Francesca Santucci

 

L'inferno di Elfriede Lohse-Wächtler

(dall'antologia AA. VV., "Il male al cinema- Moovies Shadows and Lights", edizioni Lulu, Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia 2015)

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Malgrado tutto quello attraverso cui sono passata sono abbastanza stupida 

 da credere che la gente buona esista ancora.

Elfriede Lohse- Wächtler

 

 

 

Elfriede Lohse-Wächtler, Lissy (1931)

 

Travagliata fu l'esistenza della pittrice di avanguardia Elfriede Lohse-Wächtler, la cui vicenda personale, con la diagnosi di “schizofrenia”, il ricovero, l'interdizione, la sterilizzazione forzata, la morte, s’intersecò con la grande tragedia collettiva degli anni del nazismo, passato di orrore e sacrificio che nessuna coscienza umana dovrà mai dimenticare, evento drammatico in cui il Male prevalse in una forma crudele e insensata: un’aberrante ideologia politica che spinse uomini a costringere altri fratelli a perdere i lineamenti stessi dell’umanità abbrutiti dall’odio e dalla persecuzione.
Elfriede nacque il 4 dicembre 1899 a Loebtau come Anna Frieda Wächtler (fu lei, poi, a ribattezzarsi “Elfriede”), in una famiglia borghese. Suo padre, Gustav Adolf, coltivava grandi speranze per la figlia, perciò disapprovò la sua scelta “eccentrica” d’intraprendere la carriera artistica.
Nonostante la sua opposizione, volitiva, intraprendente, desiderosa sin da bambina di esprimersi creativamente, per studiare disegno nel 1915 Elfriede s’iscrisse all'Accademia d’Arte di Dresda (città, che insieme a Monaco di Baviera e Hannover era, allora, in Germania fervido centro che consentiva scambi e sviluppi creativi fra “Espressionismo” e “Dadaismo” apportando notevoli contributi tedeschi alla rivoluzione artistica del Novecento), ma poi cambiò corso di studi per impegnarsi nella grafica applicata, in particolare nel batik
(termine derivante dalle parole indonesiane amba, “scrivere”, e titik, “punto, goccia”, col significato di ciò che si disegna), la tecnica usata per colorare i tessuti coprendo le zone che non si vogliono tinte.
In spirito d’indipendenza lasciò la casa paterna, tagliò corti i capelli, indossò abiti maschili, iniziò a fumare la pipa in pubblico e cominciò a tingere tessuti e a realizzare cartoline d’auguri litografate per guadagnarsi da vivere e finanziarsi gli studi, che continuò sotto la guida del professore d’arte, pittore, grafico e incisore, Oskar Georg Erler.
Adottato lo pseudonimo maschile di Nikolaus Wächtler, Elfriede frequentò le avanguardie artistiche del tempo, ebbe come amici il pittore e incisore espressionista Conrad Felixmüller, membro del partito comunista tedesco, e Otto Dix,
