, voce di Elisa, che, casualmente,
diventano testimoni dell’arrivo nel laboratorio segreto di una
misteriosa cisterna piena d’acqua, nella quale è stata
trasportata una creatura anfibia, prelevata a forza da un
fiume della foresta amazzonica, dagli indigeni adorata come un
dio.
Mentre i servizi segreti americani e russi discutono
sull’eccezionale ritrovamento scientifico e si contendono il
destino finale del “mostro”, intanto barbaramente trattato e
sottoposto a sanguinosi esperimenti, Elisa comincia ad
avvicinarsi a lui (comunica nella lingua dei segni, gli porta
del cibo, gli fa ascoltare della musica), tanto che nel suo
cuore l’amore entra come una forza sovvertitrice, strappandola
alla solitudine e all’emarginazione della sua vita quotidiana,
rischiarata solo dai sogni regalati dai film e dalla musica.
Spinta dall’amore, oltre che dal senso di giustizia per
quell’essere così crudelmente trattato, con la complicità del
suo vicino, Giles, della sua amica Zelda e dello scienziato
Dimitri (che, affascinato dall’intelligenza e dalla
sensibilità del “mostro”, non vorrebbe farlo sopprimere)
riesce a sottrarlo al destino di morte che l’attende (la
vivisezione), facendolo evadere dal laboratorio e tenendolo in
vita nella vasca da bagno della sua casa, in attesa di poterlo
liberare
quando le piogge allagheranno un canale che potrà condurlo al
mare.
La storia è decisamente fiabesca. C’è un “mostro”,
una principessa senza voce che riesce a
stabilire con lui una relazione e se ne innamora, ricambiata,
uomini cattivi che impediscono l’amore, ma infine, proprio
come nelle fiabe, subentra il cambiamento, gli ostacoli
vengono rimossi e arriva il lieto fine: il mostro non si
rivela tale, i veri cattivi vengono puniti e i due innamorati
possono vivere insieme felici e contenti. Come recita
all’inizio del film la voce fuori campo: è storia di amore
e perdita e sul mostro che voleva distruggere ogni cosa.
Ma è subito chiaro che il mostro,
trascinato dal fango di un fiume, condotto nel
laboratorio per essere sottoposto a esperimenti, non è la
creatura anfibia, definita dal violento colonnello americano
Strickland: un affronto anche se
sta su due gambe.
Come in ogni fiaba che si rispetti, il film vede schierati da
un lato i “mostri” (in questo caso i fuori dalla norma sono
Elisa- la muta-,
Giles -l’omosessuale-, Zelda-la nera e, ovviamente,
l’uomo-anfibio); dall’altra i “normali”, cioè il barista,
Strickland (il colonnello), e i
funzionari dei servizi segreti russi. Ma il
barista allontana dal locale la coppia di neri e si
scandalizza al gesto di tenerezza dell’omosessuale Giles, al
quale intima di non tornare perché il suo è un locale per
famiglie; l’Urss ricatta e uccide i suoi emissari;
Strickland, con famiglia e figli, pur
timorato di Dio, profondo conoscitore della Bibbia di cui
recita i passi a memoria, prende la moglie come un
violentatore (Non parlare, voglio che tu stia in silenzio,
le dice mentre fanno l’amore), non degna d’uno sguardo i suoi
bambini, tratta gli altri con arroganza, arrogante persino
quando espleta i suoi bisogni sprezzante della presenza delle
due donne, Elisa e Zelda, brandisce il manganello
elettrificato torturando la “creatura” che, invece, dovrebbe
proteggere, e tortura con estremo sadismo, nel finale, lo
scienziato Dimitri. Dunque, chi è il vero mostro? Sicuramente
non la creatura del fiume, che non ha nulla di mostruoso, la
sua sagoma è umana, le branchie e i suoni gutturali che emette
non impressionano, e gli occhi, quando la membrana interna
mobile si scosta e li mette in evidenza, sono buoni e dolci
(e stupefatti e increduli: potenza dell’apparecchiatura
protesica e dello straordinario mimo e attore che interpreta
la creatura anfibia!). E se diventa violento è solo quando
viene attaccato, poi, per il resto, permane la vittima.
No, quel mostro non è una creatura orrenda, e per gli indigeni
è anche un dio, dotato di un potere straordinario: quello di
poter sanare col suo tocco le ferite. E risana le ferite di
Giles e di Elisa, ,della quale cura anche il vuoto d’amore che
lei, fino a poco prima d’incontrarlo, cercava di colmare ogni
mattina ricercando un solitario piacere nell’acqua della sua
vasca da bagno, oppure fantasticando.
Il film è disseminato di simboli, due i fondamentali: l’acqua
e l’uovo.
Sin dall’inizio, mentre una voce fuori campo narra il prologo,
e fino alla fine, l’acqua contrassegna il film, con la casa e
tutti i suoi oggetti sott’acqua, in cui ogni cosa fluttua e i
pesci nuotano, e poi le gocce di pioggia sul finestrino
dell’autobus, la pioggia, le lacrime, i rubinetti aperti, la
piscina del laboratorio nella quale la creatura è tenuta
legata, la vasca piena d’acqua in cui s’immerge la
protagonista ogni mattina, nella quale immergerà l’essere
anfibio per tenerlo in vita e dove, poi, lo raggiungerà per
compiere il rito dell’unione.
