Error, conditio, votum, cognatio,
crimen, cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,
si sis affinis", cominciava don Abbondio, contando sulla punta
delle dita.
-Si piglia gioco di me?-interruppe il giovine-Che vuol ch'io
faccia del suo latinorum?
(A. Manzoni, I Promessi sposi)
Per chi dalla provincia arrivi a Napoli,
con il treno, con l'autobus o in automobile, il liceo classico
più vicino è il glorioso "Giuseppe Garibaldi", un imponente
edificio di tre piani che si affaccia su piazza Carlo III, ma
il cui ingresso è situato in via Carlo Pecchia, sfrontatamente
ribattezzato dagli studenti irrispettosi "via Carlo Pacchia".
Proprio per la facile accessibilità ai provinciali non è mai
stato un liceo snob come il Sannazaro, ma molto democratico,
accogliendo, sì, i figli del medico di Acerra, dell'ingegnere
di Afragola, del professore di Posillipo, del geometra del
Vomero o dell'architetto di Pollena Trocchia, ma anche i
ragazzi provenienti da famiglie più modeste.
I genitori di questi ultimi, essendosi i loro figli dimostrati
promettenti e volenterosi nello studio, una volta facevano
mille sacrifici per mandarli a scuola, convinti che
l'accostamento al favoloso mondo del liceo classico avrebbe
assicurato loro un buon avvenire.
E fu proprio in questo crogiuolo di studenti dalle origini più
disparate che, tanti anni fa, fece il suo ingresso anche
Paoletta Cannavacciuolo di via Sant'Attanasio, figlia di una
coppia che potremmo definire di proletari benestanti, essendo
il padre un carnacottaro 2 col bancone al corso
Garibaldi, e la madre un’ ugliarara 3 che
aveva ereditato dai nonni una rivendita di olio, olive e
capperi nei pressi del liceo.
Dei genitori il personaggio più singolare era sicuramente la
madre, un donnone di novanta chili di peso per un'altezza di
circa un metro e cinquanta, con una folta peluria scura sul
labbro superiore e, a dare ascolto a certi pettegolezzi, anche
intorno al mento.
C'era, infatti, chi asseriva di aver intravisto un giorno, da
uno spiraglio lasciato inavvertitamente aperto nel basso dei
Cannavacciuolo, la donna seduta, con un largo tovagliolo
intorno al collo, la testa reclinata all'indietro, ed il
marito armeggiarle intorno con pennello, crema e rasoio
nell'inequivocabile atteggiamento di chi si accinge ad
eseguire una bella rasatura.
La cosa fu risaputa subito in tutto il quartiere e, dopo un
po', ci si cominciò ad interrogare sul perché l'uomo non
eseguisse una rasatura completa, eliminando alla consorte
anche i baffi, e la spiegazione comunemente data dalla
saggezza popolare fu che "alla donna i baffi crescono più
velocemente della barba".
In verità il poveretto non riusciva a tenere il passo con la
ricrescita della peluria, sicché, di comune accordo con la
moglie, aveva deciso di desistere dall'impresa ed arrendersi
all'evidenza: effettivamente i baffi crescevano troppo in
fretta!
Comunque Paoletta non si lasciò mai sfuggire alcun commento
sui baffi materni, né le sue amiche fecero domande al
riguardo.
La ragazza fu, dunque, assegnata alla sezione C della quarta
ginnasiale, poiché a quei tempi il liceo classico era ancora
suddiviso nel biennio del ginnasio e nel triennio superiore.
Inizialmente le compagne di classe arricciarono il naso di
fronte alle sue origini ma, ben presto, la bontà e la
socievolezza del carattere di Paoletta fecero crollare ogni
riserva.
Lo studio della lingua latina e di quella greca si rivelarono,
però, un vero e proprio campo minato per la poverina che, con
tutta la buona volontà, proprio non riusciva a districarvisi,
assimilando queste materie in modo del tutto personale e
riducendole a mere barzellette. Per esempio, era convinta che
tutte le parole greche terminassero in os e tutte
quelle latine in orum, non distingueva un dativo
singolare da un nominativo plurale della prima declinazione
latina, confondeva i significati dei verbi e, puntualmente,
scambiava i deponenti con la forma passiva.
Per quanto riguarda la lingua greca, in particolare, si
ostinava ad ignorare le diverse sfumature di significato di
uno stesso vocabolo, e fu così che una volta, in una sua
traduzione, Didimo il Cieco, noto filosofo cristiano autore,
tra l'altro, di uno scritto in tre libri Sulla Trinità,
ricco di citazioni delle Sacre Scritture, ed anche di versi di
antichi poeti, divenne "Didimo l'Ottuso". Poi ci fu l'episodio
clou: un bellissimo repente di un brano di Seneca
tradotto con un napoletanissimo all'intrasatta,4
squisito vocabolo dell'idioma partenopeo ma
completamente inadatto per una versione dal latino in un liceo
classico.
La permanenza di Paoletta al liceo Garibaldi fu, pertanto, di
breve durata, essendosi rivelata negata per lo studio dei
classici, per cui non terminò nemmeno l'anno scolastico,
tuttavia superò rapidamente la delusione confortata dalla
madre che asserì:
-‘O liceo nun è fatto per mia figlia! - ma era la
figlia a non essere idonea allo studio dei classici.
E così Paoletta non andò più a scuola ma cominciò ad aiutare
la madre in bottega, però, di tanto in tanto, le ex compagne
passavano a salutarla e lei ne era felice.
Impettita andava dietro al bancone, prendeva un foglio di
carta oleata, lo avvolgeva in senso trasversale, spingeva il
bordo inferiore all'interno del cono ottenuto, tuffava il
mestolo forato nella tinozza contenente le olive di Gaeta, ne
lasciava colare l'acqua, con solennità le versava nel cono e,
offrendolo alle amiche, chiedeva:
-Meglio 'o latinorum o nu cuppetiello 5 d'aulive?-6
-Nu cuppetiello d'aulivos ! - rispondevano in coro
le ragazze ridendo.
E, un po' in disparte, rideva anche la madre...sotto i baffi,
però.
Francesca Santucci
1 ) venditore di frattaglie bollite di
maiale.
2 ) venditrice di olio.
3 ) involucro di carta a forma conica
contenente le olive.
4) olive.