pure pittore e incisore, noto per le sue raffigurazioni spietate e duramente realistiche della Repubblica di Weimar1 e della brutalità della guerra. Inoltre aderì al “Dadaismo”, movimento nato a Zurigo, nella Svizzera neutrale della Prima guerra mondiale, e sviluppatosi tra il 1916 e il 1920, che interessò soprattutto l’arte, la letteratura e il teatro, i cui gli artisti manifestavano la loro politica anti bellica con il rifiuto degli standard artistici, attraverso opere che erano contro le convenzioni dell'epoca, contro le ideologie politiche, contro la ragione e la logica, contro l'arte stessa, proponendosi volutamente irrispettosi e stravaganti, ricercando la totale libertà creativa, per la quale utilizzavano tutti i materiali e le forme disponibili. Fu in quegli anni che Elfriede maturò anche una coscienza politica e sociale.
Sorprendendo tutti, nel 1921 sposò Kurt Lohse, un allievo d’arte squattrinato, pittore e cantante lirico, che conduceva una vita sregolata e che, mentre era sposato con lei, ebbe tre figli da un’altra donna, motivi, questi, che la spinsero negli anni successivi a ripetute separazioni.
Nel 1926 aderì all'Unione di Donne Artiste e Amici dell'Arte di Amburgo, e nel 1928 partecipò a numerose mostre del movimento artistico d’avanguardia Neue Sachlichkeit (“Nuova Oggettività”) nato in Germania dopo la prima guerra mondiale, riguardante soprattutto la pittura, che proponeva un rinnovato interesse per la realtà, caratterizzato da un immaginario poco accomodante e spesso grottesco, distorto, sconfinante nell’astratto pur mantenendosi nel figurativismo, derivante dal dolore fisico o mentale di artisti che avevano vissuto gli orrori della guerra, trascorrendo lunghi periodi in ospedale e portando con sé nel dopoguerra le cicatrici dell’esperienza vissuta. Di fronte al materialismo disinvolto della Repubblica di Weimar e alla crescente minaccia del nazismo gli esponenti della “Nuova oggettività” nelle loro tele mettevano in ridicolo la corruzione della società contemporanea e lo spettro del militarismo che aleggiava minaccioso sulla Germania degli anni ’20, elaborando ritratti caratterizzati da volti con lineamenti innaturalmente deformati e corpi contorti. Condannato dal nazismo come arte degenerata, nel 1933 gli esponenti del movimento furono costretti a rifugiarsi all’estero.  Anni dopo una versione meno esasperata di questo stile avrebbe, poi, svolto un ruolo importante nella nascita dell’ “Espressionismo astratto”, che si esaurì con la fine della Repubblica di Weimar e con la presa del potere da parte dei nazisti, che consideravano questa corrente entartete Kunst, arte degenerata”, espressione che, nella Germania del regime nazista, indicava quelle forme d'arte che riflettevano valori o estetiche contrari alle concezioni naziste, e non esaltavano o, addirittura, si opponevano, ai valori ritenuti tipici della razza ariana e delle sue tradizioni culturali.
Allontanatasi da Kurt nel 1926, nonostante i successi iniziali Elfriede cominciò a trovarsi in difficoltà economiche, tanto che poteva contare sul sostegno sociale. 
Lontana dagli amici che aveva in comune con Kurt, oppressa dalle preoccupazioni economiche, la sua salute mentale cominciò a vacillare e si palesarono i primi segni dei deliri paranoici che aumentarono finché, nel 1929 ebbe un crollo psichico mentre si trovava ad Amburgo, dove viveva, e fu ricoverata nell’ospedale psichiatrico di Klein-Friedrichsberg.