L’acqua,
l'elemento più presente sul
nostro pianeta, fonte di vita, perciò associata al
femminile, che lava, trasforma, genera e rigenera: non a caso
in diverse tradizioni culturali e spirituali è anche simbolo
di purificazione, purezza, candore. L’acqua è rapportata pure
all’erotismo, perché l’immersione
dei corpi nell’acqua, esponendo meno la fisicità, isolando dal
resto del mondo, libera dagli stimoli inutili e consente ai
corpi maggiore intimità e libertà. E il rapporto tra
l’acqua, la purificazione del corpo e l’erotismo è espresso
sin dai primi secoli anche nell’arte: basti ricordare La
Fontana dell’Amore di Ambrogio e Cristoforo De Predis, una
delle più celebri illustrazioni del trattato
astronomico-geografico De sphera (XV secolo).
L’acqua è terapeutica, infonde vigore sessuale negli amanti,
ridona vitalità ai corpi delle persone anziane, ma ricorda
anche il fonte battesimale, tramite per l’ingresso in una
nuova forma esistenziale, simbolo di conoscenza e saggezza.
Nei Vangeli, simbolicamente, l'acqua della conoscenza
spirituale, quella che Cristo promette, è quella che disseterà
per sempre, perché consente l'entrata nella Vita Eterna, è il
simbolo di una conoscenza che abbiamo dentro di noi e che il
messaggio di Cristo, in qualche modo, riporta in vita.
Infatti nel Vangelo di Giovanni
leggiamo:
Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo
sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più
sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente
di acqua che zampilla per la vita eterna.”
(Giovanni, 4, 13-14).
E l’acqua sarà il tramite della conoscenza fra i due esseri
diversi, Elisa e la creatura: nell’acqua avverrà, infatti,
l’unione dei corpi.
L’altro elemento di grande simbolismo è l’uovo. Elisa bolle le
uova, le mangia, le divide con la creatura, anche il suo timer
da cucina è a forma di uovo.
Associato
al Femminile, perché è la Donna a produrre l'ovulo il quale,
fecondato, darà origine alla nuova vita,
sin dalle epoche remote è stato considerato simbolo
dell’archetipo primordiale, dell’essere in gestazione, cellula
che contiene in germe la molteplicità degli esseri, del cosmo
immaginato a forma sferica, dell’utero e della matrice, della
fertilità,della nascita e della conoscenza: dall’involucro
fortemente serrato emergerà la nuova creatura la cui forma
sarà maturata nel tempo.
Tutto il film, poi, è caratterizzato dalla tonalità del verde,
che ricorda la colorazione del mare e quella del polmone verde
della Terra, l’Amazzonia dove, in un fiume, di certo verde
rispecchiando la vegetazione intorno, la misteriosa creatura,
pure verde, è stata catturata. E verde è
il colore dominante di ciò che regna nella casa della timida
ma determinata
Elisa, che all’inizio del film
indossa camicia da notte e vestaglia di questo colore, ed
anche le divise da lavoro che indossano lei e Zelda sono
verdi, così come gli ambienti del laboratorio. Verde
è l’acqua salmastra in cui deve vivere lo strano essere
anfibio, verde è il colore delle torte al lime preferite da
Giles, verdi sono le caramelle continuamente masticate
dall’aguzzino
Strickland, verde è la nuova macchina,una Cadillac, che
quest’ultimo acquista,
anche se il concessionario precisa essere: turchese tenue!
Quando pensiamo a questo colore è quella di un bel prato la
prima immagine che, probabilmente, viene in mente a tutti:
verde è, infatti, il colore della
natura, del
mondo vegetale, fertile, abbondante, perciò la sua simbologia
rimanda all’equilibrio totale, fatto di armonia e amore. E
questo colore, oltre ad avere un effetto calmante, infonde
senso di giustizia e grandezza d’animo, ed è collegato al
chakra del cuore, quindi dei sentimenti e dell’amore
puro, della tenacia e perseveranza nel seguire
i propri progetti: in ciò, dunque, ben rappresenta Elisa che
ama e persevera nel suo progetto di amore e liberazione.
Ma il colore verde, nella sua connotazione negativa,
rappresenta anche quell’energia “in più”, che porta alla
tendenza di voler controllare gli altri, incuranti del loro
reale volere: dunque è anche il colore del vero “mostro” del
film,
Strickland, il cui pensiero si può riassumere nella battuta
finale: Io non fallisco, io risolvo.
La forma dell’acqua
della fiaba contiene molti elementi, ma, nonostante certe
scene troppo truculente (nell’intento del regista di certo
utilizzate per esaltare la vera malvagità, che non è quella
della creatura dell’acqua), è decisamente una storia d’amore,
finalizzata sin dall’inizio all’unione, al congiungimento (Io
e te insieme: così “dice” ad Elisa nel finale l’essere
anfibio!), ma è anche un omaggio al grande
cinema musicale degli anni ’40 e ’50, per le atmosfere
retrò, le splendide musiche e i numerosi inserti dei films in
cui appaiono “mostri” sacri del tempo come
Shirley Temple, Betty Grable, Alice Faye e Carmen Miranda.
Se l'acqua
può assumere molte forme, decisamente in questo film Del Toro
ha consegnato agli occhi dello spettatore quella di un poetico
sogno nel quale perdersi e, come nella romanticissima scena
finale (in cui sott’acqua ondeggiano abbracciati
l'uomo anfibio ed Elisa, le cui cicatrici sul collo sono state
da lui trasformate in branchie che permetteranno loro di
vivere per sempre insieme)
soavemente fluttuare, accarezzati dai versi (ritrovati dal
regista in un libro di poesia islamica, in una libreria
frequentata qualche giorno prima di girare il film) recitati
da Giles nel finale, sui titoli di coda:
Incapace di percepire la tua forma
ti trovo ovunque intorno a me.
La tua presenza mi riempie gli occhi con il tuo amore.
Il mio cuore si fa piccolo,
perché tu sei ovunque.