C’era una volta una donna di carta. Inafferrabile, chiusa nel suo soave
mondo di sogno dove trovavano spazio soltanto l’armonia e la bellezza. Lieve volteggiava nell’aria seguendo i voli delle rondini, posandosi
aggraziata sulle corolle profumate dei dolci fiori, accompagnando con la
sua voce armoniosa le melodie dei ruscelli gorgoglianti fra le verdi
distese dei campi, aerea danzando in larghi girotondi con le api,
lasciandosi baciare dai tiepidi raggi del sole, illuminandosi d’argento
alle carezze della luna.
Tutti gli animali del bosco la conoscevano bene e sapevano anche quanto
fosse innocente e svagata, perciò le raccomandavano di fare attenzione, di
essere prudente nei suoi voli, perché avrebbe potuto approdare chissà
dove, e chiunque, armato di cattive intenzioni, avrebbe potuto farle del
male. Lei annuiva con la testa, sorrideva, faceva una piroetta e poi si
librava, di nuovo via nell’aria a volare, a cantare, a danzare, a sognare.
Un brutto giorno, però, in cui improvvisa si era scatenata la pioggia e si
era levato un forte vento, una folata più intensa delle altre la spinse
lontano, lontano, lontano, scaraventandola attraverso una finestra aperta
all’interno di una stanza in penombra. Atterrò malamente su una scrivania,
fra libri e quaderni, penne e matite, ma non ebbe nemmeno il tempo di
riprendersi che sentì qualcosa graffiarla: un uomo d’inchiostro l’aveva
afferrata e la stava imbrattando con una penna nera.
-Ahi- lei gridò- mi stai sporcando il bianco vestitino!-
Ma l’uomo d’inchiostro nemmeno le rispose, continuò il suo sporco lavoro e
poi l’abbandonò come un foglio vecchio sulla scrivania, e se ne andò
lasciandola in lacrime e singhiozzi.
Sulla scrivania c’era una scatola di colori, e accanto un contenitore
con tanti bei pennelli che, attirati dal pianto della donna di carta,
subito balzarono fuori e le si avvicinarono e, messi al corrente
dell’accaduto, molto si commossero, sicché alcuni si precipitarono a
inseguire l’uomo d’inchiostro, altri decisero di restare a rincuorarla,
altri ancora le promisero che le avrebbero rimesso a nuovo il suo
vestitino. E così fecero. Via via intingendo le loro testoline nei colori
più belli, con il rosa e con l’azzurro, con il verde e con il giallo,
coprirono tutte le brutte macchie d’inchiostro e le rifecero una veste a
pois colorati che bella così non si era mai vista prima.
La donna di carta, finalmente, smise il pianto e ritrovò il sorriso, con
un inchino ringraziò i nuovi amici e poi via, di nuovo in volo verso il
cielo turchino, inseguendo le api e le farfalle, ma, nel prendere la
rincorsa verso l’alto, assistette a una scena, giù in basso, che un poco
le dispiacque: nel correre via dalla casa, dopo averle imbrattato il
vestitino, messo in fuga dalle sue grida disperate, incalzato dai pennelli
minacciosi che lo inseguivano, l’uomo d’inchiostro era finito in una
pozzanghera d’acqua e ora si stava sciogliendo, sempre di più, sempre di
più, finché non si dissolse del tutto.
Allora la donna di carta versò qualche lacrima pietosa, ma poi, felice nel
suo vestito nuovo, sorvolando i prati fioriti di pallide primule e
violette tricolori, candidi giacinti e pervinche celestine, ciclamini
rosati e azzurri myosotidi, riprese il suo gaio volo nell’immensità del
cielo.
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