Durante il ricovero, durato due mesi, dopo un iniziale periodo di apatia Elfriede sviluppò un forte impulso creativo e riprese a disegnare e a dipingere, creando una serie di sessanta disegni, schizzi a matita e pastelli, in cui rappresentava se stessa, la vita quotidiana nell’ospedale, il giardino dell’ospedale, un paesaggio invernale, i pazienti, soprattutto sorprendenti ritratti di donne ricoverate, le “Teste di Friedrichsberg”, entusiasmando i critici che, per la rappresentazione cruda, grottesca, "brutta" (com'era tipico degli espressionisti tedeschi che deformavano l'oggetto rappresentato) di personaggi colti in miseria e solitudine morale, la paragonarono a Grosz, Kokoschka e Schiele.
Dopo il suo recupero, e la separazione definitiva da Kurt Lohse, l'artista visse un periodo molto creativo, il
più felice della sua carriera artistica, esponendo nel maggio del 1929 i suoi ritratti al “Kunstsalon Marie Kunde”, a questa mostra seguirono altre esposizioni, e la realizzazione di numerose opere, di fantasia, dipinti del porto di Amburgo e degli ambienti più squallidi della città, ritratti di lavoratori e di prostitute dei quartieri a luci rosse di Amburgo, ed anche molti autoritratti. È del 1931 il suo lavoro più noto, Lissy, il ritratto a tre quarti di lunghezza di una prostituta bionda, pesantemente truccata, caricaturale e quasi grottesca, che, una mano appoggiata su un fianco, l’altra che stringe una sigaretta, guarda fisso lo spettatore. Secondo alcuni critici quest’opera sarebbe un autoritratto che indicherebbe l'identificazione dell'artista con le figure emarginate della malavita di Amburgo.
Nonostante la partecipazione ad alcune mostre, il ricavato dalle vendite delle sue opere e piccoli sussidi,
il successo fu di breve durata ed Elfriede continuò a versare in condizioni di estrema povertà. A metà del 1931, a causa dei problemi economici e del crescente isolamento in cui viveva, negli anni in cui la Germania precipitava verso il nazismo, povera, senza amici, fece ritorno a casa e affondò sempre più nel suo male.
Nel 1932,
su richiesta del padre, sgomento per le condizioni di quella figlia che sentiva così estranea, con la quale sempre difficili erano stati i rapporti, e convinto di affidarla a un luogo di giuste cure, Elfriede fu ricoverata nell'ospedale psichiatrico di Arnsdorf, presso Dresda: qui le fu diagnosticata la “schizofrenia”.
Ancora ottimista verso il suo futuro, Elfriede continuò a dipingere e a scrivere ai suoi chiedendo di poter lasciare l’ospedale, ma il suo destino era segnato, intrecciato al nazismo che, ormai, aveva mostrato il suo vero volto, rivelando inequivocabilmente agli occhi del mondo la sua natura violenta e aggressiva, assumendo Hitler tutte le cariche del potere e trasformando la Germania, nell’arco di pochi mesi, in uno Stato totalitario, abolendo il regime parlamentare, disciogliendo i sindacati e le organizzazioni autonome dei lavoratori, dichiarando illegale e perseguitando a morte l’opposizione, privando le donne del diritto di voto, sopprimendo tutti i partiti, mettendo sotto ferreo controllo la radio e il sistema scolastico, promulgando le prime leggi antisemite.
L’antisemitismo era uno dei principi cardine su cui si basava l’ideologia hitleriana, secondo la quale, come espresso nel Mein Kampf (“La mia battaglia”) da Adolf Hitler, bisognava salvaguardare la purezza della razza ariana- assolutamente superiore, destinata da Dio a dominare il mondo per il bene di tutti i popoli- eliminando qualunque elemento “impuro”, soprattutto la razza semita, giudicata di natura inferiore e accusata di voler trascinare il mondo intero verso la più spaventosa corruzione. Si sviluppò, allora, con tutta la sua atroce progressiva drammaticità attraverso una serie di leggi che tolsero agli ebrei tedeschi i diritti civili e che condussero alla deportazione in Germania di migliaia di uomini e donne (che venivano impegnati nei campi di lavoro in sostituzione degli operai tedeschi in guerra), all’eliminazione degli ebrei e degli oppositori al nazismo, alla creazione di Lager in Polonia, in Germania e in altri Paesi, campi di concentramento, poi diventati campi di sterminio, come Auschwitz, Dachau, Mauthausen,
Ravensbrück,2 quest’ultimo esclusivamente femminile, voluto da Hitler per eliminare le donne “non conformi”, prigioniere politiche, prostitute, lesbiche, zingare, disabili, che qui subivano le violenze più atroci che si possano infliggere ad una donna: sterilizzazioni, aborti forzati e stupri.
In questi
Lager la ferocia nazista condusse esseri umani incolpevoli all’abiezione, all’avvilimento, alla prostrazione, nella carne e nello spirito, e soppresse circa 14 milioni di uomini di cui 6 milioni di ebrei, scrivendo la pagina più vergognosa della storia dell’umanità.

