Oh che vaga illusione fu l’amore!
La gioia, una corrente nel deserto;
tornando disillusa a quel bisogno,
la mia memoria stringe un vuoto sogno.
Charlotte Brontë, da Frances
Se ripenso a quel tempo lontano della mia adolescenza,
luminoso come una stella, fulgido come un diamante, è lui il
mio ricordo più bello: Bruno.
Io frequentavo il primo anno del ginnasio, lui era già
all’università. Non posso dire che ero la sua ragazza, non ci
furono parole ufficiali fra noi, diciamo che era il mio
compagno.
Mi aspettava in piazza ogni pomeriggio, io arrivavo, dopo
mille pretesti inventati con mia madre, sottraendo tempo allo
studio (tanto avrei recuperato!), ammaliata dalla linea
obliqua dei suoi occhi, dalle labbra morbide, dalla voce grave
come quella di un attore di teatro, dolce come una carezza di
bambino, dalla riservatezza che poteva essere scambiata per
superbia e che invece era quasi timidezza, dalle parole che
centellinava, ma che io, avida, aspettavo di ascoltare,
dall’incedere pacato come il suo carattere. Avrei voluto
gridare di gioia quando lo vedevo, ma gli scivolavo accanto in
silenzio; quasi distrattamente lui mi prendeva la mano e
c’incamminavamo.
Per giorni e giorni prima di conoscerlo l’avevo osservato e,
pian piano, me ne ero innamorata.
Passava ogni giorno sotto le finestre della mia casa, portava
a spasso il suo cane con un’eleganza che, ai miei occhi già
affascinati, appariva regale. Ero così presa da lui che nella
mia fantasia lo trasfiguravo, trasformandolo in un principe
azzurro in carrozza, in un cavaliere in andatura lenta in
groppa al suo destriero.
Con la stessa fedeltà con cui il suo cane lo seguiva,
puntualmente aspettavo il suo passaggio, e sospiravo e
fantasticavo dietro i vetri, e sempre più me ne innamoravo. Ma
lui non sapeva di me, nemmeno mi vedeva, mai una volta che il
suo sguardo si fosse alzato in direzione delle mie finestre,
mai una volta che, per strada, ci fossimo incrociati! Passava
di sera, in un orario in cui mi era vietato uscire. Guardavo
le stelle e guardavo la strada attendendo di vedere la sua
sagoma alta avanzare nel crepuscolo, e pensavo che le stelle e
Bruno s’assomigliavano, non avrei mai potuto avere né le
stelle né lui ma, complice la luna, ugualmente lo aspettavo.
La famiglia, la scuola, lo studio, le preoccupazioni per le
interrogazioni, il gruppo di amici con i quali tanti interessi
dividevo, mai riuscivano a distrarmi dal mio pensiero fisso, e
se, talvolta, accadeva, subito dopo con la mente e con il
cuore sempre a lui ritornavo, finché un giorno non ressi più,
meditai un piano, mi feci ardita, scrissi un biglietto, un
poco ingenuo, un poco patetico (ricordandolo ora!), in cui,
chiamandolo “caro sconosciuto”, gli confidavo che ogni giorno
lo vedevo passare sotto le finestre di casa mia e che volevo
conoscerlo, e chiesi a una mia amica di consegnargli quel mio
breve scritto a me sacro come una reliquia.
La mia messaggera d’amore, messaggera già nel nome- si
chiamava Angela- amica fidata, quanto me ingenua e
incosciente, con mia grande sorpresa acconsentì. Aspettò Bruno
in strada e gli consegnò il biglietto in cui gli davo
appuntamento.
Quasi mi parve che il cuore mi balzasse fuori dal petto per la
felicità quando lo vidi in attesa puntuale al luogo indicato,
e quando, poi, scambiammo le prime imbarazzate parole ancora
oggi non riesco a capire come mai per l’emozione non venni
meno.
Da allora in poi cominciarono gl’incontri, regolari, assidui.
