ANNE BRONTĖ
(Francesca Santucci, Il mondo di Emily Brontė, Kimerik 2018)
C'è nel cuore una forza intrinseca che gli dà forza contro la violenza esterna. Ogni colpo che lo scuote serve a indurirlo contro il colpo futuro; come il lavoro continuo indurisce la pelle delle mani e ne rafforza i muscoli invece di indebolirli. (Anne Brontė, “Agnes Grey”)
Della felice triade femminile Brontė la voce più tenue, ma non
per questa meno valida, appartiene ad Anne (1820-1849), la
minore delle tre sorelle, intelligente, tenace, molto
religiosa, da tutti descritta come dolce e gentile,
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apparentemente impassibile, in grado, invece, di sopportare
grandi sofferenze senza riversarle su chi le stava accanto,
molto affezionata a suo fratello
Branwell,
e, benché non lo dimostrasse, segnata profondamente dallo
strazio della vita che il giovane aveva malamente consumato.
Charlotte Brontė, Anne, acquerello (17 giugno 1834).
Nel
1834, sempre insieme ad Emily, cominciò a scrivere un diario,
in cui venivano annotati pensieri, riflessioni, episodi della
vita quotidiana, che continuò a redigere ogni quattro anni, in
occasione del compleanno della sorella, fino alla fine della
sua vita.
Mandammo a chiamare un dottore. Si rivolse a lui con grande
compostezza: Quanto tempo ancora le dava? — non esitasse a
dirle la verità visto che lei non aveva paura della morte. Il
medico ammise con riluttanza che l'Angelo della morte era già
al suo fianco e che il flusso della vita scorreva via
rapidamente. Lo ringraziò per la sua sincerità ed egli se ne
andò per tornare quasi subito. Qualche giorno dopo la morte dell’amata sorella, Charlotte annotò: La sua lotta non è stata dura, se n’è andata rassegnata con una gran fede in Dio…La sua serena morte cristiana non mi ha spezzato il cuore come la fine assurda di Emily…Della morte di Emily non riuscivo a darmi una ragione. Volevo tenerla con me, e la voglio ancora adesso. Ma Anne sembrava che fin dall’infanzia si preparasse ad una morte prematura.2 E il 21 giugno 1849, a quasi un mese di stanza dal tragico evento, le dedicò questi versi: In morte di Anne Brontė Ben poca gioia mi rimane e scarso terrore della morte; ho assistito all’ora del trapasso di colei per la cui salvezza avrei dato la vita.
Osservandone in silenzio il debole respiro desiderando che ogni sospiro fosse l’ultimo; in attesa di vedere l’ombra della morte impadronirsi di quelle amate sembianze.
La nube, l’immobilità destinata ad allontanare da me il tesoro della mia esistenza; e poi ringraziare Dio dal profondo del cuore ringraziarlo tanto e con fervore;
pur sapendo di aver perduto la speranza e la gioia della nostra vita; e ora, al buio e in balìa della tempesta da sola dovrò sostenere il tedioso conflitto. (Trad. Maddalena De Leo)
Donna discreta, amabile e gentile, Anne Brontė scrisse con
serena nobiltà fino a poco prima di morire: celebre è la sua
ultima lirica, “Orrenda una tenebra avanza”, composta fra il 7
e il 28 gennaio 1849, sentendo avvicinarsi la fine.
