Francesca Santucci
AL MIO DOLCE SIGNORE
(Antologia AA.VV.,Lettere
d'amore,
Kimerik
2021)
Kilburne George Goodwin (1839-1924),
Penning a letter
18 aprile 1702
Mio Dolce Signore,
prima d'imbattermi in voi la mia vita era come finita.
No, non soffrivo, non era
come essere all'Inferno, piuttosto come trovarsi al Limbo, in istupidito stato
d’incoscienza, senza affanno, né tormento, né travaglio, ma più non mi pareva il
sangue pulsare nelle vene; se qualcuno, con un semplice spillo, m’avesse
trafitto un braccio, o anche soltanto un dito, forse non una sola goccia sarebbe
stata versata.
Io, semplicemente, stavo, anzi no, insensibilmente, ristavo.
Poi giungeste voi, Signore, fresca folata di vento nell’arido deserto, giungeste
in primavera, esattamente in aprile: quale stagione più adatta al risveglio,
alla rinascita? Foriero di promesse, foste messaggio di speranza, e m’infondeste
nuove illusioni.
Mi ridestai, mi ridestaste, dal torpore; rinacqui, voi mi spingeste a rinascere,
canto fu la vostra voce che nuovamente in armonia m’accordò alla vita.
M’incalzaste senza darmi requie, ma non m’opprimeste, no; ostinato, come Orfeo
con la sua sposa mano nella mano verso la luce mi riconduceste, ma io non mi
voltai indietro come, invece, fece Euridice.
Ora un poco m’abbaglia lo splendore, troppo vissi nell’ombra, e il passo m’è
incerto, e a volte vacillo e tentenno e mi sconforto, e sovente rigano il mio
volto le lacrime, che non sono di marmo, no, come quelle della mirabile
Proserpina del sommo maestro Bernini che, invano, disperata fra le braccia del
signore del regno delle ombre si dibatte, sono lacrime vere, di chi nell’ombra
c’è stato davvero e non vuole ritornarci: dunque, sono lacrime di gioia.
Cosa farete ora, di me, Signore e Padrone del mio cuore? Cosa sarà di noi?
Riuscirà il nostro Amore a superare i tanti ostacoli che ci impediscono di
viverlo liberamente?
Intanto con ansia e gioia attendo sia le vostre lettere che il nostro prossimo
incontro!
Se non avessi in cuore la speranza di vedervi, oltre a quella di ricevere
puntualmente le preziose missive che puntualmente m’inviate e che annullano ogni
distanza fra noi, non potrei nemmeno iniziarlo un nuovo giorno, tanto mi
sentirei avvilita e sconfortata, smarrita e persa su questo lembo di terra dal
quale vi scrivo, punto piccolissimo nell’infinità cosmica, che prima ho tanto
amato, perché mi pareva tana e nido, riparo e rifugio, ed ora m’appare come la
peggiore delle galere perché tanto lontano da voi!
Nella mia vita siete stato come un vento di burrasca, una bufera che s’abbatte
improvvisa su una terra troppo arida e riarsa dal sole, giungeste con la
velocità d’un fulmine che repentino solca il cielo per lasciar subito spazio al
fragoroso tuono apportatore della tempesta, linfa vitale ai campi, ai fiumi, ai
mari. Sì, lasciate che vi paragoni ai fenomeni naturali che tanto amo, quelli
che spaventano i più dalla notte dei tempi, ma che, invece, quando si scatenano,
m’inebriano, avvolgendomi come in un’ebbrezza o in un delirio mistico.
Nella vostra ultima lettera mi avete parlato delle mie composizioni (Mirabili
le definite? Ah, voi mi lusingate!), ed allora mi congederò con una delle
mie ultime (di cui, poi, mi direte, se vorrete), ispiratami dalla frase che
sovente voi mi ripetete: Sei la mia stella! Mi raccomando, però, ché il
vostro giudizio non sia offuscato da eccessiva magnanimità nei miei confronti.
Ora, a malincuore, concludo, già languendo di nostalgia a questo commiato.
Un saluto dalla vostra devota Amica che non attende altro che di dissetarsi alla
fresca fonte delle vostre parole e, naturalmente, di rivedervi.
Escript de ma main
Dame Guenièvre
Comparami ad una bianca stella
Comparami ad una bianca stella
che spegnersi non vuole
nei geli degli spazi siderali.
Comparami a una rosa novella
che rinunciar non vuole
ai languidi baci del sole del mattino.
Comparami alla brulla terra
che trepida riattende l’abbraccio
del mare che lento risale.
E sempre pensami bianca stella,
rosa novella e brulla terra,
e, forte, dillo anche tu che m’ ami.
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