Francesca Santucci

IL SOGNO

 

(Antologia AA.VV.,Accadrà a Natale, Gruppo autori opera indomita 2022)

 


 

Il sogno è l’infinita ombra del Vero.
(Giovanni Pascoli)

 

A voi che mi leggete voglio confidare che, nonostante siano trascorsi ormai tanti anni e sia sopravvenuto il necessario distacco che consente di valutare lucidamente, ancora oggi io non so se quanto mi accadde un giorno e continua ad accadermi ogni anno a Natale, da quando mi sono accorta che l’orologio del tempo più veloce segna le ore, sia frutto di suggestione o reale. Ma ci sono tante cose la cui comprensione a noi umani sfugge, a me succede in particolare con l’evento di cui vado a narrarvi.

Era la vigilia di Natale, che avevo voluto trascorrere come sempre da sola, rintanata nella mia casa, perché mi piaceva coltivare la mia solitudine e perché mi piaceva darmi momentanea allegria dopo aver mandato giù un po' di vino in più, bianco, frizzante, non di alta gradazione, ma, che una volta bevuto, mi avrebbe offerto qualche momento di euforia in mezzo alle tante tristezze della mia vita. Allora mi pareva che le mattonelle s’inseguissero una dietro l'altra e che le porte andassero su e giù come in continuo ondeggiamento sismico, e anch’io mi sentivo ondeggiare, anzi, mi pareva di tornare neonata, cullata dalle  braccia della mia mamma, e sprofondavo beata in un sonno senza sogni, dal quale riemergevo con un gran mal di testa  e di nuovo sola.

Quella sera me ne stavo triste, di quella tristezza che spesso coglie nei momenti di festa, che è malinconia per le cose che non sono più, malinconia per gli affetti perduti, per i noi stessi perduti. Me ne stavo accoccolata nella poltrona a pensare, a rimuginare,  mentre nella stufa a legna il fuoco vivace scoppiettava e  fuori implacabile fioccava la neve, una neve lenta, stanca. Intorno a me, insolita presenza per la stagione e il luogo, volava una farfalla, una vanessa atalanta: la riconobbi subito dal vivace motivo color arancione che, insieme al bianco, arabescava le sue ali marrone scuro.

Avevo voluto che nella mia casa, ovunque gli occhi girassero, lo sguardo si posasse su un oggetto bello, un vaso giapponese con i tipici motivi decorativi di geishe e fiori di ciliegio, un bouquet di fiori di seta infilato in un vaso di cristallo di Boemia, nella credenza trasparenti flûte, sulle mensole bambole dalle lunghe ciglia, gli occhi blu e i capelli intrecciati a boccoli, abbigliate in vesti ottocentesche, e vari altri ninnoli esposti in mostra, non di valore, acquistati a poco prezzo nei vari mercatini di robe vecchie che mi piaceva visitare, rivolto il mio sguardo alle cose del passate, intrise di chissà quali storie, di chissà quale vissuto.

In genere riusciva a rasserenarmi guardare cose belle e bere qualche sorso di vino in più in un calice di cristallo a stelo lungo, che avevo acquistato anni addietro, appunto, in un mercatino.  Solitario, unico superstite di un antico servizio, lo avevo notato spiccare fra tante cose vecchie. Mi era parso, il suo destino, simile al mio, solitario come me, e non avevo esitato ad acquistarlo. Ma quella sera proprio non riuscivo a distogliere la mente da pensieri mesti, e alla mente vivido mi ritornò il ricordo di un Natale, l’ultimo felice nella casa dei miei genitori. L’albero scintillava, fra le luci occhieggiavano le palline colorate, il presepe risuonava dell’allegra cascatella tra la Sacra famiglia, il bue, l’asinello e gli zampognari, sul tavolo, adagiati nei vassoi, promanavano i loro profumi i diversi dolci tipici della festa, negli armadi ben stirati erano pronti gli abiti dell’occasione che di lì a poco sarebbero stati indossati.

Quella farfalla continuava a volarmi intorno…Mi venne in mente che gli antichi consideravano questa splendida creatura alata animale psicopompo, tramite fra il cielo e la terra, fra i vivi e i trapassati…e d’improvviso non fui più sola, la casa si animò. Insieme ai miei fratelli e a mia sorella, ero tornata bambina, e i miei genitori erano giovani e si amavano e si preoccupavano  e si occupano di noi figli con eguale amorevolezza. Tutti insieme concorrevamo ai preparativi delle festività: mia madre era affaccendata nella preparazione dei piatti tipici del periodo natalizio, mio padre  allestiva l’albero, vero, scelto accuratamente per altezza e ricchezza di fronde fra mille altri al mercato, e il presepe, che avrebbe realizzato non troppo grande ma di giuste dimensioni, che potesse ben ricreare l’atmosfera del sacro evento. Noi bambini, seduti intorno al tavolo del soggiorno (ché piccola era la nostra cameretta, adatta solo per dormire), ripassavamo la poesia da recitare e scrivevamo in bella copia, su carta rigata con il disegno della Natività brillantinata, la letterina che, poi, avremmo infilato sotto il piatto di nostro padre.

Palpabile era la letizia che inondava i nostri cuori, emozione genuina, autentica. Nulla scalfiva la dolcezza che ci pervadeva, ignari che il tempo, inevitabile, come un tarlo avrebbe roso i nostri giorni, lontano era il pensiero dai dolori che il destino aveva in serbo per noi, dalle tempeste che ci avrebbero colpiti, lontani a venire i giorni in cui i nostri affetti, l’uno dopo l’altro, ci sarebbero stati sottratti. Nei nostri cuori c’era posto solo per  la gioia, che divenne perfetta quando alla tavola imbandita a festa vidi sedersi anche i nostri nonni. Ero felice, ero così felice di stare con tutti i miei cari, di fare bonari dispetti a mia sorella,  di lasciarmi canzonare da mio fratello, di ripassare la poesia e di scrivere la letterina, di vedere i miei genitori scambiarsi sguardi e sorrisi da innamorati, che, come un grillo, saltellavo da un luogo all’altro della casa …Improvviso, un rumore ferì le mie orecchie, aprii gli occhi di colpo e mi resi conto che il calice mi era scivolata dalle mani e giaceva in terra, sfatto in mille pezzettini scintillanti bagnati di vino… I cari fantasmi erano svaniti. Avevo sognato, ero di nuovo ad intristire  da sola, ed era scomparsa anche la mia silenziosa compagna, la farfalla, svanita, chissà dove, pure lei, insieme alle care presenze….ma il sogno era stato così reale! Mi sembrava ancora di vederli, tutti, ancora potevo udirne le voci, ascoltarne i discorsi, sentirli ridere allegramente. Cercai di trattenere dentro di me il più possibile il calore delle loro presenze, e funzionò, sentii il mio cuore addolcirsi come le labbra quando i denti affondano in un morbido pasticcino alla crema.

Da quella volta, non so spiegare perché succeda, la notte di Natale faccio sempre questo bellissimo sogno. È sempre lo stesso in tutti i suoi particolari, puntuale ogni anno si ripresenta riproponendomi la solita scena. So che anche quest’anno accadrà: ritroverò tutti i miei cari nel mio meraviglioso sogno, e sarà realtà. Sì, accadrà a Natale.

 

 

 

 

  

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