Francesca Santucci

GIORDANO BRUNO

martire della libertà di pensiero

 

 

 

Maiori forsan  cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam.

Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza contro di me che io nell’ascoltarla.

Giordano Bruno

 

 

La vita e la filosofìa di Giordano Bruno, figura solitaria, isolata nella cultura del tempo, complessa, di non facile classificazione, esuberante e appassionato, impulsivo e collerico, insofferente verso il pedantismo accademico e dotato d’acceso spirito di contestazione, sprezzante della menzogna e dell’ipocrisia, che non concepiva alcuna forma di religione intesa come culto formale e come complesso di credenze rivelate, guidato dall’impulso della libera indagine razionale, non sottoposta a dogmi precostituiti, per fondare una nuova scienza oltre i limiti imposti dall’autorità della Chiesa e delle scuole ufficiali, furono segnate da due grandi eventi storici: la riforma protestante, che determinò la definitiva rottura dell'unità religiosa e politica europea, e il copernicanesimo, la distruzione della cosmologia aristotelica, sulla quale si basava una visione del mondo ritenuta immodifìcabile. Difensore assoluto della sua libertà speculativa, perciò, pur di conservarla, oltre al cattolicesimo, praticò anche altri culti (il calvinismo a Ginevra, l’anglicanesimo a Londra, il luteranesimo a Wittemberg), elaborò una propria filosofia in cui riteneva che la natura fosse pervasa da un’unica forza divina (immanente) e che il divino soprannaturale fosse oggetto soltanto di fede, contrapponendo all’universo aristotelico finito e diviso l’idea di un universo infinito e unitario. Queste sue teorie di ricerca filosofica non circoscritta, ma aperta all’infinito sapere, andarono, però, a scontrarsi con le forme ufficiali chiuse e prestabilite della tradizione e con le posizioni controriformistiche, rendendolo inviso alla Chiesa, costringendolo all’esilio e portandolo a morte.
Nato a Nola, in Campania, nel 1548, in una famiglia della piccola nobiltà locale, Filippo (questo il suo vero nome) era entrato adolescente, nel 1565, nell’Ordine domenicano, mutando allora il suo nome in “Giordano”. Fu a lungo nel convento di San Domenico Maggiore a Napoli, e nel 1572 venne ordinato sacerdote. Si addottorò in teologia, ma poi preferì lo studio dell’arte della memoria (un insieme di tecniche volte a sostenere la memoria per farle acquisire il più ampio sapere possibile, di antica tradizione, consigliata dai grandi autori del passato come Cicerone e Quintiliano) e delle filosofie ermetiche, neoplatoniche, magiche, naturalistiche, ma nel 1576, per la sua spregiudicatezza, per aver posseduto testi considerati proibiti e messi all’indice dal Sacro Uffizio, ed aver manifestato opinioni eterodosse, subì vari processi all’interno dell’ordine domenicano. Per discolparsi si recò a Roma, ma, colpito da nuove accuse, preferì lasciare l’ordine e fuggire; iniziò, allora, il suo vagabondaggio da un paese all’altro dell’Europa centrale e occidentale, continuando a elaborare e a esporre attraverso i suoi scritti una filosofia basata sui concetti dell’infinità dell’universo, dell’unità della natura e della divinità del cosmo.
Nel 1578 si rifugiò a Ginevra, dove divenne calvinista, ma ben presto anche qui incorse in problemi di ortodossia e contrasti con le autorità, per cui riparò in Francia, prima a Tolosa, dove insegnò filosofia, e poi a Parigi, dove pubblicò le sue prime opere, sull'arte della memoria, De umbris idearum (Cantus circaeus), Sigillus sigillorum, e la commedia Il Candelaio, una complessa satira dell'accademico pedante astratto dalla vita, in cui analizza i vari comportamenti e temperamenti, anche folli, della società, celando, sotto dialoghi violentemente comici, concetti più sottili già espressi nell’opera in latino De umbris idearum (Le ombre delle idee).
Nel 1583 si trasferì, poi, in Inghilterra sotto la protezione diplomatica francese, ed entrò in contatto con la corte di Elisabetta, dove sperava di veder realizzato il suo sogno di una riforma universale, morale e politica, legata a idee di rinnovamento magico e astrologico. A Londra pubblicò le sue opere italiane, i dialoghi La cena de le ceneri, De la causa, principio e uno, De l'infinito, universo e mondi, Spaccio de la bestia trionfante e De gli eroici furori (1584-85), descrivendo, in quest’ultimo dialogo, l’iniziazione alla vita intellettuale attraverso la bella favola mitologica di Atteone, esperto cacciatore, che un giorno, durante una caccia al cervo con i suoi cani, scorge la dea Diana presso una fonte intenta a bagnarsi con le Ninfe. Appena la dea si accorge della sua presenza, risentita per la sua impudenza, gli spruzza dell’acqua sul volto e poi lo tramuta in cervo. Fuggendo Atteone si accorge di essere tanto veloce nella corsa perché, specchiatosi in una fonte, si rende conto del suo nuovo aspetto. Incredulo e disperato, viene raggiunto dai cani che, catturatolo, lo uccidono.

