Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam.
Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza contro di me che io
nell’ascoltarla.
Giordano Bruno
La vita e la filosofìa di Giordano Bruno, figura solitaria, isolata nella
cultura del tempo, complessa, di non facile classificazione, esuberante e
appassionato, impulsivo e collerico, insofferente verso il pedantismo
accademico e dotato d’acceso spirito di contestazione, sprezzante della
menzogna e dell’ipocrisia, che non concepiva alcuna forma di religione
intesa come culto formale e come complesso di credenze rivelate,
guidato dall’impulso della libera indagine razionale, non
sottoposta a dogmi precostituiti, per fondare una nuova scienza oltre i
limiti imposti dall’autorità della Chiesa e delle scuole ufficiali, furono
segnate da due grandi eventi storici: la riforma protestante, che
determinò la definitiva rottura dell'unità religiosa e politica europea, e
il copernicanesimo, la distruzione della cosmologia aristotelica, sulla
quale si basava una visione del mondo ritenuta immodifìcabile. Difensore
assoluto della sua libertà speculativa, perciò, pur di conservarla, oltre
al cattolicesimo, praticò anche altri culti (il calvinismo a Ginevra,
l’anglicanesimo a Londra, il luteranesimo a Wittemberg), elaborò una
propria filosofia in cui riteneva che la natura fosse pervasa da un’unica
forza divina (immanente) e che il divino soprannaturale fosse oggetto
soltanto di fede, contrapponendo all’universo aristotelico finito e diviso
l’idea di un universo infinito e unitario. Queste sue teorie di ricerca
filosofica non circoscritta, ma aperta all’infinito sapere, andarono,
però, a scontrarsi con le forme ufficiali chiuse e prestabilite della
tradizione e con le posizioni controriformistiche, rendendolo inviso alla
Chiesa, costringendolo all’esilio e portandolo a morte.
Nato a Nola, in Campania, nel 1548, in una famiglia della piccola nobiltà
locale, Filippo (questo il suo vero nome) era entrato adolescente, nel
1565, nell’Ordine domenicano, mutando allora il suo nome in “Giordano”. Fu
a lungo nel convento di San Domenico Maggiore a Napoli, e nel 1572 venne
ordinato sacerdote. Si addottorò in teologia, ma poi preferì lo studio
dell’arte della memoria (un insieme di tecniche volte a sostenere la
memoria per farle acquisire il più ampio sapere possibile, di antica
tradizione, consigliata dai grandi autori del passato come Cicerone e
Quintiliano) e delle filosofie ermetiche, neoplatoniche, magiche,
naturalistiche, ma nel 1576, per la sua spregiudicatezza, per aver
posseduto testi considerati proibiti e messi all’indice dal Sacro Uffizio,
ed aver manifestato opinioni eterodosse, subì vari processi all’interno
dell’ordine domenicano. Per discolparsi si recò a Roma, ma, colpito da
nuove accuse, preferì lasciare l’ordine e fuggire; iniziò, allora, il suo
vagabondaggio da un paese all’altro dell’Europa centrale e occidentale,
continuando a elaborare e a esporre attraverso i suoi scritti una
filosofia basata sui concetti dell’infinità dell’universo, dell’unità
della natura e della divinità del cosmo.
Nel 1578 si rifugiò a Ginevra, dove divenne calvinista, ma ben presto
anche qui incorse in problemi di ortodossia e contrasti con le autorità,
per cui riparò in Francia, prima a Tolosa, dove insegnò filosofia, e poi a
Parigi, dove pubblicò le sue prime opere, sull'arte della memoria, De
umbris idearum (Cantus circaeus), Sigillus sigillorum, e la commedia
Il Candelaio, una complessa satira dell'accademico pedante astratto
dalla vita, in cui analizza i vari comportamenti e temperamenti, anche
folli, della società, celando, sotto dialoghi violentemente comici,
concetti più sottili già espressi nell’opera in latino De umbris
idearum (Le ombre delle idee).
Nel 1583 si trasferì, poi, in Inghilterra sotto la protezione diplomatica
francese, ed entrò in contatto con la corte di Elisabetta, dove sperava di
veder realizzato il suo sogno di una riforma universale, morale e
politica, legata a idee di rinnovamento magico e astrologico. A Londra
pubblicò le sue opere italiane, i dialoghi La cena de le ceneri, De la
causa, principio e uno, De l'infinito, universo e mondi, Spaccio de la
bestia trionfante e De gli eroici furori (1584-85), descrivendo, in
quest’ultimo dialogo, l’iniziazione alla vita intellettuale attraverso la
bella favola mitologica di Atteone,
esperto cacciatore, che un giorno, durante una caccia al cervo con i suoi
cani, scorge la dea Diana presso una fonte intenta a bagnarsi con le
Ninfe. Appena la dea si accorge della sua presenza, risentita per la sua
impudenza, gli spruzza dell’acqua sul volto e poi lo tramuta in cervo.
