Francesca Santucci

Elizabeth Barrett Browning

(1806-1861)

(Santucci F., Donna non sol ma torna musa all'arte, Il Foglio, Piombino 2003)

 

 

Michele Gordigiani,  Ritratto di  Elizabeth Barrett Browning, 1858.

 

I love your verses with all my heart, dear miss Barrett…1

Era il 10 gennaio del 1845 quando il poeta Robert Browning scrisse la prima ardente lettera nella quale dichiarava tutta la sua ammirazione ad Elizabeth Barrett, la poetessa inglese definita in patria la Shakespeare al femminile. Cominciò così la loro romantica storia d’amore, che sembra uscire direttamente dalle pagine di un romanzo ottocentesco, con la corrispondenza durata un anno, l’opposizione del padre ostile e severo, il matrimonio celebrato segretamente, la fuga in Italia, la nascita del figlio.
Fino ad allora, per circa quarant’anni, la vita di Elizabeth, nata a Coxohoe Hall, Durham, nel 1806, da una famiglia arricchita grazie al lavoro degli schiavi nelle piantagioni giamaicane, dopo un’infanzia felice, da lei sempre ricordata con amoroso rimpianto in molte delle sue più belle poesie, trascorsa in campagna, in quotidiano contatto con la natura, e nutrita di studi classici, appassionandosi soprattutto alla poesia e alle teorie estetiche, in seguito ad una malattia di cui mai ben chiarite furono le cause (forse fisiche, dovute ad una lesione alla colonna vertebrale, subita nell'infanzia per una caduta da cavallo, e ad una malattia polmonare, forse psicologiche e spirituali, per la tragica morte per annegamento dell'adorato fratello Eduard), era trascorsa in modo grigio ed immobile.
Le sue prime composizioni poetiche, “The Battle of Maraton” (1820), e “An Essay on Mind and Other poems” (1826) erano state pubblicate dal padre, Edward Moulton Barrett, e grande apprezzamento aveva riscosso la sua traduzione, nel 1833, del “Prometeo incatenato” di Eschilo, poi rielaborata e riproposta in seconda versione nel 1850, perché giudicata fredda da Elizabeth.
Nel 1844, aveva pubblicato un libro di poesie con un'introduzione di E.A. Poe nell'edizione americana, comprendente “Lady Geraldine's Courtship”, uno dei suoi primi tentativi di fondere la struttura della poesia e quella del romanzo; questi versi, poi, riscossero un tale apprezzamento che, nel 1850, alla morte di William Wordsworth, fu indicata come poetessa ufficiale d'Inghilterra.
Nonostante non abbandonasse mai la scrittura, Elizabeth viveva, dunque, sotto la tirannia paterna, in una strana dimora fiabesca, fra pareti silenziose, in una stanza buia dalle imposte ben serrate, tra medicine e libri impolverati, sostenuta nelle sue lunghe convalescenze unicamente dall’appassionato bisogno di leggere e studiare, approfondendo soprattutto lo studio dei grandi tragici greci, in particolare Euripide (Il nostro Euripide, l'umano, dalle vive e calde lacrime, che se tratta di cose comuni, le inalza fino alle sfere! E. Barrett), che poi confluì nello splendido saggio “I poeti greci cristiani”, curiosamente incoraggiato e consentito dall’austero padre, e con la sola compagnia dell’inseparabile cagnolino Flush.
Commoventi le strofe dedicate da Elizabeth al suo compagno di sventura:


Di te si dirà: Giorno e notte questo cane vegliava accanto a un letto, in una camera chiusa, dove mai raggio di sole giungeva a rompere l'oscurità intorno all’ammalata, all'afflitta. In quella stanza visibilmente morivano le rose colte per esser messe nei vasi, prive com’erano d’aria e di luce: soltanto questo cane aspettava e vegliava, come se sapesse che quando manca la luce, rimane a splender l'amore.Altri cani, fra le rugiade ed il timo, cacciavano le lepri, inseguendole per prati e per boschi, all’aria  aperta, al sole.... questo cane soltanto si distendeva, sfiorava una languida gota, convivendo nel buio. Altri cani, animali allegri e gai, saltavano al suono acuto del fischio che nel bosco li raduna.... questo cane soltanto vigilava attendendo una parola appena sussurrata, o un sospiro più forte. E se due mie lacrime improvvise sui suoi lisci orecchi cadevano, se il mio respiro ansante si faceva a un tratto, in fretta e in ansia lui saltava su, facendomi le feste, accarezzandomi, affannosamente respirando nella sua tenera commozione.

