Francesca Santucci
CANTI E INCANTI
(dall'antologia AA.VV., “Racconti dalla natura”, Historica edizioni 2023)
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Sono gli uccelli naturalmente le più liete creature del mondo. Non dico ciò in quanto se tu li vedi o li odi, sempre ti rallegrano, ma intendo di essi medesimi in sé, volendo dire che sentono giocondità e letizia più che alcuno altro animale. (Giacomo Leopardi, “Operette morali”, Elogio degli Uccelli)
Capita di essere sorpresi svegli dalle prime ore dell’alba. Ancora le tenebre avvolgono il paesaggio, ma lentamente cominciano a dissiparsi, e la massa oscura, uniforme, che vedevamo nella notte, s’inonda dei soavi colori dell’alba. Case, strade, campi, boschi, montagne, tutto ciò che prima era come celato da un velo nero, comincia a rivelarsi, ogni cosa riprende il suo aspetto reale, di nuovo si rianima, palpita, vive. La natura, tutta, si risveglia, e le sue prime creature a palesarsi sono gli uccelli che, in grande varietà di trilli, cinguettii e gorgheggi, in ricchezza di registri, con i loro canti sempre rasserenano gli animi. In campagna come in città, anche dove c’è solo un albero, manifestano la loro presenza. Instancabili, svolazzano da un albero all’altro, fra i rami e il fogliame, fra i cespugli e i prati, tra i fiori e le erbe, frugano a cercare il cibo, cinguettano fitto fitto, si rispondono l’un l’altro ai richiami, e poi si lanciano in voli arditi verso il cielo, dove il sole, fra poco, splenderà alto illuminandoli di riflessi d’oro. Quanta varietà di colori e quanto splendore nelle loro piume! Sembrano quasi fiori alati, che riempiono l’aria e la rendono più allegra e più bella. E quanto incanto, allo spuntar del giorno, nelle diverse armonie delle loro voci e dei loro canti! Fonte d’ispirazione in letteratura e musica, non potevano non alimentare anche le credenze popolari. Ad aprire il concerto degli uccellini, con diverse melodie da tutti intonate non solo per diletto, ma anche per comunicare tra loro, è l’usignolo, piccolo, modesto, semplice, dal piumaggio severo come un saio monacale, eppure è il re degli uccelli cantatori, dotato della voce più bella del mondo. Nelle notti serene di primavera avanzata, nei boschetti, nei giardini, fra le siepi, nei pressi delle abitazioni, solitario, quasi nascosto nell’ombra, emette una straordinaria serie di trilli, gorgheggi e cascatelle di note, in una miracolosa alchimia di variazioni di toni e accenti di uno stesso motivo da lasciare stupiti e pervasi dal desiderio che non smetta più la sua dolcissima melodia. Ed ecco, allo spuntar del giorno, festosamente a riempire le prime ore del mattino, il canto acuto, simile a un grido di gioia, dell’allodola che, appena sorge il sole, s’alza dai campi scattando puntando dritta al cielo, sempre più fortemente cantando via via che sale verso l’alto, e quello soave della capinera, così chiamata per l’evidente calotta di colore nero che caratterizza il suo capo, uccellino vivace, diffidente, prudente, astuto, che, se i suoi piccoli si trovano in pericolo di un predatore, per distrarlo da loro lo attira a distanza, convogliando l’attenzione su di sé, fingendosi ferita o in difficoltà e, quando quello si dirige verso di lei, al momento dell’attacco vola via. E poi quello del passero, vivace, invadente, furbo, audace, comune anche in città, che allegramente cinguetta, e quello del tordo, abitatore dei boschi, delle vigne, dei giardini, capace di imitare pure il canto degli altri uccelli. E ancora quello della cinciallegra, socievole, coraggiosa, battagliera, molto affezionata alle sue compagne, e quello del grazioso verzellino che intona un canto fresco e piacevole, formato da una cascata di suoni tintinnanti. Ben modulato è anche lo zirlio, estremamente vario e gradevole, del merlo, che velocemente