Fuggendo Atteone si accorge di essere tanto veloce nella corsa perché,
specchiatosi in una fonte, si rende conto del suo nuovo aspetto. Incredulo
e disperato, viene raggiunto dai cani che, catturatolo, lo uccidono.
Alle selve i mastini e i veltri slaccia il giovan Atteon, quand'il destino di boscareccie fiere appo la traccia. Ecco tra l'acqui il più bei busto e faccia, che veder poss'il mortai e divino, in ostro ed alabastro ed oro fino vedde; e '1 gran cacciator dovenne caccia.
Il cervio ch'a' più folti
luoghi drizzav' i passi più leggieri,
ratto voraro i suoi gran cani e molti.
I' allargo i miei pensieri
ad alta preda, ed essi a me rivolti
morte mi dàn con morsi crudi e fieri.1
Per Bruno Atteone significava l'intelletto intento alla caccia della
divina sapienza, i mastini e i veltri (i cani) erano gli
strumenti della conoscenza, le fiere le specie intelligibili de’
concetti ideali, le acque le opre dove riluce l’efficacia della
bontade e splendor divino, le forme e i colori della donna gli
attributi di Dio. Inoltre Atteone, cacciatore che diventa preda (gran
cacciator dovenne caccia), rappresentava la trasformazione dell'uomo
che ha assimilato in sé la natura divina. Ma particolarmente
interessante, per la sorprendente modernità, anche il pensiero espresso da Giordano Bruno sulle donne in
De la causa
principio et uno:
"Torno a scongiurarvi
tutti in generale… che dismettiate quella rabbia contumace e quell’odio
tanto criminale contra il nobilissimo sesso femenile; e non ne turbate
quanto ha di bello il mondo, e il cielo con suoi tanti occhi scorge.
Ritornate, ritornate a voi, e richiamate l’ingegno, per cui veggiate che
questo vostro livore non è altro che mania espressa e frenetico furore.
Chi è più insensato e stupido, che quello che non vede la luce? Qual
pazzia può esser più abietta, che per raggion di sesso, esser nemico all’istessa
natura…. Mirate chi sono i maschi, chi sono le femine. Qua scorgete per
suggetto il corpo, ch’è vostro amico, maschio, là l’anima che è vostra
nemica, femina. Qua il maschio caos, là la femina disposizione; qua il
sonno, là la vigilia; qua il letargo, là la memoria; qua l’odio, là
l’amicizia; qua il timore, là la sicurtà; qua il rigore, là la gentilezza;
qua il scandalo, là la pace; qua il furore, là la quiete; qua l’errore, là
la verità; qua il difetto, là la perfezione; qua l’inferno, là la
felicità;….E finalmente tutti vizii, mancamenti e delitti son maschi; e
tutte le virtudi, eccellenze e bontadi son femine. Quindi la prudenza, la
giustizia, la fortezza, la temperanza, la bellezza, la maestà, la dignità,
la divinità, cossì si nominano, cossì s’imaginano, cossì si descriveno,
cossì si pingono, cossì sono.E per uscir da queste raggioni teoriche,
nozionali e grammaticali, convenienti al vostro argumento, e venire alle
naturali, reali e prattiche…"
(Giordano Bruno, De
la causa principio et uno)
A Londra Giordano Bruno tentò, come fece per tutta la vita nelle varie
università europee, d’insegnare filosofìa, commentando i libri di
Aristotele e tenendo dispute pubbliche durante le quali attaccava
violentemente l'aristotelismo accademico, finendo per inimicarsi gli
ambienti universitari e le autorità, per questo motivo, tornato a Parigi,
dovette ben presto lasciarla nuovamente. Si recò, allora, in Germania,
dove insegnò all'università di Wittenberg, patria del luteranesimo, e poi
a Praga, alla corte dell'imperatore Rodolfo II, dove pubblicò un’operetta
matematica che, però, fu accolta, freddamente.Trascorse poi un anno a
Heimstaedt, dove compose la trilogia di poemi latini De monade, De
minimo, De immenso, nata dall’intento di esporre sistematicamente il
suo pensiero, e che pubblicò a Francoforte nel 1590-91; inoltre compose
alcuni scritti magici.
