ANNE BRONTĖ

 

(Francesca Santucci, Il mondo di Emily Brontė, Kimerik 2018)

 

 

  

C'è nel cuore una forza intrinseca che gli dà forza contro la violenza esterna.

Ogni colpo che lo scuote serve a indurirlo contro il colpo futuro;

come il lavoro continuo indurisce la pelle delle mani e ne rafforza i muscoli invece di indebolirli.

(Anne Brontė, “Agnes Grey”)

 

Della felice triade femminile Brontė la voce più tenue, ma non per questa meno valida, appartiene ad Anne (1820-1849), la minore delle tre sorelle, intelligente, tenace, molto religiosa, da tutti descritta come dolce e gentile, 1 apparentemente impassibile, in grado, invece, di sopportare grandi sofferenze senza riversarle su chi le stava accanto, molto affezionata a suo fratello Branwell, e, benché non lo dimostrasse, segnata profondamente dallo strazio della vita che il giovane aveva malamente consumato.
Nata nel 1820 a Thornton, si spense di tubercolosi a soli ventinove anni a Scarborough, località nella quale aveva ambientato i suoi romanzi e dove avrebbe dovuto curare il male di famiglia che affliggeva anche lei.
Anne fu educata in casa, dove studiò musica e disegno. Insieme alle sorelle e al fratello Branwell partecipò alla stesura dei racconti giovanili, dando vita, con Emily, usando lo pseudonimo di Acton Bell, all’immaginario mondo poetico di Gondal (mentre Charlotte e Branwell elaborarono il leggendario ciclo di Angria in prosa); e fu proprio da una sua creatura fantasiosa dell’infanzia, Ross, che derivò, poi, il personaggio di Arthur Huntington nel suo romanzo “L'inquilina di Wildfell Hall”.

 

Charlotte Brontė, Anne, acquerello (17 giugno 1834).

Nel 1834, sempre insieme ad Emily, cominciò a scrivere un diario, in cui venivano annotati pensieri, riflessioni, episodi della vita quotidiana, che continuò a redigere ogni quattro anni, in occasione del compleanno della sorella, fino alla fine della sua vita.
Desiderosa di crearsi una vita indipendente, Anne s’impiegò come istitutrice, assentandosi spesso da casa (come Charlotte, del resto) e dovette subire amare esperienze; la più triste fu quella di vedere scacciato per indegnità suo fratello Branwell dalla stessa famiglia dove lei insegnava.
Insieme a Charlotte e ad Emily, nel 1845 Anne pubblicò la raccolta collettiva di liriche, che costò loro cinquanta sterline, “Poesie di Currer, Ellis ed Acton” (gli pseudonimi scelti, volutamente ambigui, né maschili né femminili, lasciano riconoscere ciascuna delle tre donne dall’iniziale)
La raccolta di poesie non ebbe, però, il successo sperato (furono vendute solo due copie), sconfortando Emily, ma non la determinata Charlotte, che propose a vari editori, insieme al suo romanzo “Il professore”, anche “Wuthering Heights” di Emily e “Agnes Grey” di Anne.
“Il professore” fu rifiutato dall’editore, ma Charlotte, tenace, scrisse di getto “Jane Eyre”, che fu subito pubblicato con successo, e, con i primi guadagni, poté finanziare la pubblicazione dei due romanzi delle sorelle, e così anche “Agnes Grey” di Anne vide la luce nel 1847,  firmato con lo pseudonimo di Acton.
Nel 1848 morirono Branwell ed Emily, e Anne pubblicò “L'inquilina di Wildfell Hall".
Due anni dopo, di salute delicata fin dalla nascita, si ammalò gravemente di tubercolosi e il 28 maggio 1849  si spense, a soli quattro giorni dall’arrivo,  a Scarborough, nello Yorkshire, dove aveva voluto essere accompagnata da Charlotte e dall’amica Ellen Nussey per vedere il mare e per curarsi della stessa forma di tubercolosi che aveva colpito anche le sue sorelle.
Fu sepolta nel cimitero di Saint Mary's ai piedi del castello di Scarborough.
Così i suoi ultimi momenti nel racconto di Elizabeth Gaskell:

