A zia Assunta
Quando me ne sarò andato, dove mai potrò essere? Sarò qui, nel
vento,
nell’oceano, e se mi avrai amato, se avrai avuto fiducia
in me,
mi sentirai in mille modi
diversi: improvvisamente avvertirai la mia presenza.
Non avrai
più bisogno di cercarmi.
(Osho)
-Dieci minuti, solo dieci minuti chiederei di poter
trascorrere ancora con loro, di nuovo tutti insieme riuniti
allegri e festosi come intorno alla tavola natalizia. Solo
dieci minuti, solo dieci minuti … per rivedere il bene che ho
perduto…-
Come
un’ossessiva cantilena queste tre parole ripeteva tra sé
Candida, solo dieci minuti, tenendo i palmi delle mani aperti contro le gote
rigate di lacrime, ripensando ai cari che aveva amato, da
tempo inghiottiti dalle tenebre eterne.
Da lontano forte giungeva il gradasso rombo del tuono,
annuncio di temporale. Tra poco la pioggia battente avrebbe
inondato la verde collina, sferzato l’azzurro mare, scosso e
percosso le indifese cime degli alberi e gli esili fiori
tremanti come giovinette d’altri tempi al primo bacio, lavato
strade, edifici, auto, e tutto quanto avrebbe incrociato sul
suo cammino, proprio come le lacrime bagnavano il suo volto.
Con gli occhi appannati guardò verso il cielo, plumbeo con i
suoi nuvoloni neri, i cui contorni bene non distingueva,
perché erano intrisi di lacrime e perché l’età avanzata non le
consentiva più l’esatta visione. Eppure, tra quelle forme
confuse, ad un tratto le parve di scorgere qualcosa: lì,
all’orizzonte, tra argentei bagliori, delle figure avanzavano
tenendosi per mano, somigliavano a quei bambini di carta che,
quando era piccola, per farla giocare la sua mamma le
ritagliava dai vecchi quotidiani, intanto che la nonna la
teneva sulle sue gambe e, nel loro dialetto, le cantava
un’antica filastrocca dolcemente pizzicandole le dita delle
mani:
Pizzi pizzi trangula,
la morte alisandrangula
e santrangula e pipì,
e la morte Sarracina.
Serracina faceva lu ppane
tutt' 'e mmosche s' 'o mmagnavano,
s'o mmagnavano a poca a vota…
Avanzavano sorridendo e tenendosi stretti. D’improvviso, a
pochi passi da lei, si fermarono, la circondarono, due di loro
la presero per mano e la trascinarono in un allegro girotondo.
Ora Candida non piangeva più e ben riconosceva i volti di
quelle creature: c’erano la sua mamma e il suo papà, i suoi
fratelli, sua sorella, i nonni, il suo sposo, tutti le
sorridevano, e lei ricambiava quei sorrisi felice come una
bambina, e il tempo non era mai trascorso, e nessun dolore
aveva intaccato le loro vite, nessun pianto, nessun lutto. E a
lungo girarono in tondo, saltellando su una dolce musica
eseguita da angeliche mani invisibili, saltellandole anche il
cuore in petto. Poi la musica cessò di colpo.
Quasi in coro, dissero:
-Ora dobbiamo andare, dobbiamo salutarci.-
E Candida, rassettandosi la veste nera e ravviandosi i capelli
scomposti durante la danza, li pregò:
---No, restate
ancora, solo un momento. Voglio abbracciarvi tutti!-
Qualcuno aggiunse:
-Mi spiace, dobbiamo proprio andare, ma tu sai che non andiamo
via del tutto, perché siamo sempre nei tuoi pensieri, nel tuo
cuore.
E quando proprio più forte ti prenderà la nostalgia di noi,
solleva lo sguardo verso il Cielo, e pensa che quelle che vedi
non sono stelle, ma varchi dietro i quali ci siamo noi, a
proteggerti e a far rifluire e risplendere il nostro amore per
te. - E le porse un pallido iridescente fiore di
tuberosa.
La creatura gentile che aveva parlato un giorno era stato il
suo sposo e le soavi tuberose- dai petali perlacei ma, quando
ancora non si sono dischiuse, di colore rosa tenue, che
sbocciano solo al tramonto emanando un profumo dolce intenso-
erano i fiori che sempre lui le donava!
Proprio come un profumo che, pur se persistente, dopo un po’
svanisce, lentamente quelle figure si dissolsero, sparirono.
Candida si riscosse di colpo, come dopo una di quelle brusche
frenate, come spesso accadeva nelle auto a noleggio che ogni
domenica la portavano al cimitero di Poggioreale per andare ad
ossequiare i suoi affetti che non c’erano più.
Si ritrovò sola nella stanza, guardò l’orologio e si rese
conto di aver dormito dieci minuti, e quello era il tempo che
in muta preghiera prima aveva chiesto al Cielo di concederle
per rivedere ancora una volta quei cari che tanto aveva amato,
che tanto amava, perché l’amore non muore, è una forza
invisibile che non conosce né tempo né spazio e, potente come
un temporale, li oltrepassa.… ma era stato solo un
sogno...anche se ancora nelle orecchie le rimbombava l’eco di
quelle voci antiche …
D’improvviso un vago, delicato profumo investì le sue narici,
ma in casa non aveva fiori, solo piante verdi, e le imposte
erano chiuse, non poteva provenire da fuori. Annusò l’aria per
seguirne la scia, poi, lentamente, come guidata da due braccia
protettive, a passi cauti si diresse nella camera da letto, e
fu allora che, adagiato sopra il copriletto delle suore che,
un tempo lontano, con le loro mani avevano ingentilito il suo
corredo, lo vide: era un bianco argenteo fiore di tuberosa,
come quello offertole in sogno dal suo sposo … Ma era stato
davvero solo un sogno?
Il temporale era passato. Aprì la finestra e guardò in alto.
Alcune stelle già occhieggiavano nel cielo blu lavagna:
sembrarono sorriderle!