Al solo vederlo arrivare da lontano il mio cuore faceva
capriole: era il mio primo amore!
Tutto mi piaceva di lui, i capelli un poco lunghi, la barba di
giovane uomo, i baffi sottili che disegnavano due stretti
archi sopra le belle labbra, l’odore di buono e di pulito, il
profumo di sapone di Marsiglia emanato dalle sue camicie nella
stagione estiva, dai maglioni a trecce a colto alto nella
stagione fredda, lo strano modo di annodare il foulard intorno
al collo, e poi la sua semplicità, la modestia,
l’intelligenza, la sensibilità alle istanze sociali, i
ragionamenti e le lucide critiche ai forti cambiamenti che,
allora, scuotevano il mondo, anche perché, più grande di me,
meglio li comprendeva.
Stavamo insieme fino al tramonto, fino a che, contro il cielo
variopinto che rifletteva i colori finali del giorno,
specchiato nel mare azzurro della nostra bella città
mediterranea, il vulcano, così simile a un angelo che ad ali
spiegate protegga la città, non diveniva blu lavagna.
Abbracciati stretti stretti facevamo lunghe passeggiate,
sempre approdando, dopo un largo giro, a una vecchia stazione
ferroviaria dismessa, seminascosta da rovi, siepi e cespugli.
Affondando le scarpe fra erbe selvatiche e umili fiori
spontanei, in un silenzio assorto, lì sostavamo,
nell’abbandono dei vecchi binari, fra l’odore di morto
fogliame, di muffa, di stantio, di catene e catenacci
arrugginiti, a scambiarci timidamente baci ardenti, sempre io
confusa e balbettante di turbamento per le nuove sensazioni
che mi davano brividi intensi come una vertigine.
Ma quegli
incontri, che pure trepidante attendevo, avevano il sapore
della malinconia, perché Bruno non mi amava, ancora non mi
amava, forse non mi avrebbe mai amata, forse si sarebbe pure
stancato presto di me, non mi avrebbe più cercata, non sarebbe
più venuto agli appuntamenti, non sarebbe nemmeno mai più
passato col suo cane sotto le mie finestre e mai più l’avrei
rivisto, o forse sì, un giorno per caso l’avrei incontrato e
lui m’avrebbe guardata solo di sfuggita con uno sguardo
indifferente, come si fa quando per un attimo tra la folla per
strada per caso s’incrocia il volto di uno sconosciuto. Era il
mio compagno, non era il mio innamorato, altri ragazzi erano
innamorati di me, ma gli altri nemmeno li vedevo, avevo occhi
solo per lui, ma lui non mi amava, non aveva mai detto di
amarmi.
Illanguidivo in quel sentimento, mi
disperavo dal dolore, mi lasciavo rodere da un oscuro
tormento, ma restavo aggrappata al mio amore e sempre, poi,
tornavo a sognare sogni luminosi come il riverbero del sole
quando si specchia in una pozza d’acqua tornato il sereno dopo
la pioggia.
Sognavo il suo amore, sognavo di
sentire un giorno dalla sua voce le stesse parole che, nel suo
ultimo disco, il cantante famoso di turno nel ritornello
ripeteva all’innamorata:
Questo disco è il mio pensiero d’amore per te/ogni volta che
lo senti suonare pensa a me! Bruno sapeva che molto mi
piacevano il cantante e la canzone, e, anche se mai me lo
disse, ero consapevole che non approvava la mia preferenza,
abituato all’ascolto di brani musicali più impegnati
che, crescendo, anch’io, poi, avrei apprezzato.
Sempre più dentro di me s’ingigantiva il sentimento, come un
soffice pane messo al caldo a lievitare, come un timido
bocciolo di rosa che s’apre sempre più al tepore del sole…e
abbandonavo i libri di greco e di latino per correre da lui.