Nel 1591, non senza rischio, essendo un ex frate che aveva abbracciato
confessioni diverse e aveva ostentato disprezzo verso la religione
ufficiale, fece ritorno in Italia, accogliendo l’invito del nobile
veneziano Giovanni Mocenigo, che l'aveva chiamato perché gli insegnasse la
mnemotecnica e le arti magiche. Giordano Bruno sperava di riuscire a
convincere il pontefice ad accogliere le sue nuove teorie e ad avviare la
sua riforma religiosa, invece fu denunciato al Santo Uffìzio di Venezia
proprio dal suo nobile ospite (forse spaventato dalle sue idee e dai suoi
modi spregiudicati, o forse deluso nelle sue ingenue speranze di poter
controllare tutto lo scibile umano) con queste accuse:
Che è biastemia grande quella de' cattolici il dire che il pane si
transustantii in carne;
Che
lui è nemico della messa;
Che
niuna religione gli piace;
Che
Christo fu un tristo et che, se faceva opere triste di sedur popoli,
poteva molto ben predire di dover esser impicato;
Che
non vi è distintione in Dio di persone, et che questo sarebbe imperfetion
in Dio;
Che
il mondo è eterno, et che sono infiniti mondi, et che Dio ne fa infiniti
continuamente, perché dice che vuole quanto che può;
Che
Christo faceva miracoli apparenti et che era un mago, et così
gl'appostoli, et che a lui daria l'animo di far tanto, et più di loro;
Che
Christo mostrò di morir mal volentieri, et che la fuggì quanto che puoté;
Che
non vi è punitione de' peccati, et che le anime create per opera
della natura passano d'un animal in un altro;
Et
che come nascono gli animali brutti di corrutione, così nascono anco gli
huomini, quando doppo i diluvi ritornano a nasser.
Ha
mostrato dissegnar di voler farsi autore di nuova setta sotto nome di
nuova filosofia;
Che
la Vergine non può haver parturito, et
Che
la nostra fede catholica è tutta di bestemie contro la maestà di Dio;
Che
bisognarebbe levar la disputa e le entrate alli frati, perché imbratano il
mondo, che sono tutti asini, et che le nostre openioni sono dotrine
d'asini;
Che
non habbiamo prova che la nostra fede meriti con Dio; et
Che
il non far ad altri quello che non voressimo che fosse fatto a noi basta
per ben vivere; et
Che
se n'aride di tutti gl'altri peccati; et
Che
si meraviglia come Dio supporti tante heresie di catholici.
Dice
di voler attendere all'arte divinatoria, et che si vuole far correre
dietro tutto il mondo;
Che san Tommaso et tutti li dottori non hanno saputo niente a par di lui,
et che chiariria tutti i primi theologhi del mondo, che non sapriano
rispondere [...].
Dopo aver subito un processo a Venezia, Giordano Buno fu consegnato
all’Inquisizione romana e rinchiuso nelle carceri di Roma, ove restò per
otto anni, imprigionato in una vicenda giudiziaria tortuosa e lunga nella
speranza che abiurasse, impegnato in una vana autodifesa, parendo più
volte sul punto di rinnegare le proprie posizioni pur di salvare la vita,
mai piegandosi, tacendo, però, per sempre la sua affascinante scrittura
sospesa fra Medioevo e Umanesimo, commistione di elementi popolareschi e
dotti, fra lessico “basso” (realistico, ironico e grottesco attinto al
fondo dialettale napoletano) ed elementi dotti, attento anche al
linguaggio della mistica e della poesia amorosa, in uno stile tagliente,
incalzante, concitato, preoccupato soprattutto dell’essenza del pensiero e
non della forma attraverso cui esprimerlo.