Quando giunse la prima lettera di Robert fu, dunque, come un raggio di luce in quella casa tetra, in quella stanza buia, in quel cuore avvezzo all’ombra e alla solitudine: la passione s’innescò e brillò fino ad esplodere, e così la poetessa ammalata, famosa, eppure chiusa nel cerchio del suo isolamento, uscì alla luce e assaporò la felicità inattesa ed improvvisa.
Così scriveva Elizabeth:

XXVIII

Le mie lettere! Carta morta, muta e bianca!

Ma vive e palpitanti fra queste mie mani che

trepide stanotte il nastro sciolgono

lasciandole cadere giù, sulle ginocchia.

Questa dice:- Un tempo lui desiderò

avermi per amica; qui fissava un giorno

in primavera, per venire a sfiorare la mia mano.

Un nulla, ma io piansi. Qui, risplende il foglio,

diceva: Mia cara, t’amo; ed io tremai e caddi

come se il futuro di Dio sul mio passato tuonasse.

Qui: Sono tuo! E restando sull’ansante

mio cuore, sbiadito è l’inchiostro.

Questa…Oh, amor mio, le tue parole non avrei compreso,

se adesso rivelassi quanto dice.

 

XXXVIII

La prima volta che mi baciò, baciò le dita

della mano che scrive, che si fece così più liscia e bianca,

restia al mondo, ma non coi suoi: “Senti?”,

al brusio degli angeli. Ora io non vorrei

un anello d’ ametista alla vista più puro

di quel bacio. Più in alto fu il secondo bacio;

cercando la fronte, si perse una metà

sopra i capelli. O dono supremo! Crisma

d'amore che con benefiche dolcezze

precedeva la vera ghirlanda. Il terzo fu

deposto, perfetto, sulla mia bocca, e da quel giorno,

superba, io ripeto: Mio amato, mio unico!

 

XIV

 

E se mi devi amare per null’altro sia

che per amore. Non dire mai "L’amo per il

sorriso, per lo sguardo, per il modo

gentile di parlare, per le idee

che alle mie s’ accordano, che un giorno

mi resero sereno". Queste cose,

mio Amato, possono in sé mutare o per te mutare.

Così fatto un amore può disfarsi.

E ancora non amarmi per la pietà che

le mie guance asciuga. Il pianto

può scordare chi lungamente ebbe

il tuo conforto, e perdere, così, l’ amor tuo.

Ma tu amami solo per amore dell’amore,

che cresca in te, in un’eternità d’amore!

 

Si sposarono segretamente Elizabeth e Robert, poi, nel 1846, fuggirono in Italia, dimorando prima a Pisa, infine stabilendosi definitivamente a Firenze; e così la poetessa, all'età di 43 anni, riacquistò la salute e diede alla luce un figlio.
La coppia trascorse insieme 15 anni, in splendida armonia, scrivendo entrambi, lei prendendo molto a cuore la causa indipendentista italiana, e componendo diverse poesie in tema, con il proposito di far conoscere anche nella sua terra d’origine la situazione italiana.
Elizabeth morì a Firenze, in casa Guidi, nel 1861,e fu seppellita con tutti gli onori nel cimitero degli inglesi, dove ancora riposa. Il municipio fece apporre questa iscrizione, dettata da Niccolò Tommaseo:
Qui scrisse e morì Elisabetta Barrett Browning che in cuore di donna conciliava scienza di dotto e spirito di poeta e fece del suo verso aureo anello fra Italia e Inghilterra. Pone questa lapide Firenze grata. (1861)
Questa fu la sua ultima triste poesia:

IL MIO CUORE ED IO

Basta! Siamo stanchi, ormai, il mio cuore ed io.

Presso questa lapida sepolcrale io seggo,

e vorrei che quel nome per me fosse inciso....

Si sono scritti dei libri, negli uomini abbiamo confidato,

e la penna nel nostro sangue intinta,

come se un tal colore morire non potesse....

Troppo dritti camminiamo per arrivare

alla fortuna, troppo sinceramente amammo

per serbare un amico....

Come siamo stanchi, il mio cuore ed io!

Indifferente resta il mondo alle nostre

illanguidite fantasie; la nostra voce,

così penetrante un giorno, solo dormire

oggi vi farebbe.... Oh, che cosa ci facciamo ancora qui,

il mio cuore ed io?

