Francesca Santucci

 

Il ricordo più bello

 (Francesca Santucci, Del mare, dell'amore e d'altre storie, Youcanprint 2018, racconti)

 

 

Oh che vaga illusione fu l’amore!

La gioia, una corrente nel deserto;

tornando disillusa a quel bisogno,

la mia memoria stringe un vuoto sogno.

Charlotte  Brontë, da Frances

 

Se ripenso a quel tempo lontano della mia adolescenza, luminoso come una stella, fulgido come un diamante, è lui il mio ricordo più bello: Bruno.
Io frequentavo il primo anno del ginnasio, lui era già all’università. Non posso dire che ero la sua ragazza, non ci furono parole ufficiali fra noi, diciamo che era il mio compagno.
Mi aspettava in piazza ogni pomeriggio, io arrivavo, dopo mille pretesti inventati con mia madre, sottraendo tempo allo studio (tanto avrei recuperato!), ammaliata dalla linea obliqua dei suoi occhi, dalle labbra morbide, dalla voce grave come quella di un attore di teatro, dolce come una carezza di bambino, dalla riservatezza che poteva essere scambiata per superbia e che invece era quasi timidezza, dalle parole che centellinava, ma che io, avida, aspettavo di ascoltare, dall’incedere pacato come il suo carattere. Avrei voluto gridare di gioia quando lo vedevo, ma gli scivolavo accanto in silenzio; quasi distrattamente lui mi prendeva la mano e c’incamminavamo.
Per giorni e giorni prima di conoscerlo l’avevo osservato e, pian piano, me ne ero innamorata.
Passava ogni giorno sotto le finestre della mia casa, portava a spasso il suo cane con un’eleganza che, ai miei occhi già affascinati, appariva regale. Ero così presa da lui che nella mia fantasia lo trasfiguravo, trasformandolo in un principe azzurro in carrozza, in un cavaliere in andatura lenta in groppa al suo destriero.
Con la stessa fedeltà con cui il suo cane lo seguiva, puntualmente aspettavo il suo passaggio, e sospiravo e fantasticavo dietro i vetri, e sempre più me ne innamoravo. Ma lui non sapeva di me, nemmeno mi vedeva, mai una volta che il suo sguardo si fosse alzato in direzione delle mie finestre, mai una volta che, per strada, ci fossimo incrociati! Passava di sera, in un orario in cui mi era vietato uscire. Guardavo le stelle e guardavo la strada attendendo di vedere la sua sagoma alta avanzare nel crepuscolo, e pensavo che le stelle e Bruno s’assomigliavano, non avrei mai potuto avere né le stelle né lui ma, complice la luna, ugualmente lo aspettavo.
La famiglia, la scuola, lo studio, le preoccupazioni per le interrogazioni, il gruppo di amici con i quali tanti interessi dividevo, mai riuscivano a distrarmi dal mio pensiero fisso, e se, talvolta, accadeva, subito dopo con la mente e con il cuore sempre a lui ritornavo, finché un giorno non ressi più, meditai un piano, mi feci ardita, scrissi un biglietto, un poco ingenuo, un poco patetico (ricordandolo ora!), in cui, chiamandolo “caro sconosciuto”, gli confidavo che ogni giorno lo vedevo passare sotto le finestre di casa mia e che volevo conoscerlo, e chiesi a una mia amica di consegnargli quel mio breve scritto a me sacro come una reliquia.
La mia messaggera d’amore, messaggera già nel nome- si chiamava Angela- amica fidata, quanto me ingenua e incosciente, con mia grande sorpresa acconsentì. Aspettò Bruno in strada e gli consegnò il biglietto in cui gli davo appuntamento.
Quasi mi parve che il cuore mi balzasse fuori dal petto per la felicità quando lo vidi in attesa puntuale al luogo indicato, e quando, poi, scambiammo le prime imbarazzate parole ancora oggi non riesco a capire come mai per l’emozione non venni meno.
Da allora in poi cominciarono gl’incontri, regolari, assidui. Al solo vederlo arrivare da lontano il mio cuore faceva capriole: era il mio primo amore!
Tutto mi piaceva di lui, i capelli un poco lunghi, la barba di giovane uomo, i baffi sottili che disegnavano due stretti archi sopra le belle labbra, l’odore di buono e di pulito, il profumo di sapone di Marsiglia emanato dalle sue camicie nella stagione estiva, dai maglioni a trecce a colto alto nella stagione fredda, lo strano modo di annodare il foulard intorno al collo, e poi la sua semplicità, la modestia, l’intelligenza, la sensibilità alle istanze sociali, i ragionamenti e le lucide critiche ai forti cambiamenti che, allora, scuotevano il mondo, anche perché, più grande di me, meglio li comprendeva.
Stavamo insieme fino al tramonto, fino a che, contro il cielo variopinto che rifletteva i colori finali del giorno, specchiato nel mare azzurro della nostra bella città mediterranea, il vulcano, così simile a un angelo che ad ali spiegate protegga la città, non diveniva blu lavagna.
Abbracciati stretti stretti facevamo lunghe passeggiate, sempre approdando, dopo un largo giro, a una vecchia stazione ferroviaria dismessa, seminascosta da rovi, siepi e cespugli. Affondando le scarpe fra erbe selvatiche e umili fiori spontanei, in un silenzio assorto, lì sostavamo, nell’abbandono dei vecchi binari, fra l’odore di morto fogliame, di muffa, di stantio, di catene e catenacci arrugginiti, a scambiarci timidamente baci ardenti, sempre io confusa e balbettante di turbamento per le nuove sensazioni che mi davano brividi intensi come una vertigine.
Ma quegli incontri, che pure trepidante attendevo, avevano il sapore della malinconia, perché Bruno non mi amava, ancora non mi amava, forse non mi avrebbe mai amata, forse si sarebbe pure stancato presto di me, non mi avrebbe più cercata, non sarebbe più venuto agli appuntamenti, non sarebbe nemmeno mai più passato col suo cane sotto le mie finestre e mai più l’avrei rivisto, o forse sì, un giorno per caso l’avrei incontrato e lui m’avrebbe guardata solo di sfuggita con uno sguardo indifferente, come si fa quando per un attimo tra la folla per strada per caso s’incrocia il volto di uno sconosciuto. Era il mio compagno, non era il mio innamorato, altri ragazzi erano innamorati di me, ma gli altri nemmeno li vedevo, avevo occhi solo per lui, ma lui non mi amava, non aveva mai detto di amarmi.
Illanguidivo in quel sentimento, mi disperavo dal dolore, mi lasciavo rodere da un oscuro tormento, ma restavo aggrappata al mio amore e sempre, poi, tornavo a sognare sogni luminosi come il riverbero del sole quando si specchia in una pozza d’acqua tornato il sereno dopo la pioggia.
Sognavo il suo amore, sognavo di sentire un giorno dalla sua voce le stesse parole che, nel suo ultimo disco, il cantante famoso di turno nel ritornello ripeteva all’innamorata: Questo disco è il mio pensiero d’amore per te/ogni volta che lo senti suonare pensa a me! Bruno sapeva che molto mi piacevano il cantante e la canzone, e, anche se mai me lo disse, ero consapevole che non approvava la mia preferenza, abituato all’ascolto di brani musicali  più impegnati che, crescendo, anch’io, poi, avrei apprezzato.
Sempre più dentro di me s’ingigantiva il sentimento, come un soffice pane messo al caldo a lievitare, come un timido bocciolo di rosa che s’apre sempre più al tepore del sole…e abbandonavo i libri di greco e di latino per correre da lui. Appoggiavo la testa sulla sua spalla, lui con una mano mi stringeva, con l’altra mi carezzava il capo con un gesto lento come la discesa di una foglia ingiallita dall’autunno, lasciando, così, svanire il mio tormento d’amore, che di certo indovinava, che non gli rivelavo, che mia madre sospettava, che solo al mio diario confidavo. Aprivo il lucchetto, vergavo qualche pagina versando lacrime amare mentre scrivevo delle mie pene d’amore e poi, proprio come se fosse un nastro che legasse un prezioso fascio di romantiche lettere d’altri tempi, con cura lo richiudevo e nascondevo il diario, per riprenderlo la volta successiva per confidargli di nuovo, sempre e solo, il mio amore per Bruno.
Ormai mi stavo rassegnando, io lo amavo, ma lui non mi amava, avrebbe finito per allontanarsi da me, quand’ecco che un giorno, si era sul finire della primavera, incombeva l’estate, la fine della scuola (la fine dei miei incontri d’amore?), d’improvviso Bruno mi sorprese canticchiando piano il ritornello di quella canzone in voga che tanto mi piaceva, la sua voce dilagò nell’aria ma poi esplose nel mio cuore quando, subito dopo, mi sussurrò all’orecchio: Francesca, ti amo, mi sono innamorato di te…Hai capito cosa ti ho detto? Mi sono innamorato di te.

