Trova spazio in
queste pagine il ricordo di una tenera fragile creatura, di
cui si raccontava in famiglia, internata tanti anni fa in un
reparto dell'ospedale psichiatrico ‘Leonardo Bianchi’ di
Napoli (allora esistevano ancora i manicomi, poi aboliti dalla
Legge Basaglia), una vecchina tanto esile da sembrare una
bambina, con chiari occhi celesti, che un tempo era stata una
bella ragazza, dal carattere dolce e mite, ribattezzata la
"pazza furiosa". Si chiamava Angela Amoroso (nome, qui, di
fantasia), ma tutti la conoscevano come Angelina primo
amore, perché all'origine delle sue sventure c'era la
morte dell’innamorato, conosciuto negli anni della prima
guerra mondiale. Allora aveva intorno ai sedici anni e a
quell’età quando il sentimento esplode, sia in pace che in
guerra, davvero è una forza inarrestabile. Il suo innamorato lo
aveva conosciuto in un rifugio, durante un bombardamento. Gli
aerei passavano e ripassavano nel cielo rombando arroganti e
incuranti della morte che seminavano, le bombe fischiavano, i
muri si sgretolavano alzando polveri e atterrando corpi
innocenti. Nei rifugi si aspettava con gli occhi sbarrati, i
cuori in gola, le bocche delle donne in continuo movimento per
le preghiere biascicate stringendo spasmodicamente i rosari
fra le mani. Per tutto il tempo
che era durato il bombardamento lui e lei, pur senza
conoscersi, si erano tenute entrambe le mani, guardandosi
fissi negli occhi terrorizzati, ma già attraversati dalla luce
nuova che proveniva direttamente dai loro cuori. Ad un certo
punto, abbandonata ogni esitazione, il giovane si era fatto
coraggio e le aveva quasi gridato: - Se usciamo vivi da
qui, ti sposo!- Uscirono vivi dal
rifugio, innamorati davvero, ma non si sposarono perché il
ragazzo fu subito chiamato al fronte. Angelina lo
accompagnò alla stazione e, vedendolo tanto triste e
abbattuto, lo rassicurò:-Vedrai, la guerra
finirà presto! Tu, però, scrivimi!- - Sì, ti scriverò. E
quando tornerò ci sposeremo.-
Poi il giovane salì sul treno. In un coro di facce tristi e
canzoni patriottiche, intonate senza, poi, tanta convinzione,
si affacciò al finestrino e, sporgendosi, le gridò: - A presto, Angelina
primo amore! Ricorda: ti amo, per sempre!-
Il treno si mosse e, finché non scomparve, i due
innamorati continuarono ad agitare le mani l'uno in
direzione dell'altro.
La ragazza sostò ancora qualche minuto e solo quando il
fischio del treno non si sentì più nemmeno in lontananza si
decise a ritornare a casa, ad aspettare. E aspettò, per giorni
e giorni, il suo ritorno, sognando il matrimonio con uno
splendido abito bianco di tulle guarnito di preziosi merletti
ricamati a mano, pregustava il sapore delizioso della torta
nuziale, il Gâteau de mariage, con crema e morbida
panna, a tre ripiani, con gli sposini di plastica collocati
sulla parte più alta del dolce, e quello dei candidi confetti
ripieni di pasta di mandorle, e poi fantasticava sul viaggio
di nozze a Roma, a Firenze, a Venezia, con le foto ricordo tra
i piccioni di piazza San Marco, e poi pensava ai figli che
E immaginava una
vecchiaia serena e tranquilla, in compagnia dell'uomo amato
per tutta la vita, ripensando a questo periodo di lontananza
come a un avvenimento ormai lontano nel tempo, e sognava,
sognava, cercando d'ingannare l'attesa...Ma l'attesa fu lunga
e il ragazzo non tornò più. Alla notizia della
sua morte al fronte Angelina restò come inebetita e
trascorse diversi giorni in una condizione di assoluta
immobilità: non piangeva e non parlava. Inizialmente i
familiari la lasciarono tranquilla, convinti che il tempo
avrebbe guarito la sua ferita, ma quando Angelina si scosse
dal suo torpore cominciò a comportarsi in modo strano, a
pulire e a ripulire la casa perché "lui" poteva arrivare da un
momento all'altro per parlare coi suoi genitori, e infine a
scrivere lunghe lettere, che non mancava mai di spedire, come
se il destinatario potesse ancora riceverle. Allora la madre capì
che per Angelina sconvolta il giovane non era morto e,
credendo di far bene, un giorno, esasperata, le gridò:
-Ma vuoi capirlo, sì o no, che lui è morto e non tornerà più?
- Angelina, stringendo
sul seno la foto del soldato, aprì il balcone e si buttò di
sotto. Si salvò per miracolo, ma tentò di ammazzarsi altre
volte. Ormai il suicidio era diventato una mania e fu per
questo che i medici consigliarono un breve periodo
d'internamento che, da transitorio, divenne permanente perché
lei non mostrò mai alcun segno di ripresa, anzi, i disturbi si
aggravarono, alternando momenti di abulia e depressione totale
a stati di vera e propria esaltazione, delirante e
allucinatoria. Allora gli infermieri erano costretti a legarla
al letto di contenzione e a somministrarle un sedativo, finché
la poverina non sprofondava in un sonno senza sogni. Al Leonardo Bianchi
tutti conoscevano Angelina e, commossi, pensavano che, a modo
suo, era un'altra vittima della guerra.
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