Francesca Santucci

 

LA FIGLIA DEL CAMIONISTA

 

(Antologia AA.VV., Quello che le donne raccontano, Kimerik edizioni 2021)

 


 

Nessuno è libero se non è padrone di sé.

Epitteto

Frammenti, XXXV

 

Erano tutte di famiglie abbienti in quella classe femminile del liceo classico, figlie di professionisti, di agiati commercianti, unica eccezione Lara, figlia di un camionista, che si ritrovava quel nome romantico perché sua madre, tanto si era commossa al cinema alle vicende della protagonista del film “Il dottor Zivago”, da decidere che così avrebbe chiamato la sua prima figlia.
Lara si trovava in quel liceo per precisa volontà di suo padre, che sperava per tutti i suoi figli in un destino migliore del suo, intrappolato in un lavoro che spesso lo teneva lontano giorni e giorni da casa, strappandolo alla famiglia, conducendolo solitario in giro per tutta l’Italia, talvolta anche all’estero, macinando chilometri e chilometri, costretto in una cabina rovente d’estate, gelida d’inverno, fra disagi di ogni tipo, non essendo i camion a quei tempi arricchiti di comfort come ai giorni nostri. E lei non aveva mai deluso le sue aspettative, studiando sempre con impegno, anche se su libri usati perché minime erano le possibilità finanziarie della sua famiglia.
-Studia, studia-le diceva suo padre, e lei obbediva.
Fu al terzo anno del liceo, mentre stava studiando nella cucina di casa sua un filosofo particolarmente interessante, lo stoico Epitteto - che sosteneva essere la libertà autodeterminazione della propria volontà, scegliere razionalmente ciò che è meglio per sé (Nessuno è libero se non è padrone di sé, affermava)- che il suo sguardo fu attratto da un paio di scarpe abbandonate in un angolo.
Erano dei polacchini marroni foderati di pelliccia, abbastanza usati, ma ancora portabili, che suo padre aveva momentaneamente dismesso per calzare scarpe più leggere. Giacevano lì inerti, ma spinsero al galoppo la fantasia di Lara, che abbandonò il manuale di filosofia, si alzò dalla sedia e, furtivamente, come una ladra, corse a prenderli e li calzò: le parve di avere ali ai piedi!… E sognò la libertà dagli obblighi scolastici. Ma poi si ricordò del giorno in cui suo padre li aveva portati a casa, acquistati per pochi soldi al mercato settimanale.
-Papà, come sono belle queste scarpe!-aveva esclamato entusiasta quando lui le aveva tolte dalla scatola e mostrate ai suoi familiari sui palmi delle mani levandole in alto con solennità, come fossero una reliquia.
Suo padre l’aveva zittita con un perentorio:
-Pensa a studiare, tu, che i libri ti porteranno lontano, come queste scarpe portano me!-
E sua madre aveva aggiunto:
-Io ti ho insegnato ad essere una brava donna di casa, ti ho insegnato a lavare i pavimenti con la soda e i panni col sapone di Marsiglia, a impastare il pane e a preparare le conserve di pomodori, ma tu sii il mio cervello, impara ciò che io avrei voluto apprendere, sii le mie gambe, sii le mie braccia, e va’ dove io avrei voluto andare.-
Allontanato il ricordo, Lara, poi, tornò a studiare.
Gli anni trascorsero. Si diplomò, si laureò e si votò all’insegnamento, ma qualcosa le si ruppe dentro alla morte di suo padre: nel suo cuore scese il gelo.
Oltre il dolore per la perdita di quell’uomo tanto importante nella sua vita, così integro, generoso, buono, del quale ciò che maggiormente ora le mancava era la tenerezza malcelata dietro la severità, la colse una profonda inquietudine e una smania di libertà … fu allora che Lara, che del lavoro di camionista sin da bambina era stata affascinata dall’aspetto romantico del viaggiare verso luoghi nuovi, abbandonò l’insegnamento e, conseguita l’opportuna patente, la C, cominciò a lavorare come camionista proprio con il camion che suo padre dopo anni e anni di sacrificato lavoro era riuscito a comprarsi, mai mancando di calzare nella giusta stagione quei vecchi polacchini che, gelosamente, aveva conservato, dopo che lui li aveva dismessi per acquistarne un paio nuovi, quando le risorse glielo avevano permesso.
Cosa trasportava Lara con il suo camion? Scarpe.
Non tutti approvarono la sua scelta di abbandonare l’insegnamento per guidare un camion. Qualcuno si scandalizzò, qualcun altro la considerò folle, gli anziani colleghi di suo padre prima ne sorrisero e poi la approvarono, ma sempre quando Lara era alla guida del suo camion, in qualunque stagione e luogo si trovasse, libera, padrona di sé (secondo l’antico insegnamento di Epitteto), le splendeva sul viso un sorriso di felicità.

 

 

 

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