 Mandammo a chiamare un dottore. Si rivolse a lui con grande compostezza: Quanto tempo ancora le dava? — non esitasse a dirle la verità visto che lei non aveva paura della morte. Il medico ammise con riluttanza che l'Angelo della morte era già al suo fianco e che il flusso della vita scorreva via rapidamente. Lo ringraziò per la sua sincerità ed egli se ne andò per tornare quasi subito.
Lei era ancora seduta in poltrona, aveva un aspetto così sereno, così fiducioso: non vi era posto per una qualsiasi dimostrazione di dolore benché tutte sapessimo che la separazione era imminente. Giunse le mani e chiese riverentemente la benedizione dall'alto: prima per la sorella, poi per l'amica, alla quale disse: “Sii sorella in mia vece. Da’ a Charlotte quanto più puoi della tua compagnia.” Poi ringraziò ciascuna di noi per la nostra affettuosa gentilezza e le nostre attenzioni. Di lì a poco si manifestò l'affanno cagionato dalla fine ormai imminente; la trasportammo sul sofà. Udendoci chiedere se non si sentisse più comoda, ci guardò affettuosamente e disse: “Non siete voi che potete sollevarmi; ma presto tutto andrà meglio per i meriti del nostro Redentore” e quasi subito, vedendo che la sorella stentava a dominare il dolore, aggiunse:
“Coraggio, Charlotte, coraggio.” La sua fede non vacillò e gli occhi non le si appannarono fin quando verso le due, quietamente e senza un sospiro, passò dal tempo all'eternità.

 Qualche giorno dopo la morte dell’amata sorella, Charlotte annotò:

 La sua lotta  non è stata dura, se n’è andata rassegnata con una gran fede in Dio…La sua serena morte cristiana non mi ha spezzato il cuore come la fine assurda di Emily…Della morte di Emily non riuscivo a darmi una ragione. Volevo tenerla con me, e la voglio ancora adesso. Ma Anne sembrava che fin dall’infanzia si preparasse ad una morte prematura.2

 E il 21 giugno 1849, a quasi un mese di stanza dal tragico evento,  le dedicò questi versi:

In morte di Anne Brontė

Ben poca gioia mi rimane

e scarso terrore della morte;

ho assistito all’ora del trapasso di colei

per la cui salvezza avrei dato la vita.

 

Osservandone in silenzio il debole respiro

desiderando che ogni sospiro fosse l’ultimo;

in attesa di vedere l’ombra della morte

impadronirsi di quelle amate sembianze.

 

La nube, l’immobilità destinata ad allontanare

da me il tesoro della mia esistenza;

e poi ringraziare Dio dal profondo del cuore

ringraziarlo tanto e con fervore;

 

pur sapendo di aver perduto

la speranza e la gioia della nostra vita;

e ora, al buio e in balìa della tempesta

da sola dovrò sostenere il tedioso conflitto.

 (Trad. Maddalena De Leo)

 

Donna discreta, amabile e gentile, Anne Brontė scrisse con serena nobiltà fino a poco prima di morire: celebre è la sua ultima lirica, “Orrenda una tenebra avanza”, composta fra il 7 e il 28 gennaio 1849, sentendo avvicinarsi la fine.
Poetessa dolcissima, anche se non dotata del talento visionario di Emily, Anne fu autrice di versi  aerei e lievi, garbati e gentili, dalle tonalità crepuscolari, non privi della componente mistica presente anche nelle sue sorelle, ma capace anche di imprimervi una nota satirica e sarcastica. Molti i componimenti di argomento religioso, scritti di domenica, con il lessico della tradizione evangelica, predilette le descrizioni delle ore notturne, come nel componimento “Night”.

 Notte

Amo l’ora silente della notte

perché è allora che subentrano sogni felici

a rivelare alla mia vista incantata

ciò che da sveglia non riesco a percepire.

Una voce sfiora il mio udito

quella che la morte ha reso muta da tempo

Riaffiorano così speranza ed estasi

a sostituire solitudine e dolore.

Freddo nella terra giace da anni

colui a cui guardavo con gioia,

e solo i sogni possono riportarmi

colui che è caro al mio cuore.

(Trad. Maddalena De Leo)

Anne Brontė, Donna che guarda il tramonto del sole sul mare (1839).

L’animo mio si risveglia, lo spirito si libra  

               

L’animo mio si risveglia, lo spirito si libra

e si eleva sulle ali della brezza;

perché intorno e sopra di me il vento selvaggio ruggisce

portando all’estasi terra e mari.