“La mia scienza pedagogica è dura. Il debole deve essere spazzato via. Nei centri del mio nuovo Ordine verrà allevata una gioventù che spaventerà il mondo. Io voglio una gioventù che compia grandi gesta, dominatrice, ardita, terribile. Gioventù deve essere tutto questo. Essa deve sopportare il dolore, non deve avere nulla di debole o di effeminato. L’animale rapace, libero e dominatore, deve brillare anche dai suoi occhi. Forte e bella voglio la mia gioventù. La farò istruire in ogni esercizio fisico. Voglio una gioventù atletica. Questa è la prima cosa e la più importante. Così distruggerò i millenni di addomesticamento dell’umanità ed avrò di fronte a me il materiale nobile, puro della natura e potrò creare cose nuove. Non voglio un’educazione intellettuale. Il sapere mi rovina la gioventù. Al più le lascio imparare quello per cui si sente portata seguendo il gioco dei suoi istinti. ”3

Fra le politiche sociali razziste attuate dalla Germania di Hitler, ossessionato dai canoni di purezza e bellezza derivategli dal suo “sentirsi” artista, profondamente avverso all’handicap fisico e mentale, e convinto che lo stato di debolezza della nazione dipendesse all'esistenza di "elementi degenerati" che avevano compromesso la purezza della popolazione e che, pertanto, dovevano essere eliminati il prima possibile, incoraggiando, invece, la riproduzione dei forti e dei razzialmente puri, trovò spazio anche un’altra malvagità, l’eugenetica nazista, finalizzata al miglioramento della razza mediante la soppressione delle persone considerate "vite di nessun valore" (Lebenunwertes Leben in tedesco), dissidenti, omosessuali, deviati, ritardati, malati di mente, ebrei, zingari, ecc., prima con la sterilizzazione coatta, per impedire di riprodursi, in modo da non diffondere i propri geni all'interno della popolazione, e poi con la morte.
Nel 1939 fu, così, avviato da Hitler e dai suoi fedelissimi, il programma Aktion T4”, chiamato più semplicemente il "T4", che mirava all'eliminazione dei bambini affetti da handicap fisici e mentali, e all'eutanasia di massa degli adulti disabili, e che s’interruppe, ma solo formalmente, su pressione dell’opinione pubblica e della Chiesa, nell’agosto del 1941. Si calcola che, tra il 1939 e il 1945, furono sterminate dai nazisti 250.000 persone disabili, malati di mente, disabili fisici e quelli ritenuti “ indegni della vita”.
In questo contesto Elfriede si avviò al drammatico epilogo della sua esistenza.
Nel 1935, come consentito dalla legge per la prevenzione della prole geneticamente difettosa contro chi era affetto da “tare ereditarie”, dopo un suo primo rifiuto,
fu sottoposta a sterilizzazione forzata nella clinica di Dresda, il cui vicedirettore era un fervente nazista, poi le fu negata la libertà di lasciare la casa di cura. Nel 1937 fu etichettata come autrice di arte degenerata e gran parte dei suoi lavori furono confiscati o distrutti.
Oppressa dall’umiliazione subita della sterilizzazione Elfriede smise di dipingere, eppure, anche se priva di cure adeguate, malnutrita e sofferente, ancora sperava in un cambiamento positivo per la sua vita, ma, giudicata “indegna di vita”,
venne deportata nell’ospedale regionale di Pirna-Sonnenstein (in realtà un centro di sterminio dove furono uccise circa 15000 persone) e assassinata nel quadro del programma di eutanasia nazistaAktion T4” il 31 luglio del 1940, gasata insieme ad altre venti donne, anche se la causa ufficiale della morte fu quella di "polmonite con scompenso cardiaco nonostante tutti gli sforzi fatti dai medici per mantenere il paziente in vita”. Nell’ultimo suo quadro, Leben (Vita), del 1936, aveva raffigurato una donna come crocefissa, con la testa pendente all'indietro, un poppante con ali d'angelo che vomita.
Un giorno Elfriede aveva scritto:

Malgrado tutto quello attraverso cui sono passata sono abbastanza stupida da credere che la gente buona esista ancora.