 

Alle selve i mastini e i veltri slaccia
il giovan Atteon, quand'il destino

di boscareccie fiere appo la traccia.
Ecco tra l'acqui il più bei busto e faccia,
che veder poss'il mortai e divino,
in ostro ed alabastro ed oro fino
vedde; e '1 gran cacciator dovenne caccia.

Il cervio ch'a' più folti

luoghi drizzav' i passi più leggieri,

ratto voraro i suoi gran cani e molti.

 I' allargo i miei pensieri

 ad alta preda, ed essi a me rivolti

 morte mi dàn con morsi crudi e fieri.1

 

Per Bruno Atteone significava l'intelletto intento alla caccia della divina sapienza, i mastini e i veltri (i cani) erano gli strumenti della conoscenza, le fiere le specie intelligibili de’ concetti ideali, le acque le opre dove riluce l’efficacia della bontade e splendor divino, le forme e i colori della donna gli attributi di Dio. Inoltre Atteone, cacciatore che diventa preda (gran cacciator dovenne caccia), rappresentava la trasformazione dell'uomo che ha assimilato in sé la natura divina.
Ma particolarmente interessante, per la sorprendente modernità, anche il pensiero espresso da Giordano Bruno sulle donne in  De la causa principio et uno:

"Torno a scongiurarvi tutti in generale… che dismettiate quella rabbia contumace e quell’odio tanto criminale contra il nobilissimo sesso femenile; e non ne turbate quanto ha di bello il mondo, e il cielo con suoi tanti occhi scorge. Ritornate, ritornate a voi, e richiamate l’ingegno, per cui veggiate che questo vostro livore non è altro che mania espressa e frenetico furore. Chi è più insensato e stupido, che quello che non vede la luce? Qual pazzia può esser più abietta, che per raggion di sesso, esser nemico all’istessa natura…. Mirate chi sono i maschi, chi sono le femine. Qua scorgete per suggetto il corpo, ch’è vostro amico, maschio, là l’anima che è vostra nemica, femina. Qua il maschio caos, là la femina disposizione; qua il sonno, là la vigilia; qua il letargo, là la memoria; qua l’odio, là l’amicizia; qua il timore, là la sicurtà; qua il rigore, là la gentilezza; qua il scandalo, là la pace; qua il furore, là la quiete; qua l’errore, là la verità; qua il difetto, là la perfezione; qua l’inferno, là la felicità;….E finalmente tutti vizii, mancamenti e delitti son maschi; e tutte le virtudi, eccellenze e bontadi son femine. Quindi la prudenza, la giustizia, la fortezza, la temperanza, la bellezza, la maestà, la dignità, la divinità, cossì si nominano, cossì s’imaginano, cossì si descriveno, cossì si pingono, cossì sono.E per uscir da queste raggioni teoriche, nozionali e grammaticali, convenienti al vostro argumento, e venire alle naturali, reali e prattiche…"

(Giordano Bruno, De la causa principio et uno)


