Francesca Santucci

ALLORA ERA NATALE

 

(Antologia AA.VV.,Racconti di Natale, vol.II, Rudis Edizioni 2021)

 


 

Il portone del palazzo del Risanamento di via Arenaccia 113 (Napoli)

A mio padre

 

Fra poco sarà Natale. Stasera candidi fiocchi di neve lievi danzano nell’aria sulle note di una melodia invisibile che arriva da lontano: è l’eco delle voci del passato, degli allegri Natale del tempo in cui la mia famiglia era tutta riunita intorno alla tavola imbandita fra l’albero e il presepe, fra laute portate, risate e tombolate.  Quello era il “focolare”, allora era Natale e santo davvero quel giorno!
Ricordo che la sera della vigilia picchiavamo al portone del vecchio palazzo popolare dove, all’angolo di strada, con le mani infilate nei mezzi guanti di lana, vendeva le odorose caldarroste la castagnara, che vi stazionava già dal mese di ottobre: lì abitavano i nonni.
Scalpitando sotto lo sguardo materno, con ansia aspettavamovamo noi bambini di poter salire su dai nonni in nostra attesa, stretti l’uno all’altro, felici accanto al loro alberello, piccolo, ma che ai nostri occhi appariva gigantesco, tanto era splendente di luci e di colori e tanta la gioia nei nostri cuori di rivederli.
Bella più di ogni altra festa era allora Natale, dolce più delle paste glassate consumate fra risa e sorrisi. Spento per sempre, ormai, è quel focolare dove l’infanzia placida trascorse. Ma io mi ricordo di un Natale in particolare…
Quell’anno con maggiore trepidazione lo aspettavamo. Cosa insolita per la nostra città di mare, qualche settimana prima era caduta la neve. Silenziosa, muta, era arrivata all’improvviso.
I miei fratelli, mia sorella ed io guardavamo stupiti la candida coltre che aveva ammantato ogni cosa, gli alberi, le strade, i tetti delle case, anche il nostro vulcano affacciato sul mare al quale sembrava avessero messo sulla cima un bianco berretto.
Eravamo entusiasti della neve, del lungo periodo festivo che si avvicinava che ci avrebbe allontanati per un po’ dalla scuola e ci avrebbe permesso di essere coccolati in famiglia e di dedicarci ai nostri giochi, e, soprattutto, della sorpresa che ci attendeva: da diversi anni nostro padre lavorava all’estero, ma di lì a qualche giorno sarebbe tornato per trascorrere con noi le festività.
Lui era di poche parole, severo, a tratti burbero, con la fronte costantemente corrucciata a inseguire chissà quali pensieri, la mente sempre attraversata da qualche preoccupazione. Non aveva grandi slanci verso di noi, mai una tenerezza, un sorriso, solo, le rare volte in cui era in casa, ci impartiva ordini, che noi figli eseguivamo senza batter ciglio, come soldati disciplinati, perché lo temevamo, ma sapevamo che, oltre la sua autorità, ci amava e forte sentivamo la sua mancanza dovuta a quell’assenza lavorativa. Ma quando si preparava il Natale si trasformava completamente. Era sempre allegro e gli occhi gli si illuminavano come un bambino quando portava a casa l’albero vero, acquistato al mercatino rionale, ancor di più quando cominciava ad allestirlo, con le palline, i fili dorati, la stella dell’oriente, le luci e tutte le altre decorazioni conservate dall’anno precedente e scartate come una reliquia, diffondendo come per incanto la magia della festa, sempre cantando un antico motivo natalizio che ancora oggi mi rimbomba nella mente:

Mò vene Natale

e nùn tengo renare

‘o megli pizz è ‘o fuculare.

Mò vene Natale

‘e renze ‘e renze

 ò putecaro me fà a crerenza,

ò cantenier me dà o vino

facimme Natale n’grazi ‘e Ddio.

Mò vene Natale

e nùn tengo renare

Me fum nà pippa

e me vaco a cuccà

A mezzanotte

sparano ‘e botte

Me metto o' cappotto

E me vaco a vede’.1

Quello con la neve a Napoli fu l’ultimo Natale trascorso insieme, tutti riuniti, prima che violenta si abbattesse la tempesta sulla nostra famiglia. Uno ad uno, negli anni, cominciarono a mancare i componenti. Posti vuoti a tavola, sedie vuote, cari dipartiti, rapporti infranti, da occasione di allegria e spensieratezza, il Natale si tinse di tristezza, mestizia e nostalgia, e diventò il Natale dell’assenza. Addio per sempre alla magia e alle emozioni dell’innocenza!
E, anni dopo, troppo tardi, avrei scoperto che, dietro il volto corrucciato e minaccioso di mio padre, si celava un animo gentile e che la cifra del suo carattere era la (celata) tenerezza.

 

 

1 Ora arriva Natale e non ho soldi

 il luogo migliore è la casa.

Ora viene Natale e furbamente

 il negoziante mi fa  credito,

il cantiniere mi da il vino

trascorriamo Natale nella grazia  di Dio.

Ora viene Natale e non ho soldi

 fumo una pipa e me ne vado a dormire.

A mezzanotte sparano i botti

 mi metto il cappotto

 e vado a vederli.

  

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