Al solo ricordare ancora oggi mi assale una forte emozione, e penso con tenerezza alla gioia della giovane me stessa di allora che, alle sospirate parole d’amore, giunte così inattese, per poco non svenne. Ma non so dire, poi, come fu che tutto finì, che la vita ci separò; io che mi sentivo morire al solo pensiero di perderlo, lo persi. Fu lui ad allontanarsi? Fui io ad allontanarmi? Non so. Non ricordo un addio disperato, e nemmeno una lenta indifferenza fra noi, davvero non so. È come se su quel tempo fosse calato un velo nero che, pur sollevandolo, solo il buio dell’ignoto lascia intravedere. Ricordo bene, però, che, anni dopo, lo rividi per caso, e ci parlammo, e di nuovo provai la stessa attrazione, ma troppe cose erano cambiate, e allora non osammo sfiorarci nemmeno con un dito.
Forse non smisi mai di amarlo se, per anni, continuai a cercare un volto dagli occhi obliqui, forse, in qualche modo, nonostante siano trascorsi tanti anni, non ho mai smesso di amarlo se ancora oggi mi attrae un volto che, se pur vagamente, mi ricorda il suo di allora.
E anche adesso che affido il mio ricordo alla pagina bianca mi pare che in cuore mi torni l’amore di un tempo perché, mentre scrivo, toccandomi il viso lo scopro rigato di lacrime.
Non lo rivedrò mai più, di questo son certa, in fondo noi due non fummo che due rondini incrociatesi solo per un istante nella vastità del cielo prima d’involarsi verso opposte direzioni, ma sempre quando penso a lui mi sorprendo con la stessa espressione sognante della Jeune Femme Réveuse del quadro di  Émile Vernon, con gli occhi lucidi come una ragazzina, come la ragazzina che ero allora, e, pur se gli anni sono trascorsi e la vita altrove mi ha sospinta, mi fingo come un tempo stretta a lui in giro per la mia città natale, e di nuovo mi coglie l’aspra nostalgia da innamorata che mi faceva fremere di ansia e d’attesa e mi faceva tremare di pianto.
Bruno è come una melodia del passato che, riascoltata, risuscita nel cuore nostalgici ricordi, è come un sogno luminoso della mia giovinezza che non è mai svanito e che continuo a sognare, e, forse, pensare a lui è anche un po’ come riafferrare la mia età spensierata, semplice, priva di affanni e preoccupazioni, quando il mio unico cruccio era l’amore per lui.

 

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