L’erba da lungo avvizzita si volge al sole

e gli alberi nudi agitano i rami verso l’alto;

le foglie morte sotto di loro danzano allegre,

le nuvole bianche si rincorrono nel cielo azzurro.

Vorrei guardare l’oceano che sferza

la schiuma dei suoi flutti in vortici di spruzzi,

vorrei vedere come s’infrangono le fiere onde

e udire oggi il muggito selvaggio del loro fragore.

(Trad. Maddalena De Leo)

Anne diede ottime prove anche come scrittrice. Le sue esperienze di istitutrice confluirono nel suo primo romanzo, largamente autobiografico, “Agnes Grey”, del 1847, la storia di una ragazza che subisce diversi rovesci di fortuna senza, però, mai venir meno ai suoi saldi principi morali, opera di non eccelso valore, ma importante perché mostra le difficoltà che incontravano nell’età vittoriana  le donne della classe media che intraprendevano  una delle poche professioni che potesse offrire loro rispettabilità. A quel tempo, infatti, le ragazze venivano educate essenzialmente alla preparazione al matrimonio, pochi i lavori che potevano esercitare; chi voleva guadagnarsi da vivere dignitosamente poteva svolgere o l’attività di governante o quella di istitutrice, proprio come la protagonista del romanzo di Anne.
Agnes Grey ha una famiglia perfetta, i suoi genitori, che si sono sposati contro il volere delle rispettive famiglie, si amano moltissimo, e adorano sia lei che l’altra figlia, Mary. Quando la sua famiglia cade in disgrazia, Agnes, per aiutare l'economia domestica, ma soprattutto per conoscere il mondo e dimostrare a tutti che ha delle qualità, si allontana da casa e s’impiega come istitutrice, l’unica scelta rispettabile che possa fare per sopravvivere.

Sarebbe stato bellissimo fare l’istitutrice. Vedere il mondo, iniziare una nuova vita; agire liberamente, esercitare facoltà inutilizzate; mettere alla prova una forza sconosciuta; guadagnarmi da vivere e guadagnare qualcosa per aiutare mio padre, mia madre, mia sorella, oltre a liberarli dell’impegno di pensare al cibo e ai vestiti per me; far vedere a papà che cosa sapeva fare la sua piccola Agnes, convincere la mamma e Mary che non ero una creatura inerme e spensierata come loro credevano.

(Anne Brontė, “Agnes Grey”, La canonica).

Agnes è entusiasta di prendersi cura dei bambini, ma i figli dei ricchi di cui si occupa sono indisciplinati e viziati. A questo punto il romanzo di Anne  Brontė diviene un appassionato saggio sull'educazione e sull'istruzione e una lucida analisi della corruzione della buona società e del lato oscuro della ”rispettabile” natura umana, opposti al rigore morale della protagonista.
Colpevoli dell’ignoranza e dell’indisciplinatezza dei bambini ricchi, viziati e incontrollabili, sono i genitori, che non riconoscono le loro responsabilità, ma  addossano, invece,  la colpa di ogni manchevolezza dei loro figli all'istitutrice, non riconoscendo che, richiamandoli, non viziandoli, lei agisce con fermezza e moralità.
Agnes cerca con energia di far valere i suoi saldi principi in un mondo sempre più vacuo, perso fra le vanità e privo di scrupoli ma, allo stesso tempo, ritrovandosi sola nelle sue convinzioni, senza nessuno con cui condividerle, perciò si chiude nel suo carattere poco espansivo, finché non arriva il signor Edward Weston, buono, retto e affascinante, anche lui un po' introverso, con i suoi stessi principi morali, con il quale intesserà un dialogo in sintonia d’anime.
Il romanzo, privo della passione travolgente di “Jane Eyre” e dell’epopea tragica e  maledetta di “Wuthering Heights”, venne totalmente offuscato  dal romanzo di Emily  pubblicato nello stesso anno, tuttavia è scritto in una prosa essenziale, elegante e scorrevole,  e conquista la modernità della protagonista che a tutti i costi vuole affermarsi attraverso il proprio lavoro, e che decide di trovarsi un compagno solo per amore.