A Londra Giordano Bruno tentò, come fece per tutta la vita nelle varie università europee, d’insegnare filosofìa, commentando i libri di Aristotele e tenendo dispute pubbliche durante le quali attaccava violentemente l'aristotelismo accademico, finendo per inimicarsi gli ambienti universitari e le autorità, per questo motivo, tornato a Parigi, dovette ben presto lasciarla nuovamente. Si recò, allora, in Germania, dove insegnò all'università di Wittenberg, patria del luteranesimo, e poi a Praga, alla corte dell'imperatore Rodolfo II, dove pubblicò un’operetta matematica che, però, fu accolta, freddamente.Trascorse poi un anno a Heimstaedt, dove compose la trilogia di poemi latini De monade, De minimo, De immenso, nata dall’intento di esporre sistematicamente il suo pensiero, e che pubblicò a Francoforte nel 1590-91; inoltre compose alcuni scritti magici.
Nel 1591, non senza rischio, essendo un ex frate che aveva abbracciato confessioni diverse e aveva ostentato disprezzo verso la religione ufficiale, fece ritorno in Italia, accogliendo l’invito del nobile veneziano Giovanni Mocenigo, che l'aveva chiamato perché gli insegnasse la mnemotecnica e le arti magiche. Giordano Bruno sperava di riuscire a convincere il pontefice ad accogliere le sue nuove teorie e ad avviare la sua riforma religiosa, invece fu denunciato al Santo Uffìzio di Venezia proprio dal suo nobile ospite (forse spaventato dalle sue idee e dai suoi modi spregiudicati, o forse deluso nelle sue ingenue speranze di poter controllare tutto lo scibile umano) con queste accuse:

  1. Che è biastemia grande quella de' cattolici il dire che il pane si transustantii in carne;

  2. Che lui è nemico della messa;

  3. Che niuna religione gli piace;

  4. Che Christo fu un tristo et che, se faceva opere triste di sedur popoli, poteva molto ben predire di dover esser impicato;

  5. Che non vi è distintione in Dio di persone, et che questo sarebbe imperfetion in Dio;

  6. Che il mondo è eterno, et che sono infiniti mondi, et che Dio ne fa infiniti continuamente, perché dice che vuole quanto che può;

  7. Che Christo faceva miracoli apparenti et che era un mago, et così gl'appostoli, et che a lui daria l'animo di far tanto, et più di loro;

  8. Che Christo mostrò di morir mal volentieri, et che la fuggì quanto che puoté;

  9. Che non vi è punitione de' peccati, et che le anime create per opera della natura passano d'un animal in un altro;

  10. Et che come nascono gli animali brutti di corrutione, così nascono anco gli huomini, quando doppo i diluvi ritornano a nasser.

  11. Ha mostrato dissegnar di voler farsi autore di nuova setta sotto nome di nuova filosofia;

  12. Che la Vergine non può haver parturito, et

  13. Che la nostra fede catholica è tutta di bestemie contro la maestà di Dio;

  14. Che bisognarebbe levar la disputa e le entrate alli frati, perché imbratano il mondo, che sono tutti asini, et che le nostre openioni sono dotrine d'asini;

  15. Che non habbiamo prova che la nostra fede meriti con Dio; et

  16. Che il non far ad altri quello che non voressimo che fosse fatto a noi basta per ben vivere; et

  17. Che se n'aride di tutti gl'altri peccati; et

  18. Che si meraviglia come Dio supporti tante heresie di catholici.

  19. Dice di voler attendere all'arte divinatoria, et che si vuole far correre dietro tutto il mondo;

  20. Che san Tommaso et tutti li dottori non hanno saputo niente a par di lui, et che chiariria tutti i primi theologhi del mondo, che non sapriano rispondere [...].

Dopo aver subito un processo a Venezia, Giordano Buno fu consegnato all’Inquisizione romana e rinchiuso nelle carceri di Roma, ove restò per otto anni, imprigionato in una vicenda giudiziaria tortuosa e lunga nella speranza che abiurasse, impegnato in una vana autodifesa, parendo più volte sul punto di rinnegare le proprie posizioni pur di salvare la vita, mai piegandosi, tacendo, però, per sempre la sua affascinante scrittura sospesa fra Medioevo e Umanesimo, commistione di elementi popolareschi e dotti, fra lessico “basso” (realistico, ironico e grottesco attinto al fondo dialettale napoletano) ed elementi dotti, attento anche al linguaggio della mistica e della poesia amorosa, in uno stile tagliente, incalzante, concitato, preoccupato soprattutto dell’essenza del pensiero e non della forma attraverso cui esprimerlo.
Il Tribunale dell’Inquisizione gli contestò le affermazioni sull'eternità e infinitezza dell'universo, sull'annientamento dell'anima individuale, sul moto della terra e sull'animazione della terra e dei corpi celesti; inoltre gli mosse i seguenti capi di accusa:

