Francesca Santucci
Il perduto
amore
(Antologia
AA.VV., " I Cannibali Questioni di famiglia nel cinema,
nell'arte nella letteratura",
Efesto 2019)
Antologia presentata all'evento collaterale
della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia
2019, dedicata dal Centro Studi di
Psicologia dell'Arte e Psicoterapie quest'anno alla famiglia.
Appena sveglia mi colpì uno strano silenzio, come se la casa
fosse deserta, eppure sapevo che non lo era. Non una voce, un
passo, un suono, un profumo, un rumore, nemmeno gli aromi
familiari del latte e del caffè. A piedi nudi, sul pavimento
freddo, rabbrividendo, andai in cucina per cercare mia madre…
non c’era, e non era nemmeno nelle altre stanze che avevano le
porte spalancate, tutte tranne una: la camera dei miei
genitori. Abbassai la maniglia, cercai di aprirla, ma era
chiusa con la chiave, che nella toppa non c’era. Nel salotto, dalla persiana semi abbassata dalla quale
filtravano i primi sbiaditi raggi di luce del mattino, trovai
mio padre. Seduto sul divano, immobile, senza l’abituale
sigaretta del mattino fra le dita, dietro gli occhiali fissava
un punto nel vuoto. Lo vidi stranamente invecchiato, con delle
rughe intorno agli occhi che non avevo mai notato prima. -Papà? - chiamai con voce bassa e querula, sul punto
di piangere, perché mi spaventavano l’assenza di mia madre, il
silenzio e quella stanza chiusa a chiave. Si riscosse e, sempre fissando quel punto nel vuoto, mi chiese
di chiamare i miei fratelli, ma di lasciar dormire il più
piccolo. Eseguii all’istante.
Poco dopo, con lo sguardo in direzione della stanza
dall’accesso proibito, con voce grave ci annunciò che la mamma
ci aveva lasciati, per sempre. Concluse dicendo: -Ora siamo noi la famiglia e dobbiamo andare avanti. Siate
forti, bambini, affronteremo insieme la vita con coraggio!- Sentii mille scintille scoppiarmi nella testa. Bugie! Bugie!
Bugie! Non eravamo più una famiglia, ma una cosa monca,
mutilata, come un corpo senza una gamba, che può ancora
camminare, ma sorreggendosi a un bastone. Con gli occhi colmi
di lacrime, bambina che vive un dramma troppo grande per i
suoi pochi anni, guardai l’albero… Era venuto proprio bene l’albero quell’anno! I fili d’oro
alternati a quelli d’argento, i blu ai rossi e ai multicolori,
le catenelle che s’incrociavano e si reincrociavano in allegra
fuga in verticale, in obliquo e in orizzontale, i globi
colorati sapientemente disposti per differenti dimensioni e
tonalità, i due angeli vestiti di raso celeste e bianco posti
quasi alla sommità, le luci fisse e intermittenti
occhieggianti tra i rami, e infine il bel punteruolo blu,
quasi contro il soffitto. Ricordai che era Capodanno, il primo giorno di un nuovo anno.
Soltanto il giorno prima mia madre c’era, e si preoccupava
per noi e ci curava e ci proteggeva e ci amava, e sorrideva al
profumato giacinto azzurro fiorito nella caraffa di cristallo
che con tanto garbo aveva coltivato. Dov’era il sorriso di mia madre? Guardai il bulbo fiorito,
guardai le punte dei miei piedi scalzi e di nuovo mi sfiorò
una sensazione di freddo. Dov’eri, mamma, dov’eri, ora?… E
perché eri andata via?… Cosa avremmo fatto oggi, domani,
dopodomani e il resto della vita senza di te?
Mille interrogativi, mille dubbi ai quali il tempo avrebbe
dato delle risposte (consolazione mai!): ma intanto? Stavo per crollare, già sentivo le lacrime pungermi gli occhi,
quando avvertii un pianto sommesso e continuo: il più piccolo
dei miei fratellini si era svegliato e voleva la mamma.
Mi precipitai in camera, lo presi in braccio e, cullandolo,
gli sussurrai: - Non piangere, la mamma tornerà presto!- Invece non tornò più, e noi imparammo a vivere da mutilati,
rimpiangendo per tutta la vita il nostro perduto amore.
(racconto presente anche nell’antologia AA.VV., "Perle
d'amore", Apollo edizioni, 2017)
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