Francesca Santucci
Erinna (secolo IV a.C.)
(Santucci F., Donna non sol ma torna musa all'arte, Il Foglio, Piombino 2003)
Questo
è d’Erinna il soave lavoro: lavoro non lungo,
ch’è
d’una giovinetta diciassettenne appena,
eppur
vince molti altri. Se l’Ade sì presto rapita
non
l’avesse rapita, più celebre chi mai sarebbe stato? (dall'Antologia Palatina)
Erinna
pochi versi compose, non fu poetessa
loquace;
ma nei pochi versi le Muse accolse.
Perciò
dalla memoria non cade, no, sotto l’ombrosa
ala
rimane oppressa della livida notte.
Noi,
dei novelli poeti miriadi in numeri, andiamo
o
passeggero, a mucchi marcendo nell’oblio.
Del
cigno vale più la gracile voce che il lungo gracchiar dei corvi dalle nubi di primavera. (dall'Antologia Palatina)
La poetessa dorica Erinna, idolatrata dagli Alessandrini, paragonata a
Saffo e ad Omero, ricordata nel Lessico di Suida (lessico greco
ed enciclopedia generale risalente all’età bizantina, fonte preziosa
per la conoscenza dell’antica storia della letteratura classica) come
contemporanea di Saffo, probabilmente per l’affinità del canto, ma
vissuta con molta probabilità verso la fine del quarto secolo, trascorse
la sua vita nell’isoletta di Telos, presso Rodi.
Smaniosi i bianchi cavalli sulle zampe dritti con grande strepito si levavano; il suono della cetra in eco batteva sotto il portico vasto della corte. O Bàuci infelice, al ricordo gemendo io piango! Nel mio cuore ancora hanno calore queste cose della fanciullezza, e quelle che di gioia non furono cenere sono ormai. Riverse le bambole sui letti nuziali stanno e presso il mattino cantando più non reca la madre il filo sulla rocca e i dolci di sale cosparsi. Paura ti fece da bambina la strega che ha grandi orecchie e su quattro piedi s'aggira movendo intorno lo sguardo. E quando, o diletta Bàuci, sul letto salisti dell'uomo senza memoria di quello che bambina ancora avevi udito da tua madre, Afrodite pietosa non fu della tua dimenticanza. Per questo ora io piangendoti non t’ abbandono né i miei piedi lasciano la casa che m'accoglie, né voglio più vedere la dolce luce del giorno, né lamentare con le chiome sciolte; ho pudore del dolore che cupo il volto mi sfigura.
(Erinna)
Francesca Santucci
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