Anne Brontė  (1840)


Firmato, intitolato e datato: "Anne Brontė", "What You Please", 25 luglio. 1840, questo disegno quasi certamente fu realizzato da Anne  mentre era a Scarborough, durante la sua prima estate con la famiglia Robinson. Edward Chitham, uno dei biografi di Anne, ipotizza che l'immagine possa simbolicamente rappresentare Anne in precario equilibrio  nella sua nuova vita lontana da Haworth.

  

Il secondo romanzo di Anne Brontė, molto più intenso del primo, "The Tenant of Wildfell Hall" (“L'inquilina di Wildfell Hall"), del 1848, che s’ispira al personaggio di Branwell, morto per abuso di alcool e droghe proprio in quell’anno, narra il dramma di una donna, Helen Lawrence Huntingdon, che, per proteggere il figlio e se stessa dalla degradazione del marito, ubriacone e adultero, dopo aver, comunque, cercato di far funzionare il matrimonio, scappa via con il bambino e con un’anziana domestica, e si rifugia in un villaggio sotto un altro nome, quello di Helen Graham (il cognome della madre), fingendosi vedova, perciò, per avvalorare la sua condizione, si premura di indossare i vestiti del lutto: abito e cuffietta di seta nera, mantella nera, velo nero.

Che trepida gioia quando il cancellino si chiuse dietro di noi mentre sgusciavamo fuori dal parco! Poi, per un attimo, mi fermai a inalare una boccata di quell’aria fresca, rinvigorente, e a lanciare uno sguardo indietro alla casa. Tutto era buio e immobile; nessuna luce brillava dalle finestre; nessuna spirale di fumo oscurava le stelle che luccicavano in alto nel cielo gelato. Mentre davo l’addio per sempre a quel luogo, scena di tanta colpa e infelicità, fui contenta di non averlo lasciato prima, perché ora non c’era dubbio sull’opportunità di quel passo, non c’era un’ombra di rimorso per l’uomo che lasciavo; non c’era nulla a turbare la mia gioia se non la paura di venire scoperta; e ogni passo ci portava più lontano da quella possibilità.

(Anne Brontė, “L'inquilina di Wildfell Hall”, 44. Il rifugio)