 

Scrisse molto Elizabeth, cominciando addirittura ad 8 anni, pubblicando per la prima volta a 13 e collaborando a riviste e circoli letterari; scrisse ballate, poesie ispirate al quotidiano, un poema romanzo, “Aurora Leigh”, insieme dichiarazione di ars poetica e bandiera dei diritti femminili, componimenti appassionati ed impegnati, con i quali voleva incidere sui costumi sociali del tempo, e proteste ardenti contro l’oppressione straniera in Italia, come “Casa Guidi Windows”, in un bisogno intimo di espressione, di comunicazione, di denuncia, ma i suoi versi più belli restano quelli dedicati al suo amore per Robert.
Vale davvero la pena leggere e rileggere i suoi “Sonetti dal portoghese” (così chiamati perché portoghese era il poeta cinquecentista a lei tanto caro, Luis Vaz de Camões 3), dedicati al marito e scritti in segreto prima del matrimonio, 44 sonetti ispira al Petrarca, in cui la poetessa coniuga una forma arcaica di poesie d'amore con un'ambientazione contemporanea, scritti parallelamente alle lettere scambiate con Robert (che chiamò poi sempre la moglie my little portuguese) e da lei conservati fin dopo il matrimonio, versi d’amore intensi e rivoluzionari, perché per la prima volta la donna diveniva in poesia soggetto attivo e dominante e l’uomo era trasformato in oggetto d’amore, al quale indirizzare con audacia le pulsioni e i desideri, e di fronte al quale affermare e rivendicare il proprio diritto all’amore.
Con un linguaggio colto eppure semplice, che ben coniuga eleganza e raffinatezza, in preziosa alchimia di classicità e suggestioni romantiche, i versi di Elizabeth, estremamente musicali anche a scapito delle regole metriche, esprimono al meglio ancora oggi l’immaginario femminile, riuscendo a trasmettere con intatta efficacia l’amore che sbocciò nel suo cuore oppresso dalla lunga solitudine, rendendosi, così, anche interprete dei desideri che pulsano nei cuori delle donne.

ROSA MORTA

O rosa, chi più oserà chiamarti così?

Non più rosea, non più vellutata,

non più soave, ma arida e secca

come fili di stoppia. Sette anni tenuta

rinchiusa, i tuoi stessi titoli

ora ti fanno ora vergogna.

La brezza che su te soleva alitare,

e rapirti un profumo che inebriava

per tutto il giorno la valle, se ora soffiasse

passerebbe senza raccoglierne un profumo.

Ed il sole che su te splendeva, la sua gloria

nel tuo magnifico calice mescolava,

sicché il raggio pareva fiorire, e il fiore

sembrava ardere, se ora su te brillasse

più non potrebbe il tuo colore ravvivare.

Il cuore però grave, lui sì, ti riconosce,

soltanto il cuore! Il cuore sente il tuo profumo,

ti vede bella, ti giudica perfetta.... Sì;

e ama più te, ora morta rosa, delle rose

superbe che la gelida e sorridente Giulia

nei balli porta. Oh, rimani qui, su questo cuore

che sotto di te sembra schiantarsi!

 

 

1) Amo i vostri versi con tutto il mio cuore, cara signorina Barrett.

2) A proposito del rapporto d’amore e complicità fra Elizabeth Barrett ed il suo cagnolino Flush, si può leggere il libro di V. Woolf, Flush,” Una biografia”, ed. La Tartaruga.

3) Nato nel 1524 o nel 1525, morto nel 1580, Luis Vaz De Camões, figura di spicco nella letteratura portoghese, è famoso soprattutto per il suo poema epico “Os Lusíadas”.

 

 

Saggio premiato nel 2002 con lettera di lode, insieme ad una raccolta di poesie,  dal Gruppo Amici della poesia, nell'ambito del  Premio La lode,  con la seguente motivazione:
” Poesie ispirate quelle della Santucci. L’autrice non parla mai di se stessa ed è ispirata da tutto quello che la circonda e anche quando descrive l’amore questo sentimento viene filtrato da un alone poetico che lo rende impersonale…Ancora più interessante è il saggio sulla poetessa Elizabeth Barrett nel quale la Santucci tratteggia limpidamente la vita e la figura della poetessa Browning. Il saggio essenziale e molto descrittivo ha l’indiscutibile pregio di un taglio giornalistico”.

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