Il Tribunale dell’Inquisizione gli contestò le affermazioni sull'eternità
e infinitezza dell'universo, sull'annientamento dell'anima individuale,
sul moto della terra e sull'animazione della terra e dei corpi celesti;
inoltre gli mosse i seguenti capi di accusa:
1.Avere opinioni contrarie alla fede cattolica
2. Avere opinioni eretiche sulla Trinità, la divinità e
l'incarnazione di Cristo
3. Avere opinioni eretiche su Cristo
4. Avere opinioni eretiche sull'eucaristia e la messa
5.Credere nell'esistenza e nell'eternità di più mondi
6.Credere nella metempsicosi
7.Praticare la divinazione e la magia
8.Non credere nella verginità di Maria
9.Essere lussurioso
10.Vivere al modo degli eretici protestanti
11 - Opinioni eretiche su Cristo
12 - Opinioni eretiche sull'inferno
13 - Opinioni eretiche su Caino e Abele
14 - Opinioni eretiche su Mosè
15
- Opinioni eretiche sui profeti
16 - Negazione dei dogmi della Chiesa
17
- Riprovazione del culto dei santi
18 - Disprezzo del breviario
19
- Blasfemia
20
- Intenzioni sovversive contro l'Ordine domenicano
21
- Disprezzo delle reliquie dei santi
22 - Negazione del culto delle immagini
Ma Giordano Bruno infine, convinto di non aver nulla di cui pentirsi, non
si sottomise, rifiutò definitivamente di ammettere la natura eretica delle
sue idee, non le sconfessò, e, fra le due vie “estreme” che gli si
prospettavano, l’abiura e il carcere a vita (con l’occultamento della
Verità) e la morte, scelse la morte. E così, accusato di eresia, dopo una
detenzione durata otto anni, considerate provate le accuse, il 20 gennaio
1600 Clemente VIII, rifiutando di fargli infliggere le ulteriori torture
richieste dai cardinali, condannò l’imputato, impenitente, ostinato e
pertinace, ad essere bruciato vivo sul rogo.
[...] proferimo in questi scritti, dicemo, pronuntiamo, sentenziamo et
dichiariamo te, fra Giordano Bruno predetto, essere eretico impenitente et
ostinato [...] et come tale te degradiamo verbalmente et dechiariamo dover
essere degradato, sì come ordiniamo et comandiamo che sii attualmente
degradato da tutti gl’ordini ecclesiastici maggiori et minori [...] et
dover essere scacciato, sì come ti scacciamo, dal foro nostro
ecclesiastico et dalla nostra santa et immacolata Chiesa, della cui
misericordia ti sei reso indegno; et dover esser rilasciato alla Corte
secolare, sì come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di
Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però
efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena
della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilatione di
membro.Di più, condanniamo, riprobamo et prohibemo tutti li sopradetti et
altri tuoi libri et scritti come eretici et erronei et continenti molte
eresie et errori, ordinando che tutti quelli che sin’hora si son havuti,
et per l’avenire verranno in mano del Santo Offitio siano pubblicamente
guasti et abbrugiati nella piazza
di San Pietro, avanti le scale, et come tali che siano posti nell’Indice
de’ libri prohibiti, sì come ordiniamo che si facci [...]
Alla lettura della sentenza, come riferito dall’umanista tedesco Caspar Schoppe,
rivolto ai suoi giudici, in tono minaccioso Giordano Bruno tuonò:
Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam. Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza contro di me che io
nell’ascoltarla.
Consegnato al Governatore di Roma, fu rinchiuso nel carcere criminale di
Tor di Nona in attesa dell’esecuzione stabilita per il 12 febbraio e poi
rinviata al 17 febbraio. Fu prelevato dal carcere all’alba dalla Confraternita di S. Giovanni
Decollato e condotto nella piazza romana di Campo de’ Fiori incatenato,
con l’abito penitenziale e, in segno di disprezzo, simbolo sinistro della
negazione controriformistica della libertà di parola, con la lingua in
giova, cioè in una morsa di legno che gli impediva di muovere la
lingua e, dunque, di parlare. Giunto sulla Piazza fu spogliato nudo e
legato ad un palo posto sopra una catasta di legna, dove venne arso vivo,
mentre la Confraternita intonava le litanie: era il 17 febbraio 1600 (anno
santo), aveva cinquantadue anni.
Fino all’ultimo istante i confortatori avevano cercato di farlo pentire
perché avesse una morte meno cruenta, ma non ci fu nulla da fare. E quando
gli porsero il crocefisso da baciare Giordano Bruno si voltò dall’altra
parte.
L’Avviso dato
il 19 febbraio
alla popolazione dell’avvenuta esecuzione, affisso per le vie di Roma,
così recitava:
Giovedì mattina in Campo di Fiore fu abbrugiato vivo quello scelerato
frate domenichino da Nola, di che si scrisse con le passate: eretico
obstinatissimo, ed avendo di suo capriccio formati diversi dogmi contro la
nostra fede, ed in particolare contro la SS. Vergine ed i Santi, volse
obstinatamente morire in quelli lo scelerato; e diceva che moriva martire
e volentieri, e che se ne sarebbe la sua anima ascesa con quel fumo in
paradiso. Ma ora Egli se ne avede se diceva la verità.