Appoggiavo la testa sulla sua spalla, lui con una mano mi
stringeva, con l’altra mi carezzava il capo con un gesto lento
come la discesa di una foglia ingiallita dall’autunno,
lasciando, così, svanire il mio tormento d’amore, che di certo
indovinava, che non gli rivelavo, che mia madre sospettava,
che solo al mio diario confidavo. Aprivo il lucchetto, vergavo
qualche pagina versando lacrime amare mentre scrivevo delle
mie pene d’amore e poi, proprio come se fosse un nastro che
legasse un prezioso fascio di romantiche lettere d’altri
tempi, con cura lo richiudevo e nascondevo il diario, per
riprenderlo la volta successiva per confidargli di nuovo,
sempre e solo, il mio amore per Bruno.
Ormai mi
stavo rassegnando, io lo amavo, ma lui non mi amava, avrebbe
finito per allontanarsi da me, quand’ecco che un giorno, si
era sul finire della primavera, incombeva l’estate, la fine
della scuola (la fine dei miei incontri d’amore?),
d’improvviso Bruno mi sorprese canticchiando piano il
ritornello di quella canzone in voga che tanto mi piaceva, la
sua voce dilagò nell’aria ma poi esplose nel mio cuore quando,
subito dopo, mi sussurrò all’orecchio: Francesca, ti
amo, mi sono innamorato di te…Hai capito cosa ti ho detto? Mi
sono innamorato di te.
Al solo ricordare ancora oggi mi assale una forte emozione, e
penso con tenerezza alla gioia della giovane me stessa di
allora che, alle sospirate parole d’amore, giunte così
inattese, per poco non svenne. Ma non so dire, poi, come fu
che tutto finì, che la vita ci separò; io che mi sentivo
morire al solo pensiero di perderlo, lo persi. Fu lui ad
allontanarsi? Fui io ad allontanarmi? Non so. Non ricordo un
addio disperato, e nemmeno una lenta indifferenza fra noi,
davvero non so. È come se su quel tempo fosse calato un velo
nero che, pur sollevandolo, solo il buio dell’ignoto lascia
intravedere. Ricordo bene, però, che, anni dopo, lo rividi per
caso, e ci parlammo, e di nuovo provai la stessa attrazione,
ma troppe cose erano cambiate, e allora non osammo sfiorarci
nemmeno con un dito.
Forse non smisi mai di amarlo
se, per anni, continuai a cercare un volto dagli occhi
obliqui, forse, in qualche modo, nonostante siano trascorsi
tanti anni, non ho mai smesso di amarlo se ancora oggi mi
attrae un volto che, se pur vagamente, mi ricorda il suo di
allora.
E anche adesso che affido il mio ricordo alla pagina bianca
mi pare che in cuore mi torni l’amore di un tempo perché,
mentre
scrivo, toccandomi il viso lo scopro rigato di lacrime.
Non lo rivedrò mai più, di questo son certa, in fondo noi due
non fummo che due rondini incrociatesi solo per un istante
nella vastità del cielo prima d’involarsi verso opposte
direzioni, ma sempre quando penso a lui mi sorprendo con la
stessa espressione sognante della Jeune Femme Réveuse
del quadro di Émile Vernon, con gli occhi lucidi come
una ragazzina, come la ragazzina che ero allora, e, pur se gli
anni sono trascorsi e la vita altrove mi ha sospinta, mi fingo
come un tempo stretta a lui in giro per la mia città natale, e
di nuovo mi coglie l’aspra nostalgia da innamorata che mi
faceva fremere di ansia e d’attesa e mi faceva tremare di
pianto.
Bruno è come una melodia del passato che,
riascoltata, risuscita nel cuore nostalgici ricordi, è come un
sogno luminoso della mia giovinezza che non è mai svanito e
che continuo a sognare, e, forse, pensare a lui è anche un po’
come riafferrare la mia età spensierata, semplice, priva di
affanni e preoccupazioni, quando il mio unico cruccio era
l’amore per lui.