In vita nelle mostre i suoi quadri, fra “Espressionismo” e “Nuova oggettività”, furono esposti accanto a quelli di Paul Klee, Oskar Kokoschka ed Emile Nolde, dopo la morte, formalmente cancellata, svanirono nell'oblio. A lungo dimenticata, le sue opere superstiti, magnifiche, straordinarie se si pensa in quale inferno furono create (in condizioni di semipovertà, crisi nervose e isolamento emotivo), principalmente conservate in collezioni private e musei in Germania, paesaggi, scene portuali, fiori, animali, ritratti (di donne, uomini, vecchi, coppie, in solitudine, in bar o in interni di squallidi ritrovi), due raffigurazioni della mitica danzatrice Salomè, autoritratti (con cappello, con sigaretta), dipinti, disegni, pastelli, oli, acquarelli, litografie, in cui sfila un’umanità dolente, personaggi ai margini della società presentati nella loro verità, nella crudezza delle loro condizioni, senza mai essere moralmente giudicati, sono state riscoperte dai critici e divulgate a partire dal 1989 con una serie di iniziative, eventi e mostre. Da allora sono state esposte a Aschaffenburg, insieme ai lavori di altre artiste tedesche, ad Amburgo, a Dresda, a Pirna (nel museo della città, nel 2003, si è tenuta la mostra "Elfriede Lohse-Wächtler ... Io solo so chi sono"), al Museo Zeppelin di Friedrichshafen (nel 2008, "Elfriede Lohse-Wächtler - Una vita tra arte e disperazione"), ed è stata anche istituita una fondazione che porta il suo nome, Förderkreis Elfriede Lohse- Wächtler, riguadagnando, così, Elfriede, riconoscimento e fama.
Inoltre, in ricordo di questa geniale artista e sensibile donna dal destino sventurato e tragico, desiderosa di libertà e indipendenza, definita eccentrica perché fumava e portava i capelli corti (ma a quel tempo conquistare spazi per una donna passava anche attraverso l’adozione di atteggiamenti e comportamenti “maschili”), catalogata come “artista degenerata” solo perché creativa diversamente dai canoni artistici allora imposti, etichettata come “schizofrenica” per un crollo nervoso, in più con amici comunisti (considerati nemici acerrimi dallo Stato come chiunque avversasse il nazismo),
nel 1999 è stata posta una lapide presso l'ospedale di Arnsdorf e nel 2004 è stato dato il suo nome ad un roseto nell’area dell’ex ospedale Friedrich Ber. E vi sono anche delle strade a lei intitolate, a Pirna-Sonnenstein, ad Arnsdorf, nell'area dell'ex dell'ospedale Friedrichsberg, e nel 2012, nel giardino delle donne, nel cimitero Ohlsdorfer di Amburgo, è stata apposta una lapide che la ricorda quale vittima della persecuzione nazista.

NOTE


1)Dal nome dalla città di Weimar, dove si tenne un'assemblea nazionale per redigere una nuova costituzione dopo la sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale, la Repubblica di Weimar (Weimarer Republik, in tedesco) è il regime politico della storia della Germania che va dal 1919 al 1933.


2)
 Come scrive la giornalista e scrittrice Sarah Helm, nel libro dal titolo evocativo dell’opera di Primo Levi, Ravensbrück: If this is a woman, “Se questa è una donna”, a Ravensbrück, campo di sterminio ignorato dalla storia per un lunghissimo periodo, vennero uccise, asfissiate,  seimila donne.

3) W. Hofer, Il Nazionalsocialismo. Documenti 1933-1945, trad. S. Bologna, Feltrinelli Milano.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

Regine Sondermann, Kunst ohne Kompromiss Die Malerin Elfriede Lohse-Wächtler 1899 – 1940 Weißensee Verlag, Berlin 2008.

Lea Vergine, L’altra metà dell’avanguardia, 1910- 1940, Mazzotta, Milano 1980.

L’arte, curatore Robert Belton, Logos, Modena 2004.

Enrica Ravenni, L’arte al femminile, Editori Riuniti, Roma 1998.


Simona Bartolena, Arte al femminile, Electa, Milano 2003.

W. Hofer, Il Nazionalsocialismo. Documenti 1933-1945, trad. S. Bologna, Feltrinelli, Milano 1979.

Shirer William, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino 2007.

Sarah Helm, Ravensbrück: If this is a woman, Little, Brown, November 2014.

 

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