corre sul terreno, nei boschi, ma, timido, al minimo rumore fugge rapidamente volando tra i cespugli, lamentoso fischiando, uccellino pure assai noto per il suo zufolio sonoro ricco di variazioni e per l’intuito musicale, grazie al quale riesce ad apprendere facilmente le melodie. E come dimenticare il piccolo pettirosso che, secondo la leggenda cristiana, in origine era tutto grigio e divenne rosso sul petto quando si macchiò di sangue tentando di liberare dalla corona di spine Gesù, che decise di lasciargli il segno rosso così che tutti gli uomini potessero riconoscere da lontano quella creatura così generosa? Dispiegando il suo canto nel freddo dell’inverno è il simbolo della vita che sopravvive anche nelle condizioni più avverse, per questo da sempre emoziona l’uomo. Armonie di suoni e splendore del piumaggio nel mondo dei volatili, che, anche di un’altra grande dote sono provvisti, quella che da sempre l’uomo invidia, una delle sue maggiori aspirazioni, che riesce a realizzare solo con l’ausilio di macchine: il volo. Per entrare nell’elemento aria basta loro darsi una scrollatina…e via, in pochi minuti sono lontano, lassù, nel cielo, sempre più lontano, fino a diventare un piccolo puntino e poi scomparire. Meravigliose creature gli uccelli, che, dolcemente, ci traghettano dall’alba al nuovo giorno, dalla primavera all’estate all’autunno, cantando persino in inverno, popolando l’aria con lo stormire delle loro ali. Fra tutte, singolarissimo, arriva quando tutto ancora tace, quando ancora non albeggia, ancora è notte, buio il cielo, non una luce, un bagliore, un suono, un rumore a ravvivare l’aria, il cuculo, conosciuto anche come “cucù” a causa del suo verso onomatopeico, reso famoso dagli orologi a pendolo in legno (o orologi a cucù). Con il suo canto bizzarro, emesso solo in primavera e solo dal maschio, irrompe a spezzare il silenzio, Cu.. cu, Cu.. cu, ossessivamente ripetuto da un ramo all’altro saltando. Non si vede, non si mostra, non appare, solo la sua voce, zigzagando a intervalli qui e là, manifesta la sua presenza, arcana, misteriosa, foriera di chissà quali messaggi, se di vita o di morte. Ogni anno, nella primavera avanzata, fra aprile e maggio, nell’aria che risuona dei canti dell’usignolo, dell’allodola, della capinera, del passero, della cinciallegra, del verzellino, del merlo, della capinera, nei boschi o ai suoi margini, fra le paludi con canneti, fra i campi, fra le siepi, nei parchi, in campagna, nei boschi, in città, puntuale lui arriva a gridare il suo buffo verso, canto pure d’amore per la natura rigogliosa a nuova vita ridestata. È un bell’uccello il cuculo, ha il becco lungo quasi come il capo, con una forte spaccatura al centro, la coda lunga e rotonda, ed è capace di un volo rapido e leggero. A tutti è noto il suo canto, così diverso dai gorgheggi degli altri volatili, così caratteristico, per qualcuno allegro, per qualcun altro lugubre, così inconfondibile da restare bene impresso nella memoria di tutti, ma pochi hanno il privilegio di vedere il cuculo quando lo dispiega perché è l’uccellino più schivo e solitario che esista. Ebbene, tutto il suo corpo con i movimenti asseconda il verso ritmato: allarga la coda, muove le ali, ruota il collo, perfetto interprete di una melodia anche in totale assenza di una colonna sonora. Arriva da lontano quest’uccello viaggiatore, muovendosi in piccoli gruppi di due o tre individui, trascorre la buona stagione in Europa, poi alla fine di agosto o ai primi di settembre vola a trascorrere l’inverno in Africa. Molto vorace, perché ha uno stomaco vasto, ha un carattere particolare: è poco socievole, arcigno e dispotico, non ammette altri uccelli nel luogo dove dimora, e se qualcuno insiste a volergli restare accanto, lo perseguita incessantemente. Se allevato da piccolo, pur rimanendo