Notte Amo l’ora silente della notte perché è allora che subentrano sogni felici a rivelare alla mia vista incantata ciò che da sveglia non riesco a percepire. Una voce sfiora il mio udito quella che la morte ha reso muta da tempo Riaffiorano così speranza ed estasi a sostituire solitudine e dolore. Freddo nella terra giace da anni colui a cui guardavo con gioia, e solo i sogni possono riportarmi colui che è caro al mio cuore. (Trad. Maddalena De Leo)
Anne Brontė, Donna che guarda il tramonto del sole sul mare (1839). L’animo mio si risveglia, lo spirito si libra
L’animo mio si risveglia, lo spirito si libra e si eleva sulle ali della brezza; perché intorno e sopra di me il vento selvaggio ruggisce portando all’estasi terra e mari. L’erba da lungo avvizzita si volge al sole e gli alberi nudi agitano i rami verso l’alto; le foglie morte sotto di loro danzano allegre, le nuvole bianche si rincorrono nel cielo azzurro. Vorrei guardare l’oceano che sferza la schiuma dei suoi flutti in vortici di spruzzi, vorrei vedere come s’infrangono le fiere onde e udire oggi il muggito selvaggio del loro fragore. (Trad. Maddalena De Leo)
Anne
diede ottime prove anche come scrittrice. Le sue esperienze di
istitutrice confluirono nel suo primo romanzo, largamente
autobiografico, “Agnes Grey”, del 1847,
la storia
di una ragazza che subisce diversi rovesci di fortuna senza,
però, mai venir meno ai suoi saldi principi morali, opera di
non eccelso valore, ma importante perché mostra le difficoltà
che incontravano nell’età vittoriana le donne della classe
media che intraprendevano una delle poche professioni che
potesse offrire loro rispettabilità. A quel tempo, infatti, le
ragazze venivano educate essenzialmente alla preparazione al
matrimonio, pochi i lavori che potevano esercitare; chi voleva
guadagnarsi da vivere dignitosamente poteva svolgere o
l’attività di governante o quella di istitutrice, proprio come
la protagonista del romanzo di Anne. Sarebbe stato bellissimo fare l’istitutrice. Vedere il mondo, iniziare una nuova vita; agire liberamente, esercitare facoltà inutilizzate; mettere alla prova una forza sconosciuta; guadagnarmi da vivere e guadagnare qualcosa per aiutare mio padre, mia madre, mia sorella, oltre a liberarli dell’impegno di pensare al cibo e ai vestiti per me; far vedere a papà che cosa sapeva fare la sua piccola Agnes, convincere la mamma e Mary che non ero una creatura inerme e spensierata come loro credevano. (Anne Brontė, “Agnes Grey”, La canonica).
Agnes è entusiasta di prendersi cura dei bambini, ma i figli
dei ricchi di cui si occupa sono indisciplinati e viziati.
A questo punto il romanzo di Anne Brontė diviene un
appassionato saggio sull'educazione e sull'istruzione e una
lucida analisi della corruzione della buona società e del lato
oscuro della ”rispettabile” natura umana, opposti al rigore
morale della protagonista.
Anne Brontė (1840)
Il secondo romanzo di Anne Brontė, molto più intenso del primo, "The Tenant of Wildfell Hall" (“L'inquilina di Wildfell Hall"), del 1848, che s’ispira al personaggio di Branwell, morto per abuso di alcool e droghe proprio in quell’anno, narra il dramma di una donna, Helen Lawrence Huntingdon, che, per proteggere il figlio e se stessa dalla degradazione del marito, ubriacone e adultero, dopo aver, comunque, cercato di far funzionare il matrimonio, scappa via con il bambino e con un’anziana domestica, e si rifugia in un villaggio sotto un altro nome, quello di Helen Graham (il cognome della madre), fingendosi vedova, perciò, per avvalorare la sua condizione, si premura di indossare i vestiti del lutto: abito e cuffietta di seta nera, mantella nera, velo nero. Che trepida gioia quando il cancellino si chiuse dietro di noi mentre sgusciavamo fuori dal parco! Poi, per un attimo, mi fermai a inalare una boccata di quell’aria fresca, rinvigorente, e a lanciare uno sguardo indietro alla casa. Tutto era buio e immobile; nessuna luce brillava dalle finestre; nessuna spirale di fumo oscurava le stelle che luccicavano in alto nel cielo gelato. Mentre davo l’addio per sempre a quel luogo, scena di tanta colpa e infelicità, fui contenta di non averlo lasciato prima, perché ora non c’era dubbio sull’opportunità di quel passo, non c’era un’ombra di rimorso per l’uomo che lasciavo; non c’era nulla a turbare la mia gioia se non la paura di venire scoperta; e ogni passo ci portava più lontano da quella possibilità. (Anne Brontė, “L'inquilina di Wildfell Hall”, 44. Il rifugio)
L’arrivo di Helen Graham nell’isolata e
cadente residenza di Wildfell Hall, sperduta nella campagna
inglese, è un evento per la piccola comunità del luogo,
incuriosita anche dal fitto mistero che sembra avvolgere
l’avvenente ma ritrosa donna, che vive in modo molto
riservato, dedicandosi solo alle cure amorevoli del figlio
Arthur e alla pittura, limitando al minimo i contatti con i
vicini.
NOTE 1) Spak M., Emily Brontė La vita, Le lettere, Firenze 1999. 2) Gaskell E., La vita di Charlotte Brontė. 3) Anne, Charlotte, Emily Brontė, Poesie, traduzione di Silvio Raffo e Anna Luisa Zazo, Oscar Mondadori, Milano 2004.
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