L’arrivo di Helen Graham nell’isolata e cadente residenza di Wildfell Hall, sperduta nella campagna inglese, è un evento per la piccola comunità del luogo, incuriosita anche dal fitto mistero che sembra avvolgere l’avvenente ma ritrosa donna, che vive in modo molto riservato, dedicandosi solo alle cure amorevoli del figlio Arthur e alla pittura, limitando al minimo i contatti con i vicini.
Il suo atteggiamento, tanto riservato e quasi scostante, non manca di suscitare pettegolezzi e dicerie, e anche Gilbert Markahm, il giovane gentiluomo di campagna, che apre e chiude il romanzo con  una serie di lettere che scrive al suo amico e cognato sugli eventi che hanno portato all'incontro con sua moglie (Helen), preoccupato soltanto dei suoi terreni e, fino ad allora, a corteggiare belle fanciulle frivole e superficiali, pur fortemente incuriosito da quella donna che lo tratta con insolita freddezza, ma nei cui occhi pieni di sentimento  […] legge un ardore, un’intensità,  finisce per prestare credito alle dicerie sul suo conto e rinuncia alla bella amicizia che, pazientemente, era riuscito a instaurare con lei vincendone la diffidenza. Quando, però,  la donna gli consegnerà il proprio diario emergeranno i dettagli del disastroso passato che si è lasciata alle spalle: un matrimonio sbagliato con Arthur Huntingdon, un “libertino”, che aveva sposato convinta di poter redimere, ma abbandonato nel momento in cui si è accorta che avrebbe potuto dare al figlio la stessa sciagurata  impronta psicologica e culturale contro la quale lei combatteva.
Nel diario, scritto tra il 1821 e il 1827, anno del suo arrivo a Wildfell Hall, Helen descrive il declino fisico e morale del marito attraverso l’alcol e i suoi disperati tentativi di allontanare il consorte dal bere e di sottrarre il figlio dalla sua negativa influenza, ma anche la deludente vita coniugale di due persone chiuse nelle loro solitudini, nei loro silenzi, bravissima, Anne Brontė, a raccontare, pur non avendola sperimentata di persona, l’altra faccia dell’amore, cioè cosa accade in un matrimonio a due persone costrette, fallita l’unione, venuti meno il sentimento e il rispetto, a condividere lo stesso spazio.
Il romanzo, che all’uscita ebbe un notevole successo, tanto da avere subito una seconda ristampa,  non piacque a Charlotte (che, morta Anne, ne impedì la ripubblicazione), probabilmente perché  il personaggio del marito  "cattivo" era ispirato allo scapestrato Branwell: come Branwell, infatti,  Arthur Huntingdon è bello, libertino e alcolizzato. Ma il libro non venne apprezzato nemmeno dalla critica, per le accurate descrizioni della crudeltà e dell’alcolismo cui si abbandona Huntington -abbruttito dalle sue stesse azioni- e per il linguaggio deplorevole utilizzato, eppure ha una grande forza, soprattutto per il personaggio di Helen, di straordinaria modernità, femminista ante litteram, che, trovando un unico rifugio nel rispetto che, fino alla fine, prova per se stessa, e sostenuta dalla fede, si pone contro la morale del tempo, le convenzioni sociali e persino la legge inglese del XIX secolo, trovando il coraggio di lasciare il marito, abbandonare il tetto coniugale, pagando il suo gesto coraggioso con il discredito,  il disprezzo altrui e la solitudine (momentanea, poi ritroverà l’amore con Gilbert).
May Sinclair, la scrittrice, critica letteraria britannica, sostenitrice del movimento per il suffragio femminile e portavoce della Woman Writers' Suffrage League, nel 1913 commentò che  lo sbattere della porta della camera di letto di Helen Huntingdon contro il marito risuonò in tutta l’Inghilterra vittoriana e, in effetti, oggi la maggior parte dei critici considera “The Tenant of Wildfell Hall” uno dei primi romanzi femministi.
Anne non ebbe il talento visionario e la tormentosa fantasia di Emily, né la ricchezza d’immaginazione e la continuità di Charlotte, ma fu un’abile romanziera, e le sue narrazioni furono sempre sostenute da una forte esigenza morale, come dimostra la scelta di Helen, la protagonista del romanzo “L'inquilina di Wildfell Hall", allorché, scoperto il tradimento del marito, venuto meno, insieme al rispetto, l’amore per lui, consapevole e responsabile, decide di cercare la salvezza morale allontanandosi col figlio, brava nel raccontare in semplicità temi importanti, osando sfidare la morale vittoriana affrontando temi scomodi come le differenze di classe, i vizi umani, la crudeltà matrimoniale e l’adulterio, e occupandosi della condizione delle donne, allora relegate nei confini della sfera domestica, con dei romanzi che la rendono una precorritrice del femminismo. Ricordiamo che  in Inghilterra  al tempo delle Brontė  le donne occupavano un posto marginale nella società, secondo la legge non erano considerate persone, dipendevano in tutto dal marito che disponeva della loro persona e dei loro beni, non avevano alcun diritto sui figli e non potevano divorziare. Bisognò attendere il 1839, dopo cinque anni di lotte, perché fosse approvato l’Infants Custody Bill, che garantiva loro la custodia dei figli in caso di divorzio, il 1869 perché, con il Municipal Franchise Act,  quelle che disponevano di proprietà potessero godere del diritto al voto nelle elezioni locali, il 1870, con il Married Women’s Property Act, perché fosse  consentito alle donne sposate di avere diritti assoluti sulle loro proprietà, il 1875 perché alle donne fosse concesso di frequentare la scuola, e fino al 1918 perché ottenessero il suffragio universale. 
Oscurata per troppo tempo dalla fama straordinaria di Emily e Charlotte, Anne merita di essere riconsiderata, soprattutto per il suo secondo romanzo, che è sicuramente all’altezza dei grandi titoli delle sue celebri sorelle, per originalità, modernità,  per la straordinaria capacità di sondare l’abisso in cui può cadere un uomo abbrutito dal vizio (ma Anne, attraverso Helen, è impietosa anche con le figure femminili intaccate dal vizio e dalla debolezza) e per il coraggio di una donna di sfidare le convenzioni.

 

NOTE

1)    Spak M., Emily Brontė La vita, Le lettere, Firenze 1999.

2)    Gaskell E., La vita di Charlotte Brontė.

3)    Anne, Charlotte, Emily Brontė, Poesie, traduzione di Silvio Raffo e Anna Luisa Zazo, Oscar Mondadori, Milano 2004.

 

 

 

 

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