irascibile e in discordia con gli altri uccelli, si adatta alla prigionia; se catturato da adulto si lascia morire di fame. Molto curioso, poi, è il modo con cui alleva la prole. La femmina depone da otto a dieci uova nello spazio di tre o quattro settimane, ma non le lascia nel luogo della cova. Individuato il nido di un altro uccello, un’ allodola, un usignolo, un merlo, una capinera, attende che venga abbandonato, poi prende delicatamente col becco il proprio uovo e va a posarlo lì, poi ne inghiotte uno di quelli che vi trova e se ne va, e così fa per tutte le altre uova, in tal modo liberandosi della fatica e dell’impegno di allevare tanti figliolini. L’uovo estraneo viene covato da uccelli estranei e dopo 10 -15 giorni si schiude. Ma, cosa ancora più curiosa, è che il “neonato”, voracissimo, forte e prepotente, fa subire ogni sorta di angherie ai restanti piccoli legittimi abitatori del nido dove viene ospitato, e infine li scaraventa via l’uno dopo l’altro a colpi di ala, rimanendo solo, ottenendo in esclusiva tutte le attenzioni dei genitori adottivi, che sono ingannati talmente bene da non rendersi conto di aver covato un uovo non loro, che il pullo intruso ha ucciso i loro veri figli e che quello che stanno crescendo è un gigante. Ma tutto si perdona al simpatico cuculo opportunista (che non è l’unico in natura a comportarsi così!), e quella che potrebbe apparire come una violenza e una prepotenza è solo una strategia di sopravvivenza. A un uccellino così particolare non potevano non legarsi credenze e simbologie diffuse ovunque nel folklore europeo. Ad esempio, si credeva che il primo canto del cuculo annunciasse la primavera e, che quanto più prolungato fosse il suo canto, tanto più lunga sarebbe stata la bella stagione. E anche che a una ragazza, per sapere quando si sarebbe sposata, o a una donna maritata, per sapere quando avrebbe avuto un figlio, bastasse chiedere a un cuculo e contare i “cucù” giunti in risposta: quelli avrebbero indicato il numero di anni che sarebbe stato necessario attendere. Così recita una filastrocca italiana: O cucco, cucco dal becco fiorito, dimmi quanti anni sto a prender marito. O cucco, cucco, dalle penne rare, dimmi quanti anni starò qui a parlare. E, secondo un’antica tradizione, il cuculo sarebbe una sorta di oracolo ultraterreno e rivelerebbe, solo alle donne anziane, però, il rimanente tempo di vita. Nella Franca Contea si recita questa filastrocca: Cocou Bolotou regarde sur ton grand livre combien i a d’énnées a vivre? Cocou Bolotou controlla sul tuo librone quanti anni mi restano da vivere. Proprio la caratteristica di indicare il tempo intorno al 1730 ispirò gli orologiai tedeschi a produrre i famosi orologi a cucù da parete, realizzati artigianalmente, che possono segnare il tempo per oltre 250 anni. Riguardo alla profezia sulla previsione della durata della vita, ci sono stati interessanti studi scientifici che hanno messo in relazione il numero di sillabe emesse dal cuculo con le condizioni ambientali: sarebbero effettivamente più numerose nelle zone che offrono migliori condizioni di vita e meno negli habitat sfavorevoli. Infatti, esperimenti effettuati nella zona di alienazione di Chernobyl, la piccola area a ridosso della centrale nucleare, ancora oggi contaminata da radiazioni, hanno fatto registrare un numero di “cucù” decisamente inferiore; al contrario, analizzando una zona a nord della Danimarca, ricca di spazi verdi e di biodiversità, è emerso che lì i cuculii sono più prolungati. Forse un fondo di verità c’è nella credenza popolare: il cuculo canta più a lungo dove l’ambiente intorno a sé è salubre, non inquinato, perciò davvero può rivelarsi profetico sulle aspettative di vita degli umani e indicatore dello stato di salute della natura.
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