1.Avere opinioni contrarie alla fede cattolica

 2. Avere opinioni eretiche sulla Trinità, la divinità e l'incarnazione di Cristo

 3. Avere opinioni eretiche su Cristo

  4. Avere opinioni eretiche sull'eucaristia e la messa

 5.Credere nell'esistenza e nell'eternità di più mondi

 6.Credere nella metempsicosi

7.Praticare la divinazione e la magia

8.Non credere nella verginità di Maria

 9.Essere lussurioso

10.Vivere al modo degli eretici protestanti

11 - Opinioni eretiche su Cristo

 12 - Opinioni eretiche sull'inferno

13 - Opinioni eretiche su Caino e Abele

14 - Opinioni eretiche su Mosè

15 - Opinioni eretiche sui profeti

16 - Negazione dei dogmi della Chiesa

17 - Riprovazione del culto dei santi

18 - Disprezzo del breviario

19 - Blasfemia

20 - Intenzioni sovversive contro l'Ordine domenicano

21 - Disprezzo delle reliquie dei santi

22 - Negazione del culto delle immagini

Ma Giordano Bruno infine, convinto di non aver nulla di cui pentirsi,  non si sottomise, rifiutò definitivamente di ammettere la natura eretica delle sue idee, non le sconfessò, e, fra le due vie “estreme” che gli si prospettavano, l’abiura e il carcere a vita (con l’occultamento della Verità) e la morte, scelse la morte. E così, accusato di eresia, dopo una detenzione durata otto anni, considerate provate le accuse, il 20 gennaio 1600 Clemente VIII, rifiutando di fargli infliggere le ulteriori torture richieste dai cardinali, condannò l’imputato, impenitente, ostinato e pertinace, ad essere bruciato vivo sul rogo.

[...] proferimo in questi scritti, dicemo, pronuntiamo, sentenziamo et dichiariamo te, fra Giordano Bruno predetto, essere eretico impenitente et ostinato [...] et come tale te degradiamo verbalmente et dechiariamo dover essere degradato, sì come ordiniamo et comandiamo che sii attualmente degradato da tutti gl’ordini ecclesiastici maggiori et minori [...] et dover essere scacciato, sì come ti scacciamo, dal foro nostro ecclesiastico et dalla nostra santa et immacolata Chiesa, della cui misericordia ti sei reso indegno; et dover esser rilasciato alla Corte secolare, sì come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilatione di membro.Di più, condanniamo, riprobamo et prohibemo tutti li sopradetti et altri tuoi libri et scritti come eretici et erronei et continenti molte eresie et errori, ordinando che tutti quelli che sin’hora si son havuti, et per l’avenire verranno in mano del Santo Offitio siano pubblicamente guasti et abbrugiati nella piazza di San Pietro, avanti le scale, et come tali che siano posti nell’Indice de’ libri prohibiti, sì come ordiniamo che si facci [...]