La dolorosa vicenda giudiziaria, le torture fisiche e psicologiche
inflittegli negli anni della detenzione e la crudele morte di Giordano
Bruno, filosofo, scrittore, pensatore illuminato e fine teologo, oltre a
suscitare orrore, a screditare la Chiesa ipocrita e oscurantista del tempo
e a renderlo simbolo del laicismo e dell’anticlericalismo, ebbe un altro
effetto, molto potente, che ancora oggi, a dispetto dei secoli, riverbera:
quello di consacrarlo martire della libertà di pensiero. Il 18 febbraio 2000 papa Giovanni Paolo II, che già nel 1998,
nell’imminenza del Grande Giubileo del 2000, a proposito dei roghi in cui
erano state bruciate le donne bollate come “streghe”, si era reso
portavoce
della contrizione da parte della Chiesa chiedendo “perdono" per le
sentenze capitali di cui purtroppo, s’era macchiata in passato,
pur non riabilitando la dottrina di Giordano Bruno, poiché il cammino
del suo pensiero lo condusse a scelte intellettuali che progressivamente
si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina
cristiana, 2
tuttavia ne condannò l’atroce morte sul rogo, per la Chiesa motivo di
profondo rammarico. 3 Tanti i modi per ricordare e celebrare Giordano Bruno, ieri e oggi, opere
letterarie, artistiche, teatrali, cinematografiche, sceneggiati
televisivi, convegni, gli sono stati dedicati persino un cratere lunare e
due asteroidi, ma il segno tangibile più significativo ed inquietante è il
monumento in bronzo eretto in piazza Campo de’ Fiori il 9 giugno 1889.
Opera dello scultore anticlericale Ettore Ferrari, rappresenta Giordano
Bruno in piedi, incappucciato nella veste dell’abito domenicano, con le
mani davanti a sé che stringono un libro, simbolo del sapere, lo sguardo
serio e pensoso rivolto verso il Vaticano. Alla base del monumento si
legge un’iscrizione del filosofo Giovanni Bovio, oratore ufficiale della
cerimonia di inaugurazione, A
Bruno, il secolo da lui divinato qui dove il rogo arse,
e vari bassorilievi narrano i momenti salienti della vicenda: “La lezione
di Oxford”, “Il processo”, “Il rogo”.
Inizialmente lo scultore aveva pensato di rappresentarlo in gesto di sfida
con l’indice della mano puntato verso il Vaticano, ma il progetto fu
rifiutato perché considerato troppo polemico verso la Chiesa, allora
ripiegò su una rappresentazione meno aggressiva, tuttavia, anche così, il
filosofo, sembra ancora sfidare la Chiesa oscurantista, l’ignoranza e il
mondo intero che permane nella barbarie di pensiero e di azione.
NOTE
1)
De gli eroici furori
- dialogo IV, Come “lo amore trasforma e converte nella cosa
amata”: il mito di Atteone.
2) I figli della Chiesa non possono non ritornare in spirito di
pentimento sull’ "acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, verso
metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio alla verità".
È giusto pertanto che […] la Chiesa si faccia carico con più viva
consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle
circostanze in cui, nell’arco della storia, essi si sono allontanati dallo
spirito di Cristo e del suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la
testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di
modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di
scandalo.
(Giovanni Paolo II, Insegnamenti XXI/2 [1998/2], p. 899; cfr
Tertio millennio adveniente, n. 35).
3) Op. cit.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Ciliberto M., “Introduzione a Bruno”, Editori Laterza 1996.
Dei Davide (a cura di), “Atti del processo di Giordano Bruno”, Sellerio,
Palermo 2000.
Firpo L., “Il processo di Giordano Bruno”, Salerno editrice, Roma 1993.
Benazzi N.- D’Amico M., “Il libro nero dell’Inquisizione!”, Piemme, Casale
Monferrato 1998.
Ricci S., “Giordano Bruno”, Salerno editrice, Roma 2000.
Zanobini F., Il presente della memoria 2, Bulgarini, Firenze 1980.
Ferroni G., Storia della letteratura italiana- Dal Cinquecento al
Settecento, Elemond Milano 1991.
Impelluso L., Eroi e dei dell’antichità, I parte, Electa, Roma 2004.
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