Alla lettura della sentenza, come riferito dall’umanista tedesco Caspar Schoppe, rivolto ai suoi giudici, in tono minaccioso Giordano Bruno tuonò:
Maiori forsan  cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam.
Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza contro di me che io nell’ascoltarla.
Consegnato al Governatore di Roma, fu rinchiuso nel carcere criminale di Tor di Nona in attesa dell’esecuzione stabilita  per il 12 febbraio e poi rinviata al 17 febbraio.
Fu prelevato dal carcere all’alba dalla Confraternita di S. Giovanni Decollato e condotto nella piazza romana di Campo de’ Fiori incatenato, con l’abito penitenziale e, in segno di disprezzo, simbolo sinistro della negazione controriformistica della libertà di parola, con la lingua in giova, cioè in una morsa di legno che gli impediva di muovere la lingua e, dunque, di parlare.  Giunto sulla Piazza fu spogliato nudo e legato ad un palo posto sopra una catasta di legna, dove venne arso vivo, mentre la Confraternita intonava le litanie: era il 17 febbraio 1600 (anno santo), aveva cinquantadue anni.
Fino all’ultimo istante i confortatori avevano cercato di farlo pentire perché avesse una morte meno cruenta, ma non ci fu nulla da fare. E quando gli porsero il crocefisso da baciare Giordano Bruno si voltò dall’altra parte.
L’Avviso dato il 19 febbraio alla popolazione dell’avvenuta esecuzione, affisso per le vie di Roma, così recitava:
Giovedì mattina in Campo di Fiore fu abbrugiato vivo quello scelerato frate domenichino da Nola, di che si scrisse con le passate: eretico obstinatissimo, ed avendo di suo capriccio formati diversi dogmi contro la nostra fede, ed in particolare contro la SS. Vergine ed i Santi, volse obstinatamente morire in quelli lo scelerato; e diceva che moriva martire e volentieri, e che se ne sarebbe la sua anima ascesa con quel fumo in paradiso. Ma ora Egli se ne avede se diceva la verità.
La dolorosa vicenda giudiziaria, le torture fisiche e psicologiche inflittegli negli anni della detenzione e la crudele morte di Giordano Bruno, filosofo, scrittore, pensatore illuminato e fine teologo, oltre a suscitare orrore, a screditare la Chiesa ipocrita e oscurantista del tempo e a renderlo simbolo del laicismo e dell’anticlericalismo, ebbe un altro effetto, molto potente, che ancora oggi, a dispetto dei secoli, riverbera: quello di consacrarlo martire della libertà di pensiero.
Il 18 febbraio 2000 papa Giovanni Paolo II, che già nel 1998, nell’imminenza del Grande Giubileo del 2000, a proposito dei roghi in cui erano state bruciate le donne bollate come “streghe”, si era reso portavoce della contrizione da parte della Chiesa chiedendo “perdono" per le sentenze capitali di cui purtroppo, s’era macchiata in passato, pur non riabilitando la dottrina di Giordano Bruno, poiché il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana, 2 tuttavia ne condannò l’atroce morte sul rogo, per la Chiesa motivo di profondo rammarico. 3
Tanti i modi per ricordare e celebrare Giordano Bruno, ieri e oggi, opere letterarie, artistiche, teatrali, cinematografiche, sceneggiati televisivi, convegni, gli sono stati dedicati persino un cratere lunare e due asteroidi, ma il segno tangibile più significativo ed inquietante è il monumento in bronzo eretto  in piazza Campo de’ Fiori il 9 giugno 1889. Opera dello scultore anticlericale Ettore Ferrari, rappresenta Giordano Bruno in piedi, incappucciato nella veste dell’abito domenicano, con le mani davanti a sé che stringono un libro, simbolo del sapere, lo sguardo serio e pensoso rivolto verso il Vaticano. Alla base del monumento si legge un’iscrizione del filosofo Giovanni Bovio, oratore ufficiale della cerimonia di inaugurazione,  A Bruno, il secolo da lui divinato qui dove il rogo arse, e vari bassorilievi narrano i momenti salienti della vicenda: “La lezione di Oxford”, “Il processo”, “Il rogo”.
Inizialmente lo scultore aveva pensato di rappresentarlo in gesto di sfida con l’indice della mano puntato verso il Vaticano, ma il progetto fu rifiutato perché considerato troppo polemico verso la Chiesa, allora ripiegò su una rappresentazione meno aggressiva, tuttavia, anche così, il filosofo, sembra ancora sfidare la Chiesa oscurantista, l’ignoranza e il mondo intero che permane nella barbarie di pensiero e di azione.

 

NOTE

 

1) De gli eroici furori - dialogo IV, Come “lo amore trasforma e converte nella cosa amata”: il mito di Atteone.

 

2) I figli della Chiesa non possono non ritornare in spirito di pentimento sull’ "acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, verso metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio alla verità".

È giusto pertanto che […] la Chiesa si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli nel ricordo di tutte quelle circostanze in cui, nell’arco della storia, essi si sono allontanati dallo spirito di Cristo e del suo Vangelo, offrendo al mondo, anziché la testimonianza di una vita ispirata ai valori della fede, lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano vere forme di antitestimonianza e di scandalo.

(Giovanni Paolo II, Insegnamenti XXI/2 [1998/2], p. 899; cfr Tertio millennio adveniente, n. 35).

 

3) Op. cit.

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

Ciliberto M., “Introduzione a Bruno”, Editori Laterza 1996.

Dei Davide (a cura di), “Atti del processo di Giordano Bruno”, Sellerio, Palermo 2000.

Firpo L., “Il processo di Giordano Bruno”, Salerno editrice, Roma 1993.

Benazzi N.- D’Amico M., “Il libro nero dell’Inquisizione!”, Piemme, Casale Monferrato 1998.

Ricci S., “Giordano Bruno”, Salerno editrice, Roma 2000.

Zanobini F., Il presente della memoria 2, Bulgarini, Firenze 1980.

Ferroni G., Storia della letteratura italiana- Dal Cinquecento al Settecento, Elemond Milano 1991.

Impelluso L., Eroi e dei dell’antichità, I parte